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La decorazione pittorica del Casino e del Palazzo alle Terme

La decorazione dell'edificio è andata completamente perduta nel­l'Ottocento, con la distruzione, progressiva ma inesorabile, del com­plesso. Siamo però in grado di ricostruirne il programma iconografico grazie alla dettagliata descrizione lasciata dal principe Vittorio Mas­simo103. Questi si era fatto promotore del restauro complessivo degli affreschi, deteriorati, oltre che dal tempo, dagli usi a cui il Casino era stato adibito durante la prima metà dell'Ottocento, e nel 1869 aveva incaricato il pittore Annibale Angelini (1810-1884) di eseguire il ri­lievo di quanto restava. Questi rilievi sono oggi perduti al pari degli originali 104.

La decorazione si estendeva sui tre piani dell'edificio (fig. 11). Un tripudio di grottesche, intercalate da emblemi araldici della famiglia Pe­retti, paesaggi e animali, trionfava nella loggia d'ingresso, in tutto il pian terreno e nelle stanze private del primo piano (F, I, H), mentre paesaggi e piccole vedute di Roma, sia reali che di fantasia, facevano da padrone negli affreschi del piano superiore105. Nelle stanze principali del piano nobile (A, D, E, G) correvano fregi dedicati alle Storie di Mosè, Costantino, David, Elia ed Eliseo, soggetti scelti con l'intento di esaltare, insieme alla potenza della Chiesa, il cardinale e il suo ordine di appartenenza.

Difficile stabilire chi abbia realizzato questi cicli. Nel suo testo Vittorio Massimo ricorda vari nomi fra cui Giovanni Baglione, Cesare Nebbia, Giovanni Guerra, Cesare e Vincenzo Conti, Ventura Salimbene, Paul Brii, Giovan Battista Viola, senza però specificare il loro ruo­lo nell'impresa106. Se un giudizio stilistico-formale è impossibile per la perdita degli affreschi107, la descrizione del complesso consente alcune riflessioni iconografiche.

Nella decorazione del Casino la mitologia pagana, soggetto prediletto nella prima metà del Cinquecento, cede il passo all'Antico Testamento, in particolare a temi e personaggi che possono essere interpretati come prefigurazioni dei Vangeli, quali le Storie di Salomone, di Mosè della Genesi, oppure a soggetti che sottolineano la legittimità del potere temporale della Chiesa, come le Storie di Costantino, l'Omaggio di Carlo Magno a Leone III (entrambe nella sala D), e Santa Chiara che respinge i saraceni inviati da Filippo II108. Il gusto per l'antico si respira ancora nelle cariatidi e nei putti che intercalano le scene figurate lungo i fregi delle stanze, ma, quando si rivolge alla mitologia, lo fa esclusiva­mente come allegoria allusiva alle doti e alle virtù del committente109. Ed è proprio l'apologia del cardinale e della sua famiglia a costituire il filo conduttore della decorazione, cui si affiancano i temi propri della Controriforma combattente. Oltre agli episodi che esaltano in modo specifico l'ordine francescano o la figura di Felice Peretti, si può infatti notare come tutta la decorazione pittorica, alla pari degli arredi del giardino, esibisca in maniera ostentata gli emblemi araldici dei Peretti - Montalto. Inoltre, fa qui la propria comparsa la rappresentazione della città di Roma, che, soprattutto nel Palazzo alle Terme e in altri cicli fatti realizzare dal futuro pontefice, diverrà motivo ricorrente con la raffigurazione delle opere sistine110.

Gli affreschi del Palazzo alle Terme

Gli affreschi che decoravano gli ambienti dell'edificio alle Terme, co­struito dopo l'elezione del cardinal Montalto al soglio pontificio, sono databili fra il 1586 e il 1589, aeccezione di quelle parti la cui committenza è stata attribuita al cardinale Alessandro Montalto. Scrive Massimo che queste pitture [...], quantunque molto ricche e complicate, sono in­feriori in bellezza a quelle dell'altro palazzo interno della stessa villa [...] ed è che Sisto V, avendole fatte eseguire con quella sua naturale sollecitudine [...] non potè essere servito dai pittori con quella stessa diligenza ed esattezza che impiegarono nei lavori dell'altro palazzo, fatti senza alcuna fretta durante il suo cardinalato111.

È ancora una volta la testimonianza del principe Massimo a consen­tirci una ricostruzione, almeno sotto il profilo iconografico, della de­corazione. Anche questi affreschi infatti, come quelli del Casino, sono andati perduti con la distruzione della villa nella seconda metà dell'Ottocento112. Si è salvato il fregio che decorava il salone del primo piano nobile, fatto distaccare per volontà di don Massimiliano Massimo pochi anni prima della demolizione del palazzo. La sopravvivenza del fregio del salone permette, a differenza di quanto avvenuto per il Casino, non solo di accedere al significato della decorazione, ma anche di formulare giudizi stilistici113.

Al di sotto del soffitto, dominato dallo stemma papale ligneo di Sisto V, il fregio (tavv. II e III) alternava la rappresentazione delle rea­lizzazioni architettoniche e urbanistiche del pontificato sistino a per­sonificazioni di Virtù. Il centro dei due lati più lunghi del salone (tav. II) era occupato dagli emblemi araldici del cardinale Alessandro e del principe Michele Peretti. Gli affreschi sono stati datati al 1589 grazie alle iscrizioni riportate nei cartigli sottostanti i due stemmi, poiché ven­gono menzionati titoli e cariche che i due personaggi non possedevano prima di tale data114.

Dal punto di vista stilistico gli affreschi presentano i caratteri del «tardo manierismo sistino: colori brillanti stesi in modo uniforme e ac­costati vistosamente, linee di profilo nette, correttezza dell'insieme e in­genuità di particolari»115. Come per tutte le fabbriche sistine, gli unici due artisti citati quali autori del ciclo sono Cesare Nebbia e Giovanni Guerra. Questi però sono solo i nomi degli appaltatori, a capo della composita équipe di pittori che ha realizzato l'insieme ma di cui è diffi­cile distinguere le singole mani116. Sembra comunque accertato il ruolo di primo piano di Giovanni Guerra come ideatore della decorazione e responsabile dell'esecuzione117.

Anche se la rappresentazione delle opere urbanistiche e architetto­niche volute dal pontefice non costituisce una novità nei cicli commis­sionati da Sisto V, la presenza, in posizione così centrale, degli stemmi dei nipoti invita a una differente interpretazione di questi affreschi. Queste raffigurazioni non mirano all'esaltazione delle gesta del pontefi­ce in quanto celebrazione del potere della Chiesa romana, ma vogliono rappresentare le imprese portate a compimento da Sisto V e dai nipoti come prova tangibile e concreta delle virtù della famiglia Peretti, quelle stesse Virtù che campeggiano così numerose lungo il fregio del salone. Quella che qui si vuole glorificare non è la Chiesaattraverso il suo pon­tefice, ma la nuova dinastia Peretti fondata dal papa, che, non poten­do vantare nobili natali, testimonia la nobiltà della stirpe sulla base dei propri meriti118. Il salone centrale del palazzo si delinea così come vera e propria «sala dei fasti perettiani»119, in tono col carattere di residenza principesca della famiglia che questo edificio voleva avere. La lettura del fregio del salone si accorda con il ruolo di villa Montalto nel contesto dell'urbanistica sistina: se, nel primo anno di pontificato, la villa era stata immaginata come sede pontificia fulcro di una nuova città, ora, nel 1589, essa non è più considerata residenza papale, ma dimora simbolo del potere della famiglia insediata da Sisto V a Roma. La villa non solo sorge al centro del nuovo quartiere costruito dal papa, ma si affaccia proprio sul suo nucleo economico-commerciale, nel 1589 ancora in cor­so di definizione. La proliferazione di stemmi, emblemi e figure araldiche negli altri ambienti del palazzo conferma il carattere celebrativo e propagandistico del complesso.

Le conoscenze sulle altre opere pittoriche che arredavano i due edi­fici di villa Montalto sono praticamente nulle a causa della dispersione di tutte le collezioni alla fine del Settecento. Vittorio Massimo riporta che, all'epoca della redazione del suo testo, si trovavano ancora nel Pa­lazzo alle Terme alcuni ritratti di membri delle famiglie Medici, Savelli e Peretti, da lui attribuiti a Scipione Pulzone, fra cui quello di Donna Camilla e di Maria Felice Peretti Savelli120.

Si può considerare una forma particolare di ritratto anche il ciclo di dipinti con Storie di Alessandro Magno commissionato dal cardina­le Alessandro Montalto fra il 1614 e il 1616. Disperso, come le altre opere provenienti dalla villa, il ciclo è stato oggetto degli studi di Eric Schleier, che negli anni è pervenuto a una sua parziale ricostituzione121. Degli undici ovali che lo componevano, realizzati da artisti differenti, si conoscono oggi sette originali: l'Alessandro e Timoclea di Domenichino, Alessandro e il medico Filippo Alessandro rifiuta l'acqua offertagli da un soldato entrambi di Lanfranco, l'Alessandro medicato di Francesco Al­bani, Alessandro e Poro di Antonio Carracci, Alessandro e Parmenione prima della battaglia di Gaugamela di Giovanni Baglione e l'Alessandro e Taxileis di Sisto Badalocchio122.

Pensata e progettata a completamento della decorazione del sa­lone centrale del Palazzo alle Terme, la serie voleva chiaramente ce­lebrare il committente: attraverso l'omonimia con il protagonista si dispiegava lungo le pareti un'esaltazione delle virtù del cardinale, le stesse di cui aveva dato prova il grande Alessandro nelle sue azioni più gloriose. Lo studio iconografico del ciclo ha evidenziato come gli episodi esemplari della virtus dell'eroe siano stati scelti secondo criteri e intenti simili a quelli che hanno guidato la realizzazione del fregio della sala123. Il regesto dei testi antichi utilizzati come fonti per i singoli dipinti ha messo in luce come tutti gli episodi selezionati testimonino la magnanimità del condottiero greco. Essi provano che la sua nobiltà non è dovuta a eredità di sangue, ma è qualità intrinseca che nell'azio­ne trova modo di manifestarsi. Non la nascita, non la predestinazione, ma le doti che si traducono in gesti e atti concreti sono il segno della virtus, della nobiltà e grandezza dell'eroe greco, così come la nobiltà del committente non deve essere misurata sulla base delle sue origini, o del suo essere un cardinal 'nepote', ma a partire dal suo comporta­mento e dalle sue azioni.

Il ciclo si pone pertanto in rapporto con le finalità della stanza, in­serendosi nella stessa logica di esaltazione dei fasti familiari, ma lo fa in maniera più raffinata, aggiornata e 'alla moda'. Sisto V aveva predilet­to la celebrazione diretta e smaccata delle proprie imprese e di quelle dei nipoti; Alessandro Montalto preferisce invece ricorrere a un trave­stimento all'antica, celandosi sotto le spoglie di Alessandro Magno. In questo modo egli si affianca alla schiera di busti di Viri illustres che decoravano la stanza quale ultimo grande exemplum virtutis.

Il ciclo si rivela inoltre indicativo del gusto del committente, le cui preferenze in campo pittorico, sulla base anche dell'attribuzione a Domenichino degli affreschi nella galleria, si orientano verso la scuola carraccesca. Egli mostra così un gusto all'avanguardia, in linea con quello della Roma del primo ventennio del Seicento, e particolarmente sensibi­le alla qualità dell'opera, che ne fa un conoscitore attento e lo distingue dal prozio Sisto V, più interessato ai contenuti e alla rapida esecuzione che alla qualità pittorica.

NOTE

102 MADONNA 1993 (a), p. 153.

103 MASSIMO 1836, pp. 42-58.

104 MADONNA 1993 (a), pp. 152-155.

105 L'unico ciclo di storie del pian terreno, dedicato alla Passione di Cristo, decorava la volta dell'ambiente a sinistra dell'ingresso. Era stato eseguito in anni successivi il periodo sistino, quando qui era stata trasferita la cappella situata in origine al terzo piano. Oltre alle sale di rappresentanza, anche il corridoio del piano nobile presentava un fregio con Storie di Salomone, affiancato da due scene apologetiche dell'ordine francescano e del cardinale: il Sogno di Innocenzo III e il Cardinale nel suo studio. Al piano superiore, nella volta del corridoio centrale, i paesaggi erano intervallati da scene tratte dalla Genesi; nella galleria (M) trovavano posto un San Francesco che ricere le stigmate e una Visione di sant'Eustachio, mentre la stanza S, originariamente adibita a cappella, ospitava un fregio con scene della Vita di Abramo e, come pala d'altare una Madonna con Bambino fra angeli che recano miele e i santi Francesco e Lucia adorantidi Alessandro Allori. La tela, cm 258 x 167, firmata e datata 1583, è attualmente conservata alla National Gallery di Cardiff. Donata al cardinal Montalto dal cardinale Ferdinando de' Medici, nel 1830 fu portata dai principi Massimo nel loro Palazzo alle Colonne e, nel 1969, acquistata dal Museo di Cardiff, cfr.MADONNA 1993 (a), tav. XXIV. Secondo Vittorio Massimo invece la tela fu commissionata da Felice Peretti ad Allori per mezzo dell'amico cardinale Salviati, all'epoca committente di vari lavori del pittore fiorentino, vedi MASSIMO 1836, pp. 55-56.

106 MASSIMO 1836, pp. 42-43.

107 Su questo punto ci si può solo affidare alle parole di MASSIMO 1836, p. 42: «gli af­freschi di questo palazzo [...] sono assai preferibili a quei dell'altro Palazzo verso le Terme [...] come anche a molte altre delle pitture, che adornano gli edifici innalzati sotto il suo pontificato».

108 MASSIMO 1836, p. 42.

109 Soggetti mitologici, eccezioni nel contesto decorativo del Casino, comparivano nelle logge ( L e V in fìg. 11 ). Al primo piano Apollo e le Muse e Minerva tra Scienza e le Arti affian­cavano lo stemma Peretti; al secondo la Nascita di GioveErcole al bivio e Ercole incoronato dalle Virtù campeggiavano sulla volta, mentre i paesaggi alle pareti erano ispirati a episodi biblici in cui il ruolo del protagonista era affidato a un leone, animale araldico del cardinal Montalto, cfr. MASSIMO 1836, pp. 50 e 53.

110 MADONNA 1993 (a), p. XVI, e EAD, 1993 (b), p. 48.

111 MASSIMO 1836, p. 125.

112 MASSIMO 1836, pp. 124-136. La decorazione dei due piani nobili è ricostruita nello schema di fig. 12. L'androne al piano terra esibiva la consueta decorazione a grottesche in­frammezzata da emblemi araldici di Sisto V, dei nipoti (sic)Michele e Alessandro Peretti Damasceni, delle famiglie Colonna e Orsini, legate ai Peretti dopo i matrimoni di Flavia e Orsina. L'araldica dominava anche la decorazione del primo piano nobile a eccezione della galleria (G), ambiente affrescato in un periodo successivo alla committenza sistina. Qui si potevano vedere figurazioni allegoriche di Apollo e delle Muse, ritratti di Socrate, Pitagora, Aristotele, Platone, e, sulla volta, uno sfondato illusionistico già di tipo barocco con nuvole e angeli che reggevano fra le mani gli stemmi Peretti, cfr. MASSIMO 1836, p. 132. Massimo attribuisce a Domenichino la realizzazione delle ligure dei quattro filosofi greci. La presenza di questo pittore confermerebbe la committenza del cardinale Alessandro. Nella descrizione del secondo piano nobile l'aiuto di Vittorio Massimo viene a mancare, poiché ai suoi tempi la condizione delle pitture era tale da non permetterne la lettura. Sopperisce parzialmente la Misura e stima delle pitture fatte nel Palazzotto che risponde nella Piazza di Termini della vigna di Nostro Signore, stesa da Cesare Nebbia e Giovanni Guerra e conservata nel Libro di tutta la spesa fatta da Nostro Signore Papa Sisto V nel Palazzo, botteghe, e granari sulla Piazza delle Terme, Roma, Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II, fondo Vitt: Em. n. 364, cc. 106-110 (pubblicato in appendice a BEVILACQUA 1992).

113 Distaccato per volontà di don Massimiliano Massimo poco prima della distruzione del Palaxxo alle Tenne, il fregio fu spostato nelle stanze del Collegio Massimo e poi tra sferito nella nuova sede dell'istituto all'EUR. Integro fino al 1960, fu smembrato con la conseguente dispersione delle raffigurazioni delle Virtù e degli emblemi araldici di Sisto V, Alessandro e Michele Peretti. Attualmente si conoscono i dodici pannelli con imprese urbane di Sisto V e l'emblema papale che decorava il soffitto, conservati al Collegio Massimo all'EUR, tredici Virtù conservate in una sala di Palazzo Ricci in via Giulia a Roma, due ora in collezione Gendell, e lo stemma di Michele Peretti ritrovato in una collezione privata romana. La ricomposizione e le caratteristiche di tale ciclo sono state studiate soprattutto da Mario Bevilacqua, si vedano BEVILACQUA 1992, MADONNA 1993 (a), pp. 156-162, e EAD. 1993 (b),pp. 52-53.

114BEVILACQUA 1992, p.721. In realtà tutti i riquadri componenti il fregio erano accom­pagnati da iscrizioni, sia le vedute che le Virtù. Ancora leggibili malgrado il distacco, essi sono anche descritti da MASSIMO 1836, pp. 129-131, fonte preziosa per ricostruire l'ordine secondo cui si susseguivano. Sulla parete corta a sud si trovavano le personificazioni StabilitasDistintio, Institia e Mansuetudo, a fianco dei pannelli raffiguranti La Scala Santa, La Colonna TraianaL'Obelisco Lateranense; la parete lunga a ovest vedeva susseguirsi OperatioL'allegoria dell'estirpazione dei malviventi, Electio, La Cappella Sistina e l'Obelisco EsquilinoGratia, L'Arme di Alessandro PerettiAuctoritasL'Obelisco Vaticano di fronte alla basilica di San Pietro, GratitudoL'Allegoria dell'AbbondanzaFidelitas; la seconda parete corta celebra­va L'Erezione dell'Acqua FeliceLa riconsacrazione della Colonna AntoninaLa costruzione dei lavatoi pubblici dt Termini, affiancando le scene alle virtù di ModestiaslustificatioVoluntas DeiInnocentia. Infine, al di sopra dell'unica parete priva di finestre, si potevano vedere FelicitasAcquedotto e Porto di CivitavecchiaSubsidiumObelisco di piazza del PopoloRecognitio Virtutis, Lo stemma di Michele PerettiTentatioL'Obelisco Lateranense,  IntrepiditasBonifica delle Paludi Pontine e costruzione del porto di TerracinaCorroboratio.

115 BEVILACQUA 1992, p. 720.

116 BARBERINI 1987, pp. 32-50, ha tentato di attribuire alcuni dei pannelli ad artisti quali Paul Brii e Paris Nogari.

117 MADONNA 1993 (a), p. 156.

118 Secondo Mario Bevilacqua il concetto di nobiltà acquisita per merito, e non per ere­dità di sangue, deve essere legato ai contatti fra la famiglia Peretti e il poeta Torquato Tasso, all'epoca risiedente a Roma e autore di un trattato sull'argomento,Il Forno ovvero della Nobiltà. A Roma il Tasso è ospite di Vincenzo Gonzaga, in rapporto con i Peretti; Torquato Tas­so è inoltre autore di versi d'occasione per il matrimonio Peretti-Orsini e per la conclusione dei lavori dell'Acqua Felice. Sui rapporti fra i Peretti e Tasso si vedano PASTOR 1928, pp. 174, 419, 431, 451, e BEVILACQUA 1992. Per il dibattito e la trattatistica sulla nobiltà nel periodo della Controriforma si veda AGUZZI BARBAGLI 1989.

119 BEVILACQUA 1992, p. 732.

120 MASSIMO 1836, pp. 134-135. Il Ritratto di Maria Felice, di scuola romana del XVII secolo, si trova presso il Collegio Massimo all'EUR. Per quest'opera si veda anche RUSSO DE CARO 1992. Maria Giulia BARBERINI 1987, p. 50, ha individuato alcuni dei quadri che dovevano costituire la collezione della famiglia Peretti: un San Giovanni Battista di Giovanni Baglione e un Giacobbe e Tamara di Lanfranco, oggi alla Galleria Corsini a Roma, un'Aurora di scuola bolognese dei primi del XVII secolo, ora di proprietà della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Roma, e una copia da Rubens oggi in collezione privata a Terni. Ap­parteneva alla famiglia anche la Madonna Montalto di Annibale Carracci oggi alla National Gallery di Londra, per cui cfr. BENATI in BENATI-RICCOMINI 2006, pp. 284-285.

121 II primo intervento di Eric Schleier sul ciclo Montalto è SCHLEIER 1968. A questo sono seguiti SCHLEILER 1972, VOLPE 1977, SCHLEIER 1981, TUYLL 1982, SCHLEIER 1983 pp. 43-49, fino a ID. 2001, pp. 128-139 e ai recenti interventi di DANIELE BENATI 2008 e di BELINDA GRANATA 2008.

122 Di questi solo l'opera di Domenichino è conservata in collezione pubblica ed esposta al Musée du Louvre, gli altri sono invece in collezioni private a Reggio Emilia, Genova e Bo­logna. L'Alessandro e la famiglia di Dario di Antiveduto Gramatica è noto solo attraverso una copia d'epoca. I tre dipinti restanti, stando alle fonti un Alessandro che distribuisce regali ai suoi ancora di Antiveduto Gramatica e due opere di Antonio Tempesta con Alessandro doma Bucefalo e Alessandro uccide il leone, sono al momento perduti. Il quadro del Domenichino, ricordato in collezione francese già nel XVII secolo, fu sostituito da una copia. Tutta la se­rie passò a Genova nel periodo in cui la villa apparteneva ai marchesi Negroni, e, per loro tramite, pervenne nelle mani della famiglia Doria, nel cui palazzo sono stati trovati quattro originali. È da qui che devono essere andate disperse le altre opere. Per la ricomposizione del ciclo, i dettagli sulle opere e le vicende collezionistiche, oltre alla bibliografia citata alla nota precedente, si veda anche CULATTI 2004.

123 CULATTI 2004.

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