-
Scritto da Francesco Pistolesi
-
Visite: 11550
LE FINANZE.
Sisto V, per compiere sì straordinari lavori, aveva bisogno di denaro: gli fu quindi necessario dare una certa estensione ai Monti e agli Uffici vacabili.
I Monti, cioè i prestiti, rappresentavano il debito dello Stato: le azioni prese dai privati chiamavansi luoghi e il loro interesse variava dal 5 al 10 per cento. Tra i nuovi Monti creati da Sisto V ricorderemo: Monte degli Archivi, Monte S. Bonaventura e Monte Sisto.
Le cariche o Uffici vacabili - secondo le usanze di quel secolo - si davano a persone che, pur essendo meritevoli e capaci, sborsassero all'erario una somma determinata. Quel sistema ferirebbe oggi la nostra delicatezza: ma nel secolo XVI era d'accordo col diritto pubblico e coi costumi dei tempi: d'altronde una riforma totale delle convenzioni fatte nei precedenti pontificati, anche se fosse stata immaginata da Sisto V, avrebbe recato grave sconvolgimento alla pubblica economia, di cui egli era tanto geloso. Moltiplicò pertanto le vacanze senza che sotto il suo forte e vigilante potere avesse a deplorarsi il minimo abuso. Riuscì così e con savie economie ad accumulare milioni di scudi in oro (dai 40 ai 45 milioni di lire) ch'egli teneva gelosamente racchiusi in Castel S. Angelo (Tavole LXXV - LXXVI ). Era un capitale improduttivo che non circolava: in quell'epoca però non si sapeva che il denaro circolando potesse creare nuovi valori, ed ignoravasi completamente il credito anche presso le banche di Genova e di Venezia. L'ammassar capitali era dunque politica saggia e necessaria.
Con quei milioni che lasciò intatti ai suoi successori, egli passava per il sovrano più ricco d'Europa: il re di Spagna, l'imperatore, Enrico III avevano certamente più risorse di lui, ma egli non era mai preso alla sprovvista: quando le circostanze l'esigevano, egli non si trovava mai a corto di denaro come lo erano spesso quei principi.
Quel denaro doveva servire per i futuri bisogni della Chiesa e per sovvenire i principi cattolici che combattessero gli eretici o gl'infedeli (Tav. LXXV-a). Ma egli, vigile custode, non dava sovvenzioni se non nel caso in cui si fosse riportato qualche successo iniziale: non apriva crediti se non a ragion veduta.
Gli ambasciatori stranieri si domandavano con inquietudine quello che il papa contava fare di tutto quel danaro e a quali progetti misteriosi lo destinava. Essi trovavano: «che il papa aveva torto di far tesori e di gravare i suoi sudditi di imposte, e sopratutto di fidarsi molto più dell'oro ben custodito nei suoi forzieri che della Provvidenza divina; e poi non esponeva egli le sue ricchezze alla cupidigia dei predatori? Del resto i principi cristiani erano pronti ad esser devoti al Santo Padre: non v'era bisogno di tanto oro e di tanto argento ». Il papa che conosceva queste lamentele, se ne impensieriva poco. Sapeva quanto poco dovesse fidarsi della devozione filiale dei principi ; egli non aveva più paura dei briganti né dei predoni: per i disegni della Provvidenza egli non voleva che quei diplomatici si credessero più capaci di lui nel penetrarli. Egli metteva in opera il motto: aiutati ché il ciel ti aiuta, e in un'epoca in cui l'oro era già una potenza, non aveva esitato ad accumulare le ricchezze necessarie per fare la prosperità dei suoi Stati e facilitare i suoi progetti di politica universale (Tav. LXXV-b).