SISTO V QUANDO ERA FELICE PERETTI (1521-1585)
- Scritto da uguerra
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Il quinquennio del pontificato di papa Sisto V (1585-1590) è certamente fra i più studiati dagli storici e ne fa fede una interminabile bibliografia che aumenta di anno in anno.
Ma si può e si deve gettare ancora un po’ di luce sulla persona e l’opera di Felice Peretti prima del suo pontificato, e scandagliare da parte degli studiosi diversi angoli inesplorati della sua vita, a cominciare dalla sua famiglia di origine, fino alla sua educazione e formazione, per arrivare alla vita del frate francescano, del vescovo e del cardinal Montalto.
Questa introduzione al terzo volume degli avvisi del periodo sistino vuole soffermarsi a volo d’uccello proprio su questo periodo. Mi limiterò a riassumere le varie fasi di tale cursus vitae, riportando gli studi effettuati e anche qualcosa di inedito.
Questo rimarcare il periodo precedente il pontificato è doveroso anche per ricordare a noi tutti questo anno 2021, anno celebrativo del quinto centenario della nascita di Felice, che vide la luce il 13 dicembre 2021 e si formò in quella che allora veniva chiamata la Marca d’Ancona, in quel lembo di terra picena compreso fra le vellutate spiagge di Grottammare e le dolci colline di Montalto.
1. Le origini paterne nella piccola Montalto
“Montalto” (1) è il nome e “piceno” è l’aggettivo che maggiormente ricorrono nelle biografie di Sisto V, fin dalle prime giunte fino a noi e scritte quando ancora il papa era in vita da persone a lui vicine o da anonimi autori contemporanei (2).
Non è inutile dire ciò, dal momento che all’inizio del Settecento qualcuno cominciò a dubitare della “italianità” e “marchigianità” di Sisto V, spostando le origini della sua famiglia sull’altra sponda dell’Adriatico e precisamente in Croazia. Infatti Carlo Bartolomeo Piazza, un erudito sacerdote milanese trapiantato a Roma e diventato arciprete di S. Maria in Cosmedin (ca. 1632-1713), parlando della chiesa romana di San Girolamo degli Schiavoni a Ripetta e dopo aver detto che Sisto V l’aveva restaurata ed abbellita, ne dice il motivo: “Perché riconoscendosi egli la sua origine, ed il natale de’ suoi maggiori nel quinto grado dalla Dalmazia, ovvero Illirico, portava gran venerazione a questo Santo Dottore, suo primo Nazionale. Da i manoscritti dell’Archivio della medesima Chiesa si cava, che il primo degli Antenati di Sisto venuto dalla Dalmazia nella Marca Anconitana, fù un tal Zanetto Peretti del luogo detto Crusciza nella Schiavonia; da cui ne discese Peretto, poi Antonio, Giacomo; e da questo Peretto, che fù il Padre di Felice... assunto al Pontificato”. (3). Nonostante le ricerche, “i manoscritti” citati dal Piazza non si sono mai trovati, e si è ipotizzato che i documenti dell’archivio di S. Girolamo dei Croati fossero stati volutamente inventati nella metà del ‘600 dal frate croato Jeronim Pastric (morto nel 1700), usati poi acriticamente dal Piazza (4). Altrettanto acriticamente il Tempesti accettò tale supposizione (5), mentre il Pastor respinge decisamente l’origine slava degli avi di Felice Peretti e accetta il cognome di Ricci da attribuire a Pietro alias Peretto, padre del pontefice (6). La presenza di altri di casa Peretti a Montalto risulta accertata già nel secolo XV (AM, fondo diplomatico 1513, [ma 1485], dic. 24: uno dei Priori della Terra di Montalto è ser Andrea Peretti).
L’ipotesi della patria croata di Sisto V è stata ripresa ultimamente da uno storico croato francescano, Marijan Zugaj (7), a cui ha risposto la ricerca di altri storici francescani italiani, basata su minuziose indagini negli archivi di Montalto, Venezia, Vaticano e S. Girolamo degli Schiavoni. (8). Inoltre è inoppugnabile che “gli atti notarili [di Montalto], tuttora esistenti, con le loro esatte annotazioni di agnomi e soprannomi onde districarsi fra gli omonimi, ci permettono di ricostruire l’albero genealogico fin quasi ai tempi della restaurazione dello stato ecclesiastico operata dal cardinale Egidio Albornoz (1353-1357)” (9)
Sembra che papa Sisto V non possedesse un cognome vero e proprio (10).
Egli era Felice, secondo figlio di Piergentile soprannominato “Peretto” (diminutivo di Piero, molto in uso a Montalto) (11), figlio di Giacomo, che a sua volta era figlio di Antonio e costui figlio di Cola, figlio di Andrea, figlio di Vanni, figlio di Nicola. Si arriva a ben sette generazioni di questa famiglia presente a Montalto e agli anni 1290-95 (12). Cola di Andrea compare negli atti notarili di Montalto già nel 1411 (13) e suo figlio Antonio (Antonius Cole Andree de castro Montis Alti), soprannominato “Riccio”, è teste in uno strumento dell’8 settembre 1457 (14). Piergentile detto Peretto, il padre del nostro Felice, è anch’egli presente negli atti notarili di Montalto, con il nome di Pericto Iacobi Antonii Cole, il 13 ottobre 1510 e il 20 settembre 1516 (15), cioè poco prima di sposarsi.
A conforto (se ci fosse ancora bisogno) della origine montaltese della famiglia Peretti mi limito (rimandando al poderoso volume del Gatti) ad alcune testimonianze di autori contemporanei e dello stesso papa Sisto, che mai ebbe alcun dubbio nell’affermare Montalto come sua “patria carissima”, frase che fece incidere nel più prezioso dei suoi meravigliosi doni inviati al piccolo castello di Montalto (16), accompagnandolo con frasi che solo un figlio tanto amante della sua terra di origine poteva scrivere: “Con quanto amore ed affetto noi amiamo la Terra di Montalto, nostra patria e nostra culla, voi lo potrete conoscere sia dalle molte grazie e benefici che fino ad oggi le abbiamo conferito, sia soprattutto ora dal presente donativo” (17).
Le stesse chiare affermazioni di avere Montalto come sua patria di origine le troviamo nella vita del Graziani, sicuramente letta dal papa:
- “A Montalto, piccolo borgo del Piceno tra Ascoli e Fermo... era nato il padre” (18).
- “Non solo a Roma [Sisto V] volle che restassero monumenti della sua munificenza, ma nel Piceno... a Montalto, da dove il padre era oriundo” (19).
- “Felice vestì l’abito presso Montalto... dove pure era nato il padre e fu ammesso alla vita francescana... e da questo momento riconobbe per patria Montalto, e perciò fu detto di Montalto” (20). D’ora in poi fra Felice Peretti si firmerà fra Felice da Montalto e sarà poi il vescovo Montalto e il Cardinal Montalto.
Esplicite anche le affermazioni di Felice Peretti, sia da frate che da cardinale, nelle sue lettere alla magistratura di Montalto:
- “Magnifici Signori Padri miei honoratissimi. Con quella amorevolezza et osservanza che debbo alla mia Patria, ho letta la di vostre Signorie di questo... essendo io Figlio vostro et Creatura vostra” (21).
- “Magnifici Signori Priori Padri miei osservantissimi... Scrivetemi pur liberamente, che me trovarete prontissimo per la mia patria a spendervi ciò che ho et posso” (22).
- “Di noi potete credere che, con ogni nostro potere, aiuteremo sempre la patria” (23).
Quando il 24 aprile 1585 l’umile figlio di Montalto divenne Sisto V, più nulla ormai ostacolava il nuovo papa nel favorire senza mezze misure la sua terra natia, e nel giro di pochi mesi si assistette ad un incalzare generoso e continuo di concessioni (24).
Dopo appena alcuni giorni diede ordine al tesoriere pontificio di distribuire a tutte le famiglie del paese duemila scudi (circa 17 scudi a famiglia) (25) e ordinò subito di ristrutturare gli statuti comunali, per dare al piccolo borgo una più completa piattaforma giuridica che lo ponesse alla pari dei migliori paesi della zona (26).
Nei due mesi successivi continua il gettito di privilegi: il 22 giugno 1585, in una stessa bolla, il papa concede al gruppo dei 14 paesi che componevano il “Presidato di Farfa” alcuni privilegi: il diritto di nomina diretta del podestà e il libero commercio delle merci (27).
Appena tre giorni dopo, con un altro affettuosissimo breve (“per concedere qualche segno di amore e di benevolenza a questa nostra patria”), il papa concede a Montalto l’esenzione di ogni pagamento di tasse ordinarie e straordinarie per un periodo di otto anni (28).
Oltre a tali concessioni di natura politica ed economica, Sisto V comincia a pensare al rilancio ecclesiastico del piccolo borgo. Con la bolla “Misericors Dominus” del 2 agosto 1585, la chiesa parrocchiale di S. Maria del Colle viene elevata a collegiata, gestita cioè da un capitolo di dodici canonici, concedendo come dote della mensa capitolare i beni e la tenuta del monastero di Piobbico di Sarnano (29).
È sempre di quell’anno 1585 l’istituzione a Bologna del Collegio Montalto, con la bolla Omnipotentis Dei del 6 agosto, destinato ad ospitare gratuitamente venti alunni provenienti da Montalto e paesi limitrofi che si iscrivessero alla università bolognese, e per la sua sopravvivenza destinò ben tre abbazie (tra cui quelle di Panzano e di Stradella) e una cospicua rendita di mille scudi già destinata al vescovo di Rimini. (30).
A conclusione di questo esaltante periodo preparatorio giunge inatteso il dono del reliquiario, insieme ad altri argenti, preludio al sogno finale da lungo tempo accarezzato: l’elevazione del piccolo borgo a città e diocesi. L’iter burocratico del processo canonico di erezione fu di una velocità insolita, se si pensa che durò appena un mese e mezzo, come risulta dai resoconti arrivati a noi negli Atti concistoriali ufficiali e nei diari privati.
E il 14 novembre 1586 giunse a bolla di erezione della nuova diocesi di Montalto: “Super universas orbis ecclesias” (31) incuneata fra le antiche diocesi di Ascoli e di Fermo e confinante con la recentissima diocesi di Ripatransone e dotata di grandiose rendite, tra cui l’antica abbazia di Montesanto (32)
Ma i favori elargiti a Montalto da questo “suo figlio” non erano ancora terminati.
Con il breve “Postquam Nos” del 13 dicembre 1586 (giorno del compleanno del Papa) Sisto V costituì Montalto come centro e capitale del nuovo Presidato, composto da 17 fra città e terre e sede di un governatore di nomina papale (33)
L’8 gennaio 1587, il Papa prelevò dai magazzini vaticani e consegnò al primo vescovo di Montalto, Giovannini, preziosi paramenti e diversi oggetti liturgici d’argento per la nuova cattedrale di Montalto (34).
Il 13 febbraio 1588, con il breve “Cum ad visitandas”, Sisto V istituì a Montalto un ispettorato medico provinciale, un “protomedico”, con compiti di responsabilità nelle ispezioni di botteghe e farmacie dell’intero Presidato (35).
Il 4 luglio 1587, con la bolla “In supremo” Sisto V concesse a Montalto la fondazione di una zecca che battesse autonomamente moneta. (36).
Con un breve del 10 dicembre 1586 fu ancora concesso a Montalto di impiantare una tipografia propria, per l’utilità di tutto il Presidato. Titolare della stessa fu il tipografo veneto Giovanni Giubar, che si era nel frattempo trasferito a Montalto con l’attrezzatura necessaria e al quale fu indirizzato lo stesso breve papale (37).
Tutta questa filiale attenzione di papa Sisto per la sua Montalto trova puntuale riscontro negli avvisi:
- 1° ottobre 1586: “L’audienze sono durate in detto Concistoro da 2 hore, et dopo quelle Nostro Signore ha esposto il desiderio suo d’erigere in Città la Terra di Montalto Patria di Sua Beatitudine, nella quale haveva di già per di poi dare quell’honore fatta una chiesa et honorata d’alcune dignità, benché da se stessa non si rendeva da meritare questo favore, essendo da 300 fuochi habitata” (c. 489v/86).
- 1° novembre 1586: “Nella congregatione che si fece l’altro giorno in casa di Aragona con l’intervento delli Cardinali Albano, San Marcello, Salviati et Azzolino... si trattò di constituire la Diocese alla futura chiesa di Montalto” (c. 525v/86).
- 15 novembre 1586: “Hieri fu Concistoro, nel quale Aragona propose l’eretione in Città della Terra di Montalto con le pezze scritte unite a quel Vescovato di valore di più di mille scudi, essendosi Aragona in quella sua propositione diportato talmente bene, che da tutti ne riportò incredibil lode” (c. 543v/86).
- 10 novembre 1586: “Nel concistoro di questa matina Aragona ha preconizzata la persona di messer Paolo Emilio Giovannini marchiano al Vescovato di Montalto, huomo di molta bontà et valore et di meriti presso a questa corte et al Papa, di 60 anni d’età” (c. 549r/86).
- 9 maggio 1587: “Monsignor Marcolino (38), partito per il suo governo di Montalto, ha da Nostro Signore havuto mille scudi per maritare 10 Donzelle di quella Terra” (c. 178v/87); “Oltre allo scritto Monsignor Marcolino portò seco una cassa d’argenti per donare alla Cathedrale di Montalto, et in molte cose ancora la voluntà medesima del Papa intorno (co’l giuditio dell’Architetto, che ha condotto) ad allargare il cinto di quella Terra, et farvi un capacissimo Palazzo” (c. 186r/87); “Monsignor Marcolino ha mandato il disegno et modello di quelle strade et fabriche, che il Papa ha intentione, che si facciano a Montalto, acciò Sua Beatitudine vegga et risolva che cosa si ha da fare sopra questo” (c. 246r/87).
- 17 ottobre 1587: “Giovedì matina partì il Cardinal di Perugia verso Loreto et seco il cavalier Fontana, dovendo insieme arrivare a Montalto et ivi dar ordine di cingere la città di nuovi muri di maggiore circuito delli primi, nobilitando il luogo di moderni edificij, et con chiudervi dentro colli, et luoghi ameni, drizzarvi strade, et disegnar nuove strutture, et Palazzi, secondo la pianta che tiene il Papa et vede con gusto” (c. 443v/87).
- 10 giugno 1589: “Alli 29 del passato fu posta la prima pietra nella nuova et bella fabrica della chiesa et Palazzo che Nostro Signore fa construere in Montalto sua Patria, la cui spesa ascenderà a 400 mila scudi, tra tanto l’assegnamento di Sua Santità per tal fabrica non è che di 500 scudi la settimana, et poiché si son dati tutti gli ordini, che bisognano per questa, et per altre opere dentro et fuori della Città conforme al precetto di Sua Beatitudine, se ne torna il Patriarca Biondo” (c. 359r/89).
Si era dato a Montalto più di quanto si poteva anche lontanamente pensare appena qualche anno prima. Quella piccola “terra” del Piceno era stata messa davvero su un “monte alto”, e tutto per affetto “campanilistico” di un suo figlio devoto (39). Questo figlio che in una lunetta del primo atrio di ingresso al grande salone della nuova biblioteca, che da papa fece costruire e decorare fra il 1585 e il 1588 dai pittori Giovanni Guerra e Cesare Nebbia (aiutati da un gran numero di pittori fra i quali Giovanni Baglione, Prospero Orsi e Andrea Lilio) volle ci fosse raffigurata Montalto e fece apporre i seguenti delicatissimi versi: “Montaltum Sixto patrem donavit habere / Montalto Sixtus donat habere patrem”, “Montalto donò un padre a Sisto, Sisto si dona come padre a Montalto” (40).
Per quanto riguarda il termine “piceno”, è sufficiente leggere l’epigrafe collocata sulla tomba del papa, nella cappella del Sacramento in Santa Maria Maggiore, che così recita: “Cupris ad litus superi maris in Piceno natus, Montalti educatus”.
2. La madre MARIANA da Frontillo
L’unica volta che in questi nostri avvisi si cita la madre di papa Sisto è nel dicembre 1589, quando il papa creò cardinale il governatore di Roma, Mariano Pierbenedetti, non solo per i suoi meriti, ma anche perché era originario di Camerino, patria della madre del papa: “Del Governatore per essere bravo Theologo... et per rinovare in questo sogetto la memoria della madre di Sua Beatitudine, che fu da Camerino, patria di esso Governatore” (c. 765v/89).
In realtà non è la città di Camerino il luogo natale di Mariana, la madre di Sisto V, ma un piccolo borgo del territorio camerte, Frontillo (41).
È normale che in alcuni documenti romani si citi Camerino e non Frontillo, dal momento che è più facile citare la città più grande e famosa, piuttosto che la piccola e sconosciuta frazione. Così, ad esempio, si legge negli “Acta concistorialia” del cardinale Giulio Antonio Santoro, detto di Santa Severina (morto nel 1602), quando fa dire al papa che “sua madre ebbe origine nella città di Camerino, e che suo padre era qui al tempo del duca Valentino [Borgia nel 1502] ed in grande povertà, perché gli erano state tolti tutti i beni” (42).
Ma tutti gli altri documenti parlano di Frontillo come luogo di nascita di Mariana.
- Il citato anonimo Capitolino delle “Memorie in forma di Annali del pontificato di Sisto V” scrive: “La madre hebbe nome Mariana... Nacque in Frontillo, Villa dello stato di Camerino”.
- Così si legge ancora in un altro manoscritto latino anonimo di fine Cinquecento della Biblioteca vaticana: “Sisto V ebbe come madre Mariana, famiglia onesta ma di cui si hanno poche notizie... Alcuni hanno detto falsamente che era di Camerino ed invece era del territorio di Camerino. La patria di Mariana infatti fu Frontillo, un piccolo borgo della campagna camerte” (43).
- Più esplicito è un altro manoscritto, considerato di A. De Bichis, che nella “Relatione della nascita, vita e morte di Papa Sisto V” scrive: “Mariana nacque in Frontillo, villa dello Stato di Camerino, la quale si vede a mano dritta in Valle di Chiento nella strada che si fa nell’andare da Roma a Loreto, poco prima di giongere ad un luogo detto volgarmente la Polverina, onde hebbe origine l’errore di coloro che scrissero Mariana essere stata da Camerino (...). Di che cognome o casa si fosse Mariana madre di Sisto non si sa di certo; dissero alcuni de Rinvoci” (44).
- Certamente assai prezioso e ricco di notizie sul ramo materno di Sisto V è un atto notarile del 22 luglio 1585 (cioè tre mesi dopo l’elezione del card. Peretti al papato) rogato dal notaio Porfirio Antici di Camerino (45), dal titolo: «Depositioni d’alcuni testimoni sopra la descendenza di Sisto V per via di Donne», in vista della statua da erigere a Sisto V, oriundo camerinese per via di madre. L’atto notarile è inserito nel famoso Codice Ottoboni latino 2427, pt. 1, cc. 151r-154v custodito presso la Biblioteca Apostolica Vaticana e riporta, inframezzando al latino del gergo notarile un simpatico italiano di fine Cinquecento, sei testimonianze in alcune persone del luogo, che illuminano sulla origine di Sisto V per parte materna. Questo il testo (46):
Depositioni d’alcuni testimoni sopra la descendenza di Sisto V per via di donne
c. 152r
Primus testis. Berardino quondam Pietro di Venantio da Frontillo, contado di Camerino di età di anni 74
In Dei Nomine Amen. Anno eiusdem Domini millesimo quingentesimo octuagesimo quinto, inditione XIII, tempore pontificatus sanctissimi in Cristo patris et domini nostri domini Sixti divina providentia papae quinti et mense julij die vero XXII. Actum in sindicatu villae Frontilli in possessione Berardini quondam Petri Venantii de dicta villa Frontilli iuxta bona dicti Berardini circum circa Berardinus quondam Petri Venantii de villa Frontilli, Communis civitatis Camerini testis pro veritate examinatus pro parte et ad instantiam dominae Celascae (Cesareae) quondam Jacobi de castro Florismontis comitatus civitatis predictae et ad presens uxoris Mattei Iacij de castro Antici comitatus civitatis predictae. Qui testis eius medio iuramento tactis etc. se deposuit prout infra, videlicet:
Da che io cognosco male et bene, sempre ho inteso dire da Pietrovenantio mio padre, che era di età di anni ottanta in circa, che di Venantio di Bartolomeo da Frontillo ne sono nate donna Mariana et donna Fenetiana, et di donna Mariana, ne son nati Felice, Prospero et donna Camilla, et di Fenetiana n’è nata donna Bellafiore, et di donna Bellafiore n’è nata donna Cesarea, al presente moglie di Matheo sopradetto. Et io per esser di età di anni settantaquattro in circa sempre ho inteso dire, et la publica voce et fama è, che la predetta Bellafiore madre di detta donna Cesarea era sorella consobrina del Illustrissimo et Reverendissimo Cardinal Mont’alto al presente Papa
c. 152v
Secundus testis. Iohannes Tomasso del quondam Pietro Matteo de Frontillo
Dicta die actum in supradicto loco etc.
Iohannes Thomas quondam Petri Mattei de Frontillo testis similiter iuratus et diligenter examinatus pro veritate prout infra deposuit, videlicet:
Io ho inteso da mio padre quale era di età di anni settantasiei in circa et anche da Angelo mio avo, di età di anni novanta quattro in circa, che di Venantio di Bartholomeo da Frontillo ne son già nate donna Mariana et donna Fenetiana, et di Mariana ne son nati Felice, Prospero, donna Camilla, et di Fenetiana n’è nata Bellafiore, et di Bellafiore n’è nata Cesarea al presente moglie di Mattheo Iacci d’Antico, qual Bellafiore sempre ho inteso dir publicamente che era sorella consobrina dell’Illustrissimo et Reverendissimo Cardinal Mont’Alto.
Tertius testis. Domino Matteo Ioannino pievano della Pieveogliana da Camerino
Dicta die
Actum in sindicatu castri Plebisbonelianae, videlicet in possessione Ecclesiae Santae Mariae de dicto castro in vocabulo Il Mercatale, iuxta bona dictae Ecclesiae a duobus, viam Communis et alia latera. Reverendus dominus Matteus Ioanninus plebanus Ecclesiae Sanctae Mariae de dicto castro Plebisbovelianae testis ut supra examinatus etc., qui testis eius medio iuramento more sacerdotali pro veritate deposuit prout infra, videlicet:
Io so che nel anno 1574 nel giorno di San Bartholomeo andai a Serravalle incontro al Illustrissimo et Reverendissimo Cardinal Mont’alto che è oggi Papa, quale fece colatione in detto loco vicino alla Fontana di Marsilio, hoste in Serravalle, et partendosi da Serravalle andò la sera a Camerino et smontò in vescovato da Mons. Vescovo Berardo Bongioanni (47), buona memoria, et la sera predetta desinò con detto Mons. Vescovo Berardo, con il quale anche fece colatione la matina
f. 153r
seguente, et la sera andò a desinare in casa di messer Fabio Ricucci da Camerino. La matina seguente quando il prefato Illustrissimo Cardinal Mont’alto era per partire se li presentò avandi donna Bellafiore di Frontillo, ci commise il predetto Illustrissimo Cardinale ad un suo gentihuomo che li desse alcuna quantità de dinari. Come detto gentihuomo li diede et partito che fu detto Illustrissimo Cardinale, Mons. Vescovo Berardo predetto me disse: il Cardinal Mont’alto ha recognosciuta una certa donna Bellafiore, nostra parochiana, per sua sorella consubrina et ha comesso detto Cardinal Mont’alto che se li dessero diece scudi, et più volte detto Mons. Vescovo disse ragionando con me che la detta Bellafiore era sorella consobrina del Cardinal Mont’alto, essendo che di ciò lui fusse benissimo informato.
Quartus testis. Benedetto del quondam Sebastiano della Pieve Ogliana, di età di anni 70.
Dicta die
Actum in predicto sindicatu Plevisbovelianae, videlicet in domo Benedicti Sebastiani, sita in dicta Plebe iuxta bona dicti Benedicti a duobus viam Communis et alia latera. Benedictus quondam Sebastiani de dicto castro Plevisbovelianae alter testis iuratus et diligenter examinatus, qui prout infra pro veritate deposuit, videlicet:
Io ho inteso più e più volte da Bastiano mio padre, che era di età di anni settantatre in circa, et da Catervo mio zio, di età di anni ottanta in circa, che detta Bellafiore di Frontillo, madre di Cesarea moglie oggi di Mattheo Iacci d’Antico, era sorella consobrina dell’Illustrissimo et Reverendissimo Cardinal Mont’Alto, et ho inteso dal sudetto Catervo di Angelo mio zio che pochi anni prima che
f. 153v
morisse si era esaminato, a tempo del Vescovo Berardo, sopra di questo, et in detto esamine haveva fatto fede delle predette cose: et la publica voce et fama è che la sopradetta Bellafiore era sorella consobrina di detto Illustrissimo Cardinal Mont’alto.
Quintus testis. Giovanni Maria Amico della Pieve Ogliana.
Die dicta
Actum in sindicatu Plebisbovelianae, in domo Ioannis Mariae Amici de dicto loco, iuxta bona dicti Ioannis Mariae a duobus, viam Communis et alia latera. Iohannes Maria Amicus de dicta Plebeboveliana alter testis ut supra examinatus eius medio iuramento infrascripta scire deposuit, videlicet:
Io so che alli anni passati quando l’Ilustrissimo Cardinal Mont’alto passò per Camerino per andar a Fermo, essendo alloggiato in vescovato con il Vescovo Berardo Bongioanni, la matina che esso Cardinal Mont’alto era per partire, mi trovai presente in vescovato quando donna Bellafiore di Frontillo se li
presentò avanti, et con la roccha alla centa abbracciò il detto Cardinal Mont’alto, dandoseli a cognoscer per sorella consobrina, et detto Illustrissimo Cardinal Mont’alto disse a detta Bellafiore: Perché non venisti giersera in casa di messer Fabio Ricucci, che essendo io hora per partire, essendo caricate le some, non ti posso far bene alcuno. Al quale rispose detta Bellafiore: Giersera non puoti haver commodità di parlarli.
f. 154r
Et così il detto Cardinale commise ad un suo gentilhuomo che li desse alcuna quantità di dinari, qual gentilhuomo cacciò mano alla borsia et li diede una quantità di paoli. Et ragionando io più et più volte con Nallo mio socero esso Nallo me diceva sempre che essa Bellafiore era sorella consobrina di detto Cardinal Mont’alto.
Sextus testis. Emilia moglie del quondam Sancte di Ansovino della villa di Colpoglina, di età di anni ottanta.
Die XXVIIII Iulii 1585.
Actum in villa Colpollinae comitatus civitatis Camerini, in domo haeredum quondam Sanctis Ansovini de dicta villa, iuxta bona dictorum haeredum a duobus, viam Communis et alia latera. Domina Emilia uxor quondam Sanctis Ansovini de dicta villa Colpollinae, altera testis iurata et diligenter examinata, etate annorum octuaginta quatuor in circa, pro veritate ut infra deposuit, videlicet:
Io so et me ricordo che donna Mariana moglie di Pierino et donna Finitiana di Venantio da Frontillo si erano sorelle carnali, et di detta donna Fenetiana n’è nata Bellafiore, et di Bellafiore n’è nata donna Cesarea, al presente moglie di Mattheo Iacci di Antico. Et me ricordo ancora quando la detta Mariana venne a Frontillo in casa di mio padre, et disse al detto mio padre pregandolo che volesse oprare con li parenti di essa Mariana, che volessero darli la dote promessali, perché Pierino suo marito la molestava continuamente per la detta dote; et mio padre fece l’imbassata alli parenti di essa donna Mariana, admonendoli che volessero darli la dote, et li disse: Ancora haveste fatto voi quel che ho fatto io, che ho maritate tante sorelle et datali la dote, et voi, per una che ne havete maritata, non volete darli la dote; et questo è quanto io so per la verità.
f. 154v
Et ego Porphirius Antiquus camers publicus Dei gratia Imperiali auctoritate notarius predictis omnibus et singulis interfui et praesens fui, et de eis rogatus extiti. Ideo hoc praesens publicum instrumentum seu examen scripsi et adnotavi et in hanc publicam formam redegi, quod meo solito signo nomine et cognomine duxi corroborandum in fidem premissorum, quod infra apposui consuetum, videlicet:
Signum mei Porphirius supradictus.
Queste sei testimonianze, riportate fedelmente nel bel linguaggio popolare, hanno il sapore della spontaneità, della genuinità e della freschezza. Le persone (tutte del territorio camerte) sono state appositamente scelte di età avanzata, tali che potevano ritornare indietro nella memoria, al tempo in cui “donna Mariana” era fra loro come giovane ragazza da maritare a “Pierino” di Montalto. Fanno sorridere alcuni particolari ricordi, come la richiesta insistente della dote da parte di Pierino, e la figura di Bellafiore, figlia di Feneziana e quindi nipote di Mariana (non viene detto se Feneziana abbia avuto altri figli e figlie) che intratiene un confidenziale rapporto con il già cardinal Montalto, fino ad arrivare da lui “con la roccha alla centa”, cioè con la conocchia appesa alla cintura, forse arrivata di corsa lasciando il lavoro domestico.
È chiaro che questo atto notarile dobbiamo collocarlo all’interno di quel fervore, che oggi potremmo chiamare “giornalistico”, che portava alla ricerca di notizie sul nuovo papa, la cui nascita e infanzia appariva alquanto sfocata agli occhi curiosi di Roma e del mondo e non collocabile all’interno di discendenze nobili o di alto rango.
Altrettanto rare sono le citazioni di Mariana negli anni successivi, quando lei viveva ormai a Montalto.
- L’11 ottobre 1554 viene venduto un podere “al maestro frate Felice da Montalto e a donna Mariana, madre di detto maestro Felice” (48).
- Il 20 aprile 1558 fra Felice, scrivendo da Venezia a frate Salvatore, zio paterno e già suo educatore nel convento francescano di Montalto, gli raccomanda con affetto filiale sua madre: “Zeo meo carissimo... state sano e siave raccomandata mia madre” (49).
Non mancarono biografie alquanto fantasiose, molto simili a cantastorie popolari, come un gruppo di anonime vite (una di questa, insieme ad altre simili, è detta “descritta dal R. D. Francesco Arciprete Pelichiari”) (50), il cui testo narra di Francesco Peretto, futuro marito di Mariana, che va a Camerino in cerca di lavoro: “Si pose a servire un Personaggio assai ricco in qualità di vignarolo, nel quale servizio egli si trattenne più di 6 mesi con sodisfatzione del Padrone, che veramente gli aveva posto un grande affetto. Aveva questo suo Padrone una Serva, che essendosi accesa nell’amore di Francesco, sentendolo celebrare dal Padrone, finalmente la fece chiedere in Moglie, e fù fatto questo Matrimonio con la suddetta Serva che si chiamava Gabbana, onde che Francesco s’acquistò il nome di Gabbanese”.
L’indubitabile legame di Mariana e della sua famiglia con Camerino e il suo territorio è testimoniato dalla statua bronzea che la città ha voluto innalzare a Sisto V, all’indomani della sua elezione al papato, opera dello scultore camerinese Tiburzio Vergelli (1555- 1609) che, proprio in quegli stessi anni, stava operando, insieme allo scultore Antonio Calcagni (1536-1593), a realizzare altre opere bronzee a Loreto. Nella stipula del contratto fra la magistratura comunale e l’artista si legge: “Si è convenuto di far tutta l’opera per 1500 scudi di moneta, messa nel loco tutta a sue spese. Et promette di darla finita in quindici mesi, cominciando dal principio di ottobre 1585, con finirsi al tempo sudetto”. (51) Nella targa di iscrizione centrale del basamento si legge chiaramente il riferimento alla origine materna del pontefice: “sixto v pont. max. - camertes unde maternam - originem duxit - iure optimo posuerunt - pontificatus sui anno i - mdlxxxviii”.
3. Grottammare, luogo di nascita e infanzia
- Il letterato e stimato storico Pietro Galesini (52), nei suoi “Annales rerum Sixti V Pontificis Maximi”, che si trovano manoscritti nella Biblioteca Vaticana, scrive a proposito della nascita di Felice: “Sisto V nacque il venerdì 13 dicembre 1521, festa di santa Lucia martire, circa alle ore 16... a Grottammare... Fu battezzato il giorno di santo Stefano, e prima di lui i genitori avevano avuto una femmina, un maschio, un’altra femmina. Dopo Felice avrenno altri tre maschi. La famiglia Peretti è oriunda da Montalto nel Piceno; il padre si chiamava Peretto, detto dei Peretti, nato a Montalto” (53).
- Nel già citato Anonimo Cinquecentesco Vaticano (cod. vat. lat. 5563) si legge su Grottammare: “In questa oscura località, nobilissima però se si riflette sulla sua antichità, distante dieci mila passi dal borgo di Montalto dove ebbe origine la famiglia Peretti, è nato Sisto” (54).
- Il codice 12141 riporta la seguente testimonianza: “Un villaggio nel territorio di Fermo si gloria di avergli dato la nascita e la culla. Gli abitanti chiamano quel villaggio Grotte al mare, dove ritengono fosse un tempo l’antica Cupra, città non oscura del Piceno, ricordata da Plinio e da Solino” (55).
Perché Felice è nato a Grottammare e non nella sua casa paterna di Montalto, abitata dalla sua famiglia da antica data?
Il Tempesti dice che papa Sisto nacque a Grottammare “per contingenza” (56).
Suo padre Peretto aveva dovuto trasferirsi dalla sua Montalto nella amena località lambita dall’Adriatico almeno già dal 1518, dopo il “guasto” del 1517 operato contro Montalto dalle truppe di Francesco Maria I della Rovere, duca d’Urbino, in guerra con papa Leone X de’ Medici, che voleva mettere al posto dello spodestato Francesco il suo nipote Lorenzino de’ Medici. Il duca Francesco per quasi tre anni (1516 - 4 maggio 1519) dovette rifugiarsi presso il cognato, il duca di Mantova Francesco Gonzaga, assoldando truppe tedesche e spagnole per la riconquista del suo ducato. Sconfitto Lorenzino, Francesco Maria I della Rovere riuscì a riprendersi il ducato solo dopo la morte di Leone X, avvenuta il 1° dicembre 1521.
Nel frattempo, per rifarsi di paghe insolute, le soldatesche del duca si accontentavano di razziare e taglieggiare le popolazioni delle terre marchigiane e anche Montalto ebbe l’assalto delle truppe dell’ex duca d’Urbino, probabilmente per la sua posizione geografica, posta com’era su un alto colle, tra due fiumi e quasi al centro delle terre farfensi. Per molte famiglie del luogo era possibile solo la fuga e tra i fuggitivi vi era anche Piergentile Peretto, che subì un vero e proprio esilio con la confisca dei suoi beni. Dice il Pistolesi (citando il Gallesini): “Le famiglie primarie paventando la perdita della vita e dell’onore, ebbero appena il tempo di trafugare quanto di più caro poterono condur seco nella fuga precipitosa: lasciarono le case arredate, gli utensili, le biade, le raccolte ed i campi in preda dell’invasore” (57). Lo stesso figlio Felice scriverà nel 1554: “Di beni paterni dichiaro di nulla possedere, perché nel mio ingresso in Religione mio padre era bandito e li suoi beni confiscati” (58). Il motivo di tale esilio non fu per debiti, come scrisse il Ranke (59), anche se Peretto era talvolta nell’elenco dei “malpaganti”, posizione a quei tempi molto comune a molte famiglie. Infatti per le insolvenze di pagamento poteva esserci la requisizione dei beni o al massimo il carcere, non l’esilio. Sembra invece che l’esilio possa essere collegato con motivi “politici”, a causa di una compromissione della famiglia di Peretto con il dominio del duca Della Rovere e i suoi amici, dominio che durò a Montalto un anno, fino al 1518. Nella vicina Fermo vi erano due fazioni (pro o contro papa Leone X) capitanati rispettivamente da Bartolomeo Brancadoro e Ludovico Uffreducci e le stesse fazioni si ripercuotevano nei paesi vicini. è probabile che Peretto abbia parteggiato per Uffreducci e sia quindi incorso nel bando d’esilio comminato dalla parte ecclesiastica, emesso contro di lui dal podestà e confermato dal vicelegato papale della Marca. Ciò spiegherebbe perché Peretto si rifugiò a Grottammare, un castello del comitato fermano, e non volle rimanere a Montalto, paese sottoposto ad un più stretto controllo papale (60)Viene da pensare se il nome Felice, che Piergentile diede a suo figlio che nasce il 13 dicembre 1521, possa essere considerato come un segno augurale per tempi migliori, riflettendo che papa Leone X era morto appena 12 giorni prima. Forse anche al secondo figlio maschio Peretto mise un nome augurale, dal momento che lo chiamò Prospero, come speranza di una conquistata pace e prosperità dopo l’esilio dalla patria.
- Nella citata biografia del Graziani si riportano alcuni interessanti dettagli che illuminano il periodo trascorso dalla famiglia Peretti a Grottammare: “Il villaggio di Grotta nel territorio di Fermo si gloria di avergli dato la mascita e la culla. Egli nacque il giorno 13 dicembre 1521 quando il padre lavorava un orto di una ricca signora fermana. Ed è degno di memoria il fatto che costei, per segnalata grazia del Signore, non solo visse fino al pontificato di Sisto ma, sebbene vecchia cadente, volle essere condotta a Roma per rimirare Pontefice, al sommo della potenza umana, colui che era stato il figlio del suo ortolano e che era nato a casa sua e che essa aveva cresciuto con poveri cibi” (61). E fra le correzioni di questo brano vi sono due frasi aggiunte: “È nato il 13 dicembre, di venerdì, alle ore 16, nella festa di santa Lucia del 1521” e “Il padre Peretto lavorava l’orto del fermano Ludovico De Vecchis” (62). Se il Graziani insiste su questi piccoli dettagli che, come sembra, sono stati letti, approvati e completati dallo stesso papa Sisto, è perché vuole far conoscere la precedente vita del nuovo papa quale è stata realmente, al fine di non lasciarla nel vago e preda di facili invenzioni che potevano scaturire dalla fantasia popolare o da penne troppo indulgenti e adulatorie.
Possiamo immaginare che gli anni dell’infanzia di Felice a Grottammare non furono certamente spensierati e facili: era sempre figlio di un esiliato politico, di un estraneo in quella antica comunità, di un lavoratore a servizio di famiglie più agiate, ed è vero che - come dice Dante - “sa di sale lo pane altrui, e com’è duro calle lo scendere e’l salir per l’altrui scale” (63).
Si legge ancora nella vita del Graziani: “I genitori del sommo pontefice Sisto V furono di grande onestà e rettitudine, ma di condizione così umile e povera che stentavano la vita con le fatiche giornaliere e con la coltivazione di un campicello preso a lavorare da altri... Invero anche i Piceni ricordano che fa fanciullo pasceva gli armenti del padrone del padre, cosa che egli non solo non nega, ma professa apertamente, sapendo bene che è maggior gloria acquistare la nobiltà per i posteri che riceverla dagli antenati” (64).
E papa Sisto non farà mai mistero del periodo difficile della sua infanzia e lo racconterà a cardinali e principi. In un avviso scritto ad elezione appena avvenuta si legge: “Il Papa con molto dolcezza racconta tuttavia à chi prima non lo disse le sue bassezze, et infinità, cioè d’esser nato in una grotta (65) alla campagna, havere pasciuto i porci, al bosco tagliato le legne, alla foresta raccolta la cicorea, zappato l’horto, spazzato le chiese, sonato le campane, et cose simili” (vol. I, c. 195v/85). E il giorno prima della sua incoronazione aveva parlato con il marchese tedesco di Baden del suo essere stato “ortolano”: “Era la sera innanzi stato dal Papa à licentiarsi, che tanto l’abbracciò, et lo baciò, come se di Sua Santità istessa fosse nato, scongiurandolo à dirle s’haveva (seben principe grande, et essere fuori di casa sua) bisogno di denari, ò d’altra cosa, perché Sua Santità poteva consolarlo, hora, che di povero hortolano era diventato ricco giardiniere” (vol. I, c. 211r/85).
- Papa Sisto non dimenticò mai il suo paese di nascita, neppure da papa. Il 12 giugno 1585, due mesi dopo l’elevazione al pontificato, papa Sisto volle istituire anche a Grottammare (come già aveva fatto da cardinale sette anni prima per Montalto) una scuola pubblica per l’educazione culturale del suo luogo natale. Fu redatto a Roma un atto dal notaio Tarquinio Cavallucci (Caballutius) con cui il cardinale si impegnava ad evolvere mille scudi per pagare un maestro di grammatica, retorica e greco. Il motivo di tale donazione è esplicito: “Quantunque suo padre era di Montalto del Presidato della Marca di Ancona, nacque nella Terra di Grottammare del comitato di Fermo, per cui amava moltissimo nel Signore tale Terra e i suoi abitanti in ragione della sua nascita” (66).
- La nascita di papa Sisto il 13 dicembre, festa di santa Lucia gli offrirà spesso l’occasione di esaltare questa santa e volle che si costruisse a Grottammare una chiesa in onore della martire siracusana sul sito della sua casa natale. L’incarico fu affidato al primo vescovo della nuova diocesi di Montalto, Paolo Emilio Giovannini. Il 16 aprile 1590, il Giovannini fece una dettagliata relazione a papa Sisto per metterlo al corrente dei lavori della chiesa: “Beatissimo Padre. Andai ieri alle Grotte per l’avviso che me diede mons Governatore di questa città che M.o Bartolomeo architetto voleva cominciare a fondare la Chiesa. Piantai la croce nel luoco dell’altare maggiore: e questa mattina, con la gratia di Dio, ho messa la prima pietra nel fondamento della detta Chiesa col titolo di S.ta Lucia” (67 ).
Le ultime acquisizioni storiografiche sulla chiesa di S. Lucia di Grottammare (68), hanno consentito di chiarire che la committenza, l’autore e il progetto originario della chiesa di S. Lucia di Grottammare sono da attribuirsi direttamente a papa Sisto V e solo in secondo tempo all’iniziativa di Camilla Peretti, sua sorella. L’errata attribuzione esclusiva a Camilla si è basata su una medaglia commemorativa, coniata nel 1590 (che reca nel dritto la scritta: camilla peretta syxti v p.m. soror e nel rovescio è raffigurata la facciata di una chiesa con la scritta: santa lucia an d. mdlxxxx), sulla scritta incisa sulla campana della chiesa (divae luciae cuius die festo / sixtus v pontifex maximus / in lucem editus / camilla peretta eius soror / hanc ecclesiam / ubi ambo nati sunt / propriis sumptibus / estruxit et donavit / anno domini mdxcv) e sulla iscrizione del portale maggiore della chiesa (dive lucie camilla pirieeta dicavit) (69).
Per questa chiesa di S. Lucia di Grottammare si scomodarono gli architetti pontifici, tra cui Domenico Fontana e Pompeo Floriani, ma poco prima della morte del papa nulla ancora si vedeva della chiesa di S. Lucia. I quattromila scudi inviati dall’erario pontificio erano già finiti per pagare le case acquistate nell’area della futura chiesa (abbattendo purtroppo anche la piccola casa dei Peretti) e per fare un solo muraglione che doveva servire da fondazione. Alla morte di papa Sisto, anche i lavori di S. Lucia ebbero un’interruzione e fu la volontà e l’intraprendenza della sorella Camilla a continuare e terminare a sue spese il progetto sistino, anche se ridimensionato. Il 24 febbraio 1591 Camilla scriveva all’architetto Floriani chiedendogli di recarsi a Grottammare per dare una valutazione dei lavori già fatti e di quelli da farsi. (70). Come dice l’iscrizione posta nella campana della chiesa, i lavori ultimarono dentro il 1595 e, stando al registro delle spese, occorsero, per questo periodo, poco più di 9.000 scudi (71).
Il 9 gennaio 1597 papa Clemente VIII, con la bolla “Immensa Dei Providentia”, elevò la chiesa a collegiata. La stessa bolla ci dà la notizia che Donna Camilla aveva speso in totale per la costruzione della chiesa 18.000 scudi romani, cui aggiunse altri 7.200 scudi per completarla e dotarla di paramenti. Dentro la chiesa una lapide recita: “Da Piergentile di Montalto / stabilitosi da più anni per lavoro a / Grottammare / ove sposò Marianna di Camerino / prospero in questo luogo / nacque Felice Peretti il 13 dicembre MDXXI. / Vi trascorse la novennale fanciullezza/ ingrandì altrove il suo carattere negli studi / per diffondere sul mondo / la luce del genio di Sisto V. / La sorella Camilla pur qui nata / dedicò la povera casa / a luogo di adorazione / in ringraziamento a Santa Lucia. / Grottammare / nel IV centenario della nascita / con orgoglio al più grande cittadino” (72).
La permanenza di alcuni componenti della famiglia Peretti a Grottammare, anche quando Peretto tornò a Montalto, ha lasciato traccia nei documenti notarili. Infatti sappiamo che una sorella di Peretto, Piacentina, seguì il fratello a Grottammare e più tardi sposò Costantino di Piersante Santori e morì nel 1551. Il fondo notarile di Grottammare è depositato presso l’Archivio di Stato di Ascoli ed è costituito da 505 volumi inventariati ed altri fuori inventario. Al volume fuori inventario 535 vi sono due documenti (cc. 55v e 68v) che “danno conto della presenza a Grottammare di componenti la famiglia Peretti (Perittus de Monte Alto) nel 1554” (73).
Oggi, proprio nella piazzetta del “Paese alto”, tante volte attraversata dal piccolo Felice, una statua di papa Sisto (opera del 1794 di Stefano Interlenghi) benedice l’antico castello e i suoi abitanti.
4. Il ritorno della famiglia Peretti a Montalto
Dopo circa un decennio (solitamente l’esilio era per dieci anni), nel 1530 circa la famiglia Peretti poté ritornare a Montalto, e Felice, che a Grottammare aveva potuto frequentare la scuola di “leggere e scrivere” nel convento dei Frati Agostiniani, continuò lo studio in un altro convento, quello dei frati Minori conventuali di San Francesco “delle Fratte”, lontano dall’abitato circa un miglio (74).
Qui era responsabile fra Salvatore, fratello di Piergentile detto “Peretto” e quindi zio di Felice (75). Fra Salvatore fu guardiano del convento montaltese nel 1528-31, 1533-34, 1543, 1546 e viene spesso citato dai numerosi documenti esistenti presso l’archivio notarile e comunale di Montalto. Egli curò gli interessi del convento per oltre quaranta anni: concludeva permute, acquistava, dava in affitto i terreni della comunità, rivendeva al minuto ai poveri le derrate conservate nel convento. Severo osservante della regola francescana, fu esemplare nella pietà e nello zelo e riscosse grande stima presso i suoi superiori e la comunità montaltese. Morirà ottuagenario verso il 1568 (76).
In questo convento e nella scuola pubblica di Montalto Felice iniziò la sua formazione spirituale e incrementò la sua formazione culturale: imparò la grammatica, la retorica, la poesia latina sotto validi insegnanti del luogo e dei dintorni: Vincenzo Ferneto di Montedinove, Naufilio (o Napulio) Filarete di S. Vittoria e Pietro di Patrignone (identificabile con Pio Ottaviano Umili da Patrignone). (77). Aveva appena nove anni (78).
All’età di dieci anni - narra il Tempesti - il ragazzo fece l’anno di prova del noviziato, vestendo l’abito religioso (79), terminato il quale “si strinse a Dio perpetuamente co’ voti solenni nel santo giorno delle Palme 1532, avendo egli undici anni” (80). Nell’occasione assunse il nome di fra Felice da Montalto. Questa denominazione (“da Montalto”) lo accompagnerà per tutto il resto della sua vita, dal momento che da vescovo si farà chiamare “monsignor Montalto” e da cardinale “cardinal Montalto”.
5. Gli studi, l’insegnamento e la predicazione
Poco sappiamo della formazione giovanile di fra Felice, che dovette essere abbastanza rigida nella disciplina e profonda nella preparazione culturale, che completerà nelle varie case della provincia delle Marche.
A questo punto gli storici hanno citato una serie di luoghi marchigiani per collocare i primi studi di fra Felice: Ascoli Piceno, Fermo, Macerata, Recanati, Osimo, Iesi, Pesaro, Ancona, Urbino, quasi che ogni luogo francescano delle Marche facesse a gara a farlo proprio. Per fare un po’ di ordine e andare sul sicuro, accettiamo le indicazioni del Parisciani, che cita le varie congregazioni e i capitoli provinciali dei frati conventuali della Marca.
È da escludere che i suoi primi studi li abbia fatti ad Ascoli, come non è sufficientemente provato che abbia trascorso un pur breve periodo a Recanati e ad Osimo. Forse inizialmente fu a Fermo. Nel 1538 fra Felice fu inviato sicuramente a Pesaro per lo studio della filosofia e l’anno seguente fu a Jesi. Nel 1540 lo troviamo a Roccacontrada (oggi Arcevia, in provincia di Ancona) e in questo anno fu ordinato suddiacono e probabilmente diacono, aprendosi per fra Felice l’incarico di predicatore. Fu infatti nella quaresima del 1540, a 19 anni, che si cimentò (eccezionalmente perché non ancora ordinato prete) nel suo primo “quaresimale” in Abruzzo, e precisamente a Montepagano, vicino a Roseto degli Abruzzi (81).
Nel settembre di quello stesso anno 1540 fra Felice fu inviato nel convento di Ferrara per i suoi studi superiori e vi rimarrà tre anni, come scriverà più tardi egli stesso: “Col nome di Dio il dì primo settembre, di mercordì, intrai in studio a Ferrara e ve ne finì il triennio sotto il reverendo maestro Bartholomeo de la Pergola” (82). Quasi tutti i biografi si soffermano a questo punto a decantare il grande zelo e l’ardente passione con cui fra Felice si tuffò nello studio, fino a studiare di notte presso la lanterna del chiostro o, se questa era spenta, alla luce della lampada del Santissimo in chiesa(83). Anche in questo tempo di studio fra Felice si dedicò alla predicazione: nel 1541 predica a Voghera di Ferrara, nel 1542 a Grignano Polesine, nel 1543 a Fratta Polesine.
Nel luglio 1543 fra Felice fu destinato allo Studio di Bologna, sotto la guida del dotto insegnante di metafisica Giovanni Bernieri da Correggio (1499 - 1553), e vi rimase fino al settembre 1544, senza trascurare la predicazione (a Canda di Badia Polesine).
Nel 1544 fu inviato a Rimini e vi rimase due anni in qualità insegnante di convento. Naturalmente non tralasciò la sua predicazione quaresimale: a Montescudo nel 1545 e a Macerata Feltria nel 1546.
Nel 1546 fu assegnato al convento di Siena, dove rimase tre anni ancora con la qualifica di “maestro di convento”. È durante il periodo senese che fra Felice, ormai venticinquenne, viene ordinato sacerdote e celebra la sua prima messa nella chiesa di San Francesco. Ed anche in questo periodo non trascura la predicazione: a San Gimignano, a San Miniato nel 1548. Fu anche nel 1548 che fra Felice si recò a Fermo per partecipare al capitolo provinciale della Marca, a cui egli apparteneva e qui a Fermo, il 27 luglio 1548, a 26 anni, ricevette la laurea dottorale e le insignia magistralia (il berretto e l’anello) direttamente dal suo generale dell’Ordine, Bonaventura Fauni, per concessione pontificia (84). Con questo titolo dottorale fra Felice diventa reggente dello Studio di Siena.
L’anno successivo, 1549, predicò la quaresima ad Ascoli Piceno, la città vicina alla sua Montalto (che certamente visitò) e a giugno fu ad Assisi al capitolo generale, dove si fece apprezzare per una accesa disputa teologica contro le tesi di Antonio Persico, seguace del filosofo Telesio, e dove soprattutto fu conosciuto e stimato dal cardinal Rodolfo Pio da Carpi, protettore dell’Ordine conventuale (85).
Nel 1551 fra Felice predicò a Camerino, la terra che aveva dato i natali a sua madre Mariana. A giugno dello stesso anno passò a Montalto e con un atto notarile designò suo zio fra Salvatore suo procuratore e curatore. In quell’atto si firma per la prima volta per esteso “Frater Felix Perectus de Monte Alto”.
La sua fama di ottimo e dotto predicatore lo portò a predicare a Roma nella quaresima del 1552 nella chiesa dei Santi Apostoli. Fu questa l’occasione per essere conosciuto ed apprezzato dal commissario generale dell’inquisizione, il domenicano Michele Ghislieri, futuro papa dal 1566 al 1572 con il nome di Pio V. L’apprezzamento gli venne anche dall’amicizia con Ignazio di Loyola e Filippo Neri, grandi figure che hanno inciso fortemente nella spiritualità della Roma del Cinquecento. Dopo il quaresimale fu chiesto a fra Felice, da parte di alcuni cardinali, di rimanere a Roma per tutto quell’anno, con il compito di commentare, tre volte la settimana, la Lettera di Paolo ai Romani (86). Il compito affidatogli era di estrema importanza, specie da quando Lutero aveva scelto quel testo per divulgare le sue tesi.
Nel 1553 fra Felice predicò a Genova ed ebbe in quella città la nomina a reggente del prestigioso Studio di Napoli, che aveva sede nel convento di San Lorenzo Maggiore (87). Deve guidare e coordinare i molti maestri presenti nello Studio, senza naturalmente tralasciare l’impegno della predicazione, come nella festa dell’Immacolata del 1553 e il quaresimale del 1554 (88).
Nel 1555 fu a predicare la quaresima a Perugia (89) e poi, prima di tornare a Napoli, fu a Montalto (dove l’anno prima, il 1554, era morto suo padre Piergentile) per affari di famiglia e per lasciare tutti i beni paterni nelle mani di suo fratello Prospero, prossimo alle nozze.
6. Reggente e inquisitore generale a Venezia
Nel maggio 1556 fra Felice da Montalto, reggente dello Studio di Napoli, fu promosso per tre anni reggente dello Studio di Venezia, con sede nel grande convento de’ Frari (capace di ospitare anche 100 religiosi) accanto alla chiesa di Santa Maria Gloriosa (la più grande di Venezia). A giugno era già a Venezia, nonostante si dicesse che la peste era presente in laguna. Egli stesso scrisse: “Arrivai a Venezia alli 30 di giugno a salvamento per la gratia di Dio, e sono stato assai ben veduto a questi Padri. Vorrei mi mandasse per messer Camillo nostri l’infrasctitti libri, cioè i testi canonici, il Felino, il Decio, i Scoti, la Somma Ostiense” (90).
In realtà l’accoglienza non fu delle migliori, anzi ci fu una vera e propria fronda contro il frate marchigiano da parte dei suoi stessi confratelli (tra cui eccelleva la contrarietà del frate Andrea Micheli da Bergamo), che preferivano un altro candidato alla reggenza, un tal Antonio Posi. Il Peretti si tirò in disparte e se ne andò prima a Rovigo e poi a Ferrara (91). La cosa non piacque né al cardinale protettore Carpi né al ministro generale, e il 17 gennaio 1557 fra Peretti fu non solo riconfermato reggente dello studio veneziano, ma anche inquisitore generale di tutto il dominio veneto.
L’onore era grandissimo, ma era altrettanto pesante l’onere della carica. Venezia non era una città che vedeva di buon occhio l’ufficio dell’inquisizione: la città era piuttosto tollerante verso i liberi pensatori di qualsiasi tipo e religione, mentre il compito del Peretti era quello di inquisire sulla purezza della fede cattolica e sedere in tribunale tre volte la settimana. Fra Felice era imparziale e non eccessivo, ma altri invece, perfino i suoi confratelli, vedevano in lui troppa intransigenza e troppo zelo, per cui l’innata avversione al compromesso gli procurò diversi nemici, specie dopo la sua decisione di far stampare in città l’Indice dei libri proibiti.
Fra Peretti rimase a Venezia fino a metà del 1560, esplicando al meglio il suo ufficio, con quel giusto equilibrio richiesto dalle leggi canoniche e non senza un’altrettanta francescana misericordia. Ma l’ambiente di Venezia gli non era (non lo era mai stato fin dall’inizio) molto favorevole sempre pronto ad accusarlo di rigorismo, di eccessivo zelo e di ambiziosa superbia, per cui pensò bene di cambiare aria e di ritornarsene nell’agosto 1559 dapprima nella Marca e nella sua Montalto, per poi riportarsi a Roma per riferire al ministro generale il suo caso.
Il 25 febbraio 1560 fra Peretti era di nuovo a Venezia, per affrontare gli ultimi mesi della sua permanenza in quella città, dal momento che dovette costatare ancora una volta che l’ambiente veneto si era fatto piuttosto ostile e pesante verso il suo operato e che la sua dirittura morale e il suo scrupoloso dovere non erano ben accetti. Eppure il nuovo papa Pio IV lo aveva nominato “inquisitore apostolico”, cioè legato direttamente al papa e al Santo Ufficio. Il suo ritorno a Venezia questa volta fu ostacolato addirittura dalla stessa repubblica veneta (92). Era il colmo. Il Peretti si preparò ormai a fare le valigie e l’8 giugno 1560 scrisse al Bozio, segretario del cardinal Carpi, che se voleva inviargli la corrispondenza la doveva recapitare a Pesaro, presso il convento di San Francesco, perché lui si sarebbe recato là (93). Una personale soddisfazione gli procurò certamente una lettera dal cardinal Carpi, il suo personale protettore, datata 22 giugno 1560: “A voi deve bastare che siete stato trovato uomo da bene e che abbiate fatto l’officio vostro con quella carità ed integrità che a tale si conviene; onde se bene quegl’illustrissimi Signori per la malignità d’alcuni non si contentano che voi perseveriate in quell’officio, ciò vi ha da dare poco fastidio, non essendo alcun demerito vostro. Per[ci]ò verrete a Roma, dove sarete ben visto, né si mancherà di trattarvi et honorarvi in modo che non sarà se non un dispiacere di quelli, che tanto iniquamente han pensato farvi male” (94).
E il dispiacere per i frati francescani di Venezia giunse subito, dal momento che fra Felice Peretti fu l’ultimo inquisitore francescano, perché l’inquisizione veneta passò da quel momento ai domenicani (95). Il Peretti invece trovò a Roma non solo accoglienza ma anche quell’onore promessogli dal card. Carpi: infatti fu eletto teologo consultore dell’inquisizione di Roma, come egli stesso scrisse: “Fui fatto teologo assistente dell’inquisizione di Roma il 16 luglio 1560” (96).
SCHEDA sul Peretti inquisitore a Venezia
Del difficile periodo della vita di frate Peretti a Venezia e delle ostilità che dovette sopportare si parla già nelle prime biografie e nelle successive, anche se succintamente:
- L’Anonimo cinquecentesco vaticano ne parla al cap. VIII, e riassume i quattro anni veneziani con questa frase: “Dopo essere passato attraverso una grande invidia e ostilità di molti, arrivò ad onori molto più grandi” (97).
- Casimiro Tempesti. Quasi tutto il secondo libro [capitolo] della sua “Storia della vita e geste di Sisto Quinto” è dedicato alle “persecuzioni sofferte” e con una narrazione dettagliata e documentata narra a lungo del periodo veneziano, che potrebbe essere riassunto nella frase: “S’era scatenato contro il Peretti l’inferno” (p. 57). Ma mi sembra opportuno riportare dal Tempesti una lettera dello stesso fra Peretti, scritta a Sigismondo Bozio, segretario del cardinal Carpi, l’11 aprile 1560, qualche giorno prima di lasciare definitivamente Venezia: “Poiché li miei persecutori non mi possono offender con le prime querele, hora hanno provocato di nuovo questi Illustrissimi Signori [il Senato veneziano], e scrivono contro di me a Roma, con dire che io son troppo austero nell’officio, e che restando nell’officio va a pericolo di concitare tumulto... Dicono anchora che io ho scritto a Roma male de’ Signori, che non vollero stampar l’Indice, Etpure tengo risposte appresso di me del buon’uffitio che io facevo. Quando si risolvessero che io non havessi a continuar nell’offitio, V. S. Reverenda sia con l’Illustrissimo Patrone acciò habbia un’altra stanza, perché qui non potrei stare” (98).
- Leopold von Ranke, in un’opera forse la più equilibrata ed obiettiva mai scritta sul papato del XVI secolo, scrive. “Che egli trovasse resistenza nel suo ordine che cercava di riformare, e che una volta i suoi confratelli lo cacciassero da Venezia, tutto questo aumentava la considerazione della quale egli godeva presso i rappresentanti delle idee che stavano giungendo al potere” (99).
- Gaetano Moroni, nel suo monumentale dizionario, dice: “Fu inquisitore a Venezia, ma dov’è partire non senza essere incorso in qualche pericolo per avere scrupolosamente adempiuto gli obblighi del suo difficile ministero in quella repubblica potente e tanto gelosa della sua indipendenza” (100).
- Fabio Mutinelli, informatissimo delle cose di Venezia, afferma: “Per avere scrupolosamente adempito gli obblighi del suo difficile ministero nella capitale di una repubblica tanto gelosa di sua indipendenza dovette lasciar Venezia per non incorrere in qualche pericolo” (101).
- Ludwig von Pastor, nell’opera più completa su Sisto V, scrive: “Non mancarono le ostilità, che in parte traevano la loro origine nello stesso grande convento dei frati. Si faceva un addebito a lui non solo che non era veneziano, quindi d’essere un forestiero, ma gli veniva rimproverata pure l’eccessiva severità... A Venezia gli rimproveravano pure che egli avesse pubblicato prematuramente l’Indice di Paolo IV e che con ciò avesse danneggiato la Repubblica”. (102).
Credo però che ciò che manca a tutte queste frasi generiche sia una conoscenza più diretta non tanto dei fatti in generale, ma di quanto e come fra Felice Peretti abbia effettivamente operato nel suo ufficio di inquisitore generale del dominio veneto. È per questo che diventa indispensabile scandagliare gli archivi della inquisizione veneziana, depositati nell’Archivio di Stato ai Frari di Venezia, cioè- guarda caso - proprio nell’ex convento dei Frari, lo stesso abitato dal Peretti. Il materiale del periodo
1557-1560 prodotto dall’ “Inquisitor della heretica pravità, Maestro Felice Peretto da Mont’alto” è depositato nella sezione “Savi all’eresia” (103).
Ed ecco quanto trovato in detto archivio: ASV, Savi all’eresia (Santo Ufficio), faldoni-pezzo 12, 14, 15 e 16 (104).
A. Casi di inquisiti con la presenza diretta o indiretta di Fra Felice Peretti “Inquisitor della heretica pravità”:
* 1557
- Pietro Sereni: laico di Capodistria (Giustinopoli), simpatizzante con le idee protestanti
- Nicolò Sabini: laico di Capodistria (Giustinopoli), simpatizzante con le idee protestanti
- Lorenzo da Crema: abitante in Treviso, e luterano
- Giuliano Sanser: veneziano
- Antonio di Limido: milanese
- Agostino Cadaldino: medico-fisico di Modena
* 1558
- Domenico Breganti: di Messina
- Giovanni Secondi: medico-fisico di Muya
- Antonio d’Oio e Francesco Scorzaro: di Concordia
- Giovanni (Zuane) Facchinetti: prete di Venezia
- Giuliano Sanser: veneziano
- Francesco Porto: di Candia-Creta, laico
- Giacomo Balsami, di Messina
- Zoilo Sereni, di Capodistria
- Giovan Giacomo Milliani (De Milani), di Monferrato
- Antonio d’Oio et Francesco Scorzaro
- Vincenzo Valgrisio, Zaccaria Gennaro, Bernardino Bosello, Alvise Vanuasol, Giovanni Guarisco: processo comune per possesso di libri proibiti.
* 1559
- Andrea Orso: frate agostiniano eremitano, di Catania, baccelliere
- Aloisio Tessaro: “mastro” di Ceneda
- Giambattista Ferrari: di Milano, di 17 anni, aiutante gioielliere
- Tommaso Draghi: laico
- Prospero Podacaro: canonico di Concordia, fuggito dal carcere, sospeso a divinis
- Prete Horazio, canonico di Concordia, fuggito dal carcere, sospeso a divinis
- Giovanni Paolo Ubaldini, di Muccia
- Costantino
* 1560
- Pietro Sereni (lo stesso del 1557): laico di Capodistria (Giustinopoli), simpatizzante con le idee protestanti.
B. Capi di imputazione.
* 1557
- pietro sereni: idee luterane, simpatizzante dell’ ex vescovo di Capodistria Pietro Paolo Vergerio (1498-1565) passato al luteranesimo: “contra la santa fede catholica, contra la legge evangelica, contra li sacri concilij universali et contra la santa apostolica Sede, sedutto et ingannato da Pietropaolo Vergerio, altre volte indegno Vescovo di Capodistria, contra il Purgatorio, contra la confessione sacramentale, contra la invocatione et intercessione de santi, contra le buone opere che si fanno da fideli di Cristo negando la necessità loro et facendone beffe delli suffragij che si fanno per le anime de fideli, et tenendo appresso et legendo libri lutherani et prohibiti et mangiando carne et altri cibi prohibiti nelli giorni che la Santa Chiesa li prohibisce, senza necessità alcuna ma tenendo che il mangiarne non fosse peccato”.
- Nicolò SABINI: idee luterane “sedutto et ingannato da Pietropaulo Vergerio indegno Vescovo di Capodistria, contra il Purgatorio, contra il Papa, asserendo quello non esser Vicario universale ma Vescovo particolare di Roma, et contra la sua potestà et authorità, contra la invocatione et intercessione di Santi, et contra l’uso et la veneratione delle imagini et contra le reliquie loro, contra li voti, contra il delitto de cibi, et contra le buone opere, negando la necessità loro, leggendo anche et tenendo appresso libri lutherani et di dottrina dalla Santa Chiesa reprebata”.
- Giovanni facchinetti, frate, 21 luglio 1558. “Denunciato, et inquisito de molte sue heresie, et impietà”
- agostino cadaldino, medico-fisico di Modena, 21 agosto 1557. “Che la Chiesa Romana non è instituita da Cristo, ma da huomini. Che’l Papa non è Vicario di Cristo ma anticristo. Che le cerimonie non sono necessarie nella Santa Chiesa. Che le sacre imagini non devono onorarsi. Che solo Cristo et non i Santi è da invocarsi nelle orationi. Che non è Purgatorio doppo questa presente vita. Che le indulgenzie non sono giovevoli alli morti. Che nel Santissimo Sacramento dell’Altare non vi è la reale, ma la spirituale carne del Signore. Che non debba dirsi salvo una messa per chiesa. Che la messa celebrata da un sacerdote peccatore non giova né a lui, né ad altri. Che solo i sacerdoti buoni possono administrare i sacramenti et caduti nel peccato subbito perdono ogni authorità e giurisdizione, perciò la primitiva Chiesa era di maggior authorità che la presente. Che la santissima Confessione è necessaria come predicazion particulare et che vi si rimettono i peccati non per via di sacerdote ma per la parolla di Dio. Che non è buono celebrar le feste a Santi. Che’l magnar più di un cibo che d’un altro non è peccato. Che’l far voto di castità è cosa temeraria. Che’l tanto sollennizar i Santi dispiace a Idio. Che i sacerdoti quali non hanno il dono della castità farebbono bene a prender moglie. Che fusse lecito dubitar nella fede”.
* 1558
- giovanni secondi, medico, 14 luglio 1558. “Suspicione di heresia lutherana”: ha mangiato carne quasi di continuo nei giorni proibiti; tenuto et letto libri eretici, come le omelie di fra Bernardino Ochino (105); il “Beneficio di Cristo” (106).
- zoilo sereNI: “Io infelice sedutto et ingannato ho tenuto et malamente creduto, et publicamente ditto, cioè: Che’l papa non habbia più potestà che gli altri homini, et che le indulgentie e perdoni non vagliano. Che fosse licito e senza peccato si potesse mangiar carne ogni giorno, et di quaresema, e di Venere, e de sabbato, et di fatto più volte in tali giorni prohibiti ne ha mangiato. Che li digiuni della Santa Chiesa non valessero cosa alcuna. Stavo dubioso se nell’hostia consecrata fusse il corpo del Nostro Signor Giesù Christo, et più presto inclinavo a creder che’l non fosse, et così affirmavo. Che straparlando del papa, di cardinali, e vescovi, e preti ho ditto che fariano meglio a martitarsi, che andar a far mal con altre femine. Che non era necessario l’andar a messa le feste, et de fatto molte volte io non son andato. Ho creduto et ditto, che la fede senza le opere ci salva. Ho creduto anchora che li Santi non fossero da esser pregati da noi, neanche la Madonna, e che non potessero aiutarci con le orationi. Ho letto anchora e tenuto presso di me diverse sorte di libri da essa Santa Chiesa riprobati”.
- domenico braganti, di Messina, 3 dicembre 1558. “Ho tenuto in casa mia per servitio à salario in habito laicale un chierico professo di approbata Religione à dishonor della religione, con biasmo di voti monastici et di censure ecclesiastiche... Ho magnato carne in giorni prohibiti senza evidente necessità... Ho esercitato l’officio del Dottorato, del quale ne fui suspeso per sentenza del Santo Officio di Sicilia, in Vicenza”.
- Francesco Porto: di Candia-Creta, laico. “Per haver letto et tenuto libri prohibiti et haver contrafatto alle bolle apostoliche”.
- giacomo De milani: di Monferrato, laico. Venere, 3 settembre 1558: “Mi dilettai molto di vedere libri lutherani, li quali mi parevano in tutto dicessero la verità, fra quali libri io mi ricordo haver letto una volta, o doj le prediche di fra Bernardino da Sena (107) ... et un libro intitolato “Il Pasquino in estasi” (108), qual diceva molto male del Papa et di Cardinali, Vescovi, et d’ogni sorte di persone eclesiastiche, il qual detto libro io l’ho letto assaissime volte, et essendo lavorante alla stamparia, io lo aiutai à componere, et già sono anni 15, et legendolo mi pareva haver grande lottatione, legendolo et insegnandolo à molte persone... Item mi ricordo haver letto un libretto chiamato Il trattato del beneficio di Jesu Cristo (109), et di poi anchora Il Dialogo di Mercurio et Caronte (110). Che la santità del Papa non havea authorità di assolvere, o ligare, et che tutti quelli che vivevano secondo la sua dottrina non si potevano salvare, et che il pregar la Madre di Dio era vano, dicendo lei non haver potuto dar né far gratie nissuna, et questo solo si apparteneva à Idio dar gratie, et che li Santi non pregavano Idio per noi, et che l’interceder a loro era falso, et che non vi era Purgatorio. Et ho biasimato più volte la Santa Messa dicendo in quella non vi esser Sacrificio, ma una commemoratione, et chiamandolo Sacrificio si faceva grande ofesa al Nostro Signore Dio, dicendo Cristo una sol volta haversi offerto al sacrificio della morte, non bisognando altri Sacrificator novi. Et che il paradiso delli fideli cristiani della Romana chiesa era finto, dicendo che presto anderia per terra, et che non haveva fondamento, biasimando li edifici delle chiese et li suoi adornamenti et le ricchezze sue, perché Idio non li habitava, et saria stato meglio maridar donzelle, e pascer infermi et altre opere. Et che li frati stavano ne li conventi solo per ingrassarsi. Et che non faceva bisogno di confessarsi né comunicarsi. Et in conclusione negava molte altre cose contra la Santa chiesa”.
- andrea orso: frate. Atto di accusa contro di lui: “Cominciò a dechiarirmi che la comunione consiste che habbiamo il spirito sempre unito con Cristo, et che l’hostia consacrata è un segno del corpo di Iesu Cristo... che la sera avanti del venerdì santo si portava in tutte le parocchie con tanta devotione et adorata da tutti, mi rispose che era idolatria, dicendo che mi daria auttorità della Scrittura santa che me faria chiaro et che io dovevo laudar Idio che’l m’havesse advertito di questa cosa, aducendo li infrascritti esempi: primo, che se una hostia consacrata fosse mangiata da cani, se saria sta mangiato il corpo et sangue de Cristo; secondo, che quando un’hostia sta 15 zorni se incomincia tardare; terzo, che è uno segno, come saria se un Amico si volesse partir da noi et che si cavasse l’anello de deto, dicendo vi lascio questo anello acciò vi racordate di me però che si partiva il corpo lassando l’anello in memoria sua...
C. Pene comminate nelle sentenze * 1557
- pietro sereni, 6 marzo 1557. Dopo la sincera confessione e pentimento (“prometto al presente et giuro, toccando corporalmente questi sacrosanti evangelij, che io al presente credo fermamente col cuore, e confesso con la bocca, quella santa fede la quale la santa Romana Chiesa tiene, crede, insegna, predica et osserva”) può ritornare in patria (Capodistria- Giustinopoli) con l’obbligo di presentarsi davanti al suo vescovo e cinque testimoni per l’abiura pubblica e la comminazione della condanna: deve confessarsi e accostarsi alla comunione eucaristica cinque volte all’anno (Pasqua, Assunzione, Corpus Domini, Tutti i Santi, Natale) e alternando in questi stessi giorni deve recitare in ginocchio i sette salmi penitenziali (Salmi 6, 32, 38, 51, 102, 130, 143) con le litanie e le preghiere e l’altra volta recitare il rosario fino a che il vescovo vedrà il frutto del pentimento.
- nicolò sabini, 6 marzo 1557. Pentito e riconciliato con la Chiesa cattolica, ora può ritornare in patria (Capodistria- Giustinopoli) con l’obbligo di presentarsi entro un mese davanti al suo vescovo, un notaio e sei testimoni per l’abiura pubblica e la comminazione della condanna: confessione tre volte l’anno (Pasqua, Pentecoste e Natale). Al prossimo venerdì santo deve andare in cattedrale per adorare la croce e baciarla in ginocchio. Nella prossima festa del Corpus Domini deve partecipare alla messa solenne e sfilare in processione con un cero acceso in mano, del peso di cinque libre e dopo la processione deve rimanere davanti al tabernacolo finchè tale cero non si consumi totalmente. Per un intero anno si deve presentare almeno una volta al mese al suo vescovo, che deve verificare il suo sincero pentimento.
- agostino cadaldino, medico-fisico di Modena. Confessione e Comunione eucaristica almeno tre volte all’anno per un triennio, recita dei sette salmi penitenziali ad ogni venerdì e recita del rosario ad ogni sabato; inoltre per venti giorni deve fare un’offerta di dieci scudi ai vari conventi delle monache di Venezia.
* 1558
- giovanni secondi, 14 luglio 1558. Per i prossimi due anni: recita dei sette salmi penitenziali in ogni venerdì; accostarsi alla confessione e comunione in tre festività dell’anno; osservanza scrupolosa della quaresima e delle vigilie con astenersi dalla carne, uova e latticini.
- domenico braganti, di Messina, 3 dicembre 1558. “Lo condennemo et penitentieno che per uno anno continuo sia obligato ogni giorno dir et recitar li secte psalmi penitentialj con le letanie et oratione, et jejunar ogni sexta feria [venerdì] per un anno continuo. El qual Domenico lo bandimo per anni octo de tutte terre et lochi da quà del Menso et da qua del [fiume] Quarnero, et habbi a comenzar li dicti anni octo dal dì de la prelation di questa sententia. Et fin che’l andarà al dicto suo bando habia a star in preson ferrato. Con questo che se per alcun tempo rompesse el bando et fusse preso fra li confinj, lo condannemo serrarse nella prigion per anno uno et chi el prenderà habbi lire duxento de possesso delli suoi beni, né maj comenzi il ditto anno della pregion se prima non haverà pagato le ditte lire duxento, et doppo torni al bando de anni otto, el qual bando alhora habbi a comenzar come è ditto di sopra. Et questo toties quoties el contrafacesse et fosse preso. Et così dicemo, sententiemo, dechiarimo, volemo, condannamo, et penitentiamo. Ad laudem omnipotentis Dei”.
- Giacomo balsami, di Messina, 19 dicembre 1558. “Sia bandito da questa inclita città di Venetia et suo destreto per anno uno continuo per contumacia et dishobedientia di non esser comparso a difendersi di quello si ha contra di lui. Con questo che se romperà li confini et sia preso, star debia uno anno in preson serada et pagare a chi el prenderà lire 100 di pizoli, né possi insir de preson se non haverà pagato le dette lire 100 di pizoli, et torni poi a scomenzar il suo bando de anno uno. Et questo tante volte quante contrafarà”.
- Giovanni facchinetti, frate, 21 luglio 1558. “Ogni venerdì per uno anno integro sia tenuto, oltra l’officio suo, che come prete è obligato dir, debba dire li sette psalmi penitentiali con le litanie, et l’orationi tutte. El qual padre Zuane volemo che sia suspeso da tutti gli officij ecclesiastici per duoj anni et ultra a beneplacito del Tribunal, nelli quali non si possi intrometter, né exercitar, se non haverà licentia da questo sacro Tribunal, et quella in scrittura, et non altrimenti. El qual però possi solamente celebrar la messa, la qual se li lassa per pietà, acciocché possi pregar continuamente il Signore per gli errori commessi, et che lo guardi per l’avenir che non incorra in quelli né in altri. Inoltre volevo, et condannemo che’l detto padre Zaneto sij bandito per uno anno continuo, qual haverà a comenciar dal dì di questa nostra sententia, da questa inclita Città, et dal destretto di essa”.
- Francesco Porto: di Candia-Creta, laico. “Che detto Francesco per duoi anni continuij non possi partirse da questa Città inclita di Venezia, et sia confinato in essa, né possi partirsi di essa senza licenzia di questo nostro officio ottenuta vin scrittura, et non altramente. Et che durante li ditti doi anni esso Francesco sia tenuto ogni dì dir l’officio della Gloriosissima Vergine Maria Madre di Nostro Salvator, con quella devotione maggiore che Iddio li presterà. Et oltra ciò confessarsi et comunicarsi tre vvolte all’anno, cioè la Pasqua della Resurrettion, al Natale di Nostro Signore, et per la festa della Assumption di Nostra Donna, qual vien del mese di agosto”.
- giuliano sanser: veneziano, laico. 12 gennaio 1558 “Lo condannemo, et penitentiemo, che tutti li sabbati, et vigilie della Madonna per un’anno integro el debba dir la corona della Gloriosissima Vergine Maria, et ieiuniar tutti detti sabati et vigilie. Item confessarsi tre volte all’anno, et comunicarsi, cioè da Natale, da Pasqua della Resurrettion, et dalla Solennità dell’Assumption della Notra Donna. Et farsi far la fede di haversi le ditte tre volte confessato et comunicato et presentarlo qui all’officio nostro. Item al dir ogni Dominica una messa nella chiesia della Madonna dell’Humiltà posta oltra la doana da mastro Contrà di S. Gregorio per doi anni. Et poi presentarsi almanco ogni doj mesi a questo nostro Sacro Tribunale, et officio, et della sua presentation farne far nota al notaro dell’officio per li detti doi anni”.
* 1559
- TOMMASO DRAGHI, ultimo febbraio 1559: “Sia obligato per duoi anni integri ogni sabbato dir la Corona della Beatissima Vergine Maria in genocchioni, et che per li ditti doi anni ogni domenica el visiti la chiesia della Madonna della Humiltà, qual è diedo la Doana, et in quella
chiesia al dir una Messa. Et queste domeniche della presente Quadragesima andar al perdon, et visitar similmente la chiesia Cathedral di S. Piero di Castello di questa Città, et che per questi doi anni el sia obligato a confessarsi, et communicarsi tre volte all’anno”.
- GIAMBATTISTA FERRARI, 22 giugno 1559: vedi, a mo’ di esempio, la sentenza posta qui sotto per esteso.
- PROSPERO PODACATARO, canonico, 18 luglio 1559: “Che esso sia confinato per tre anni continui nella prigion forte de Venetia, o nella prigion de Concordia, nella quale al presente si trova, nelli quali tre anni... sia tenuto a recitar li sette psalmi penitentiali con le Litanie ogni giorno di sexta feria, et al versiculo della invocatione di San Roccho basciar interamente la terra in segno di vero pentimento... Et subinde dopo relassato di prigione sia, et s’intenda bandito dalla Città, e diocese nostra di Concordia in perpetuo”.
- HORATIO, prete, 18 luglio 1559: “Che sia, et s’intenda privato de ogni officio, beneficio, accesso, regresso, ragione, attione, et espettatione che havesse, o haver potesse in futurum nella Chiesa, et diocese di Concordia. Et che sia confinato nella prigion forte di Venetia o in quella, nella quale al presente si trova per un’anno continuo, et subinde declarando illum bannitum, ac banniendum in perpetuum à Civitate, et tota dioecese Concordiensi”.
I seguenti cinque soggetti fanno parte del medesimo processo “per esser incorsi nella iscommunica et nella disobedientia”:
- vincenzo valgrisio, 11 agosto 1559: “Volemo che Vincenzo Valgrisio sia obligato per doi mesi continui ogni vener visitar lo spedale de li Forturabeli et metter una elemosina per la cassa de la fabricha che parerà a lui, et al dirvi la messa, et sia obligato per essi doi mesi dir ogni sabato la corona de la Madonna; sia obligato andar a un perdono el primo che venirà far Venetia che sarà per la Assumption de la Madonna, et confessarsi et comunicarsi”.
- zaccaria Gennaro, 11 agosto 1559: “Visiti per doj mesi continuj li venerdì la chiesia de le Convertite, al dirvi messa, et dar li elemosina a beneplacito suo, et per un mese ogni venerdì dica li sette psalmi [penitentiali] con le litanie et oratione; che ogni dì per doj mesj dica sette Pater Noster et septe Ave Maria, et andar al perdon per la Madonna de septembre, et confessarsi et comunicarsi”.
- bernardino bosello, 11 agosto 1559: “Sia obligato confessarsi et comunicarsi per la Madonna de septembre, et visitar la Madonna de la Colonella, et dir ogni venerdì li sette psalmi [penitentiuali] con le litanie et oratione fin dal di de la Madonna de septembre”.
- alvise vanuasol, 11 agosto 1559: “Sia obligato visitar la Santa Casa de Loreto infra doj mesi et confessarsi et comunicarsi, et dir li sette psalmi [penitentiali] con le litanie et oratione, et questo ogni venerdì fin a la Madonna de septembre”.
- giovanni guarisco, 11 agosto 1559: “Sia obligato visitar lo spedal de la Pietà per doj mesi continui ogni venerdì et far li qualche elemosina a suo beneplacito, et a dirvi messa, et dir li sette psalmi [penitentiali] con le litanie et oratione, et confessarsi et comunicarsi per la Madonna de septembre per il perdono et dirvi cinque Pater Noster et cinque Ave Maria ogni dì fin a la Madonna de septembre”.
- ANDREA ORSO, frate, 12 agosto 1559: “Lo remettemo al Reverendissimo General suo et del suo ordine et religion sua da esser per sua Reverenda paternità punito, castigato secondo il suo demerito et che al detto Reverendo padre Generale parerà per iustitia”.
D. Un esempio di sentenza: contro Giambattista FERRARI
c. 1r
Noi Vettor da Pozzo Dottor dell’una, et l’altra legge, et Vicario di S. Bartholomeo de Rialto, et vicario del Reverendissimo Signor Vincentio Diedo Patriarcha di Venetia, et Primate della Dalmatia, Maestro Felice Peretto da Mont’alto dell’ordine di Minori Conventuali Dottor Theologo, nel Convento della Cha grande de Venezia Reggente, et Inquisitor della heretica pravità. Con la assistentia delli Clarissimi signori messer Bernardo Zorzi, messere Hyeronimo Moresini, messere Pietro Sanudo Nobili Veneti deputati all’officio della Santa Inquisition in questa inclita Città di Venezia, invocato el nome de Jesu Christo, sedendo pro Tribunali et havendo solamente Iddio dinanzi li ochij, nella causa che pende nell’officio nostro contra di Ioanbattista di Ferrarij milanese zogelier et habitante in questa nostra Città, reo denonciato et inquisito de et sopra molte imputationi di heresia, si come pienamente consta nel processo formato per questo nostro Tribunal per questa nostra sententia, la quale proferimo in questi scritti, prononciemo, sententiemo, et dechiarimo chel questo Ioanbattista, convento, et confesso di molte heresie, et impietà, si come et distintamente appare nelli suoi Constituti tolti de plano, ut in processu, esser dannabilmente
c. 1v
incorso nelle pene statuite, et promulgate dalli Sacri Canoni contra gli heretici. Et non di meno procedendo con lui mitius attesa massime la sua abiuratione fatta dinanzi a noi lo assolvemo da ogni scomunica, et censura ecclesiastica, nela qual si trova esser incorso per occasione di tali heresie, et lo restituimo alla participatione delli Sacramenti ecclesiastici, in quanto però esso Ioanbattista sia convertito di cuore, et sinceramente, si come credemo, et speriamo ch’egli habbia fatto. Et acciò che Ioanbattista habbia qualche penitentia salutare de tanti suoi errori, et che’l suo castigo sia di essempio agli altri lo condanemo, et penitentiemo chel sia obligato confessarsi tre volte questo anno, cioè questo Avosto nella festa dell’Assumption della Gloriosa Vergine Maria, l’altra per le feste di Natale di Nostro Signore, et la terza nella Resurrettion, et in tutte tre volte comunicarsi, et di questa sua obedientia farne fede a questo officio. Item che per un’anno medesmamente el sia obligato dir ogni venerdì li sette psalmi penitentiali con le letanie, et orationi, et ogni sabbato in ditto anno dir la Corona della Gloriosa Vergine Maria
c. 2r
et ogni dì de Domenica udir la messa nella chiesia della Madonna della Humiltà. Et poi visitar, et tuor tutti li perdoni, et indulgentie per un anno che Nostro Signor concederà in questa Città. Et quando sarà stata Quadragesima jeiunar el mercore, et el venere mentre durerà detta Quadragesima. Et in evento chel ditto Ioanbattista non osservi, et totalmente non essequisca tutte queste penitentie et condanna di esse secondo li imponemo, lo condanniamo alle pene statuite de jure contra li impenitenti, et relapsi. Et così dicemo, sententiemo, dichiarimo, volemo, condannamo, et penitentiemo con ogni miglior modo, che havemo potuto, et potemo. Ad laudem omnipotentis Dei Amen.
Letta, lata et pronuntiata fuit suprascripta sententia ad sacrum Tribunal sub die 22 Junii 1559, presentibus
El Capitano Mosarachii et messer Alvise Scortega.
E. Osservazioni generali sul periodo dell’inquisizione veneziano.
Questo è il materiale reperito nell’archivio veneto dell’inquisizione e che ci riporta all’attività diretta di fra Felice Peretti. Si tratta però di materiale riguardante tutti quei casi che terminarono con una condanna dell’imputato e che pertanto non esauriscono l’intera attività del tribunale, che sappiamo essere aperto almeno tre volte la settimana per emettere giudizi anche su casi di minore entità e su tanti altri casi ancora che culminarono in sentenze assolutorie.
Si notano vistosamente due realtà.
- Tutti i casi in questione riguardano sentenze contro persone che professavano apertamente idee filosofico-teologiche che deviavano dalla purezza della dottrina cattolica e si avvicinavano molto più a quelle idee protestanti, calviniste o luterane, che da quarant’anni erano state accettate ormai in buona parte dell’Europa centro-settentrionale. In Italia le idee professate da questi uomini (stranamente non c’è nessuna donna!) accusati presso il tribunale dell’inquisizione erano considerate non solo “delitti di opinione”, ma anche idee pericolose per l’equilibrio sociale di una comunità ormai strutturata mentalmente e concretamente in un modus vivendi accolto e benedetto anche dal potere politico. Questo valeva sia per il mondo cattolico che per quello protestante. Non solo Madrid o Roma o Parigi o Vienna o Varsavia vigilavano sulla integrità della fede cattolica, diventata ormai patrimonio popolare e base della convivenza sociale, ma la stessa attenzione ponevano anche le protestanti Ginevra o Londra o Amsterdam o Lipsia o Francoforte, e si accendevano roghi e si alzavano mannaie in tutte queste città, in nome di qualsiasi credo. Ognuno aveva
la propria inquisizione, più o meno vistosa o più o meno latente, ma ugualmente operante. Da una parte vi sono stati i Giordano Bruno e i Galileo, dall’altra i Thomas Moor, i John Fischer, i Michele Serveto, solo per citare i nomi più noti. A noi, figli fortunati di un progresso lentissimo di sviluppo della dignità della persona umana, tutto ciò ci scandalizza, e giustamente, ma lo storico avveduto non salta i vari passaggi compiuti nei secoli e cerca di immergersi asetticamente nella mentalità del tempo che analizza.
- Esaminando le sentenze emesse dall’“Inquisitor generale” fra Felice Peretti si nota una casistica di pene da scontare che risultano alquanto blande, in confronto almeno al nostro immaginario collettivo: per la maggior parte si tratta di preghiere da recitare, di gesti liturgici da compiere, di quaresime da vivere durante l’anno, elemosine fa fare. In quattro casi ritenuti più gravi (compreso un caso di contumacia) è inflitto il bando dal dominio veneto per tempi determinati.
Vorrei riassumere questo importante periodo della vita di fra Felice Peretti con una “geolocalizzazione” dei suoi movimenti e delle sue azioni. Sono debitore di questo minuzioso lavoro al mio amico e “collega” di lavoro dott. Aniello Gatta, che ringrazio ancora una volta di vero cuore.
Legenda delle citazioni:
AG: Arturo Galassi, Sisto V un grande della storia. Anno 2009
ASP-SA: Archivio di Stato di Padova, Corporazioni soppresse, Conv. Sant’Antonio
AS.Ve: Archivio di Stato di Venezia, Savi all’Eresi.
B.A.: Documenti provenienti dalla Biblioteca Ambrosiana
BG: Barbara Gilone, Omnia vincit amor. La loggia del Cavalier D’Arpino nel Palazzetto di Sisto V in Parione. Roma, Pio Sodalizio dei Piceni, 2000
Bollettino IV centenario nascita Sisto V. Anno 1921-22. Montalto Marche
CB: Bartolomeo Cecchetti, La Repubblica di Venezia e la Corte di Roma nei rapporti della religione. vol. 2, Venezia 1874
DC: Bonaventura A. de Cesare, Vita di Sisto V P.M. Napoli 1755.
dH: Alessandro de Hubner, Sisto V dietro la scorta delle corrispondenze diplomatiche inedite tratte dagli archivi di Stato del Vaticano, di Simancas, di Venezia, di Parigi, di Vienna e di Firenze. Anno 1892.
FP: Francesco Pistolesi, Sisto V e Montalto. Montalto Marche 1921.
FV: Francesco Viparelli, Memorie historiche della città di Sant’Agatha de’ Goti. Napoli 1841.
GB: Giovanni Benadduci, Dodici lettere inedite di Sisto V. Tolentino 1888.
G Barucca, I doni sistini e l'arte orafa nel Piceno fra Cinque e Seicento, in G. Barucca, B. Montevecchi, Atlante dei Beni Culturali dei territori di Ascoli Piceno e di Fermo. Beni Artistici. Oreficerie, Cinisello Balsamo 2006.
GC: G. Cugnoni. Documenti Chigiani concernenti Felice Peretti, Sisto V come privato e come pontefice. (tratto dal Libro dei ricordi di fra Felice Peretti (Bibl. Vaticana, Manoscritti Fondo Ghigi, I. III.72) Anno 1882.
GCmons: Giovanni Cicconi, Sisto V e Fermo. Fermo 1923.
GF: Giuseppe Fabiani. Ascoli nel cinquecento. Ascoli Piceno 1970.
GN: Gabriele Nepi. Curiosità e facezie su Sisto V, in Immagini della memoria storica. Anno XII, 2006.
GP: Gustavo Parisciani. Sisto V e la sua Montalto. Padova 1986.
GP2: Gustavo Parisciani. La riforma tridentina e i frati minori conventuali. Miscellanea francescana, Roma 1984.
GPapa: Giovanni PAPA, Sisto V e la diocesi di Montalto. Ripatransone 1985.
GR: Giulio Roscio, Epigrammi in lode di Sisto V. A cura di Delfo Gioacchini. Orte, Accademia dei Signori Disuniti, 1989.
I.A: Iannelli Pio, Autieri Felice, La riforma nella Chiesa post-tridentina ed un'esperienza innovativa dei frati minori conventuali: i conventuali riformati. Montella, Biblioteca San Francesco, 2002
IdF: Italo de Feo, SISTO V. Un grande papa tra Rinascimento e Barocco. Mursia 1987
IG: Isidoro Gatti: Sisto V Papa Piceno. Ripatransone 1990.
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LP: L. Pittoni e G. Lautenberg, Roma felix. La città di Sisto V e Domenico Fontana. Viviani ed. 2002
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MF: Miscellanea Francescana. Anno 1922
MS: M. SantoNi, Sisto V e la sua statua a Camerino. Foligno 1885
PAG: Pier Andrea Galli. Notizie intorno alla vera origine, patria e nascita del sommo Pontefice Sisto V. Ripatransone 1754.
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VC2: Vincenzo CATANI, La Chiesa Truentina. La nascita della diocesi di Ripatransone e i suoi primi 6 vescovi. Teramo 2018
vP: L. von Pastor. Storia dei Papi dalla fine del Medio Evo. Vol. X. Roma 1928
vp2: L. von Pastor. Sisto V il creatore della nuova Roma. Tipografia Poliglotta Vaticana 1922
- 1557, 17 gennaio: fra Felice viene nominato inquisitore dell’intero territorio di Venezia, oltre che Reggente. (T. p.28, vP. p. 28, GP. pp. 10, 66, GC. pp. 300, 301, IG. p. 129)
- 1557 Venezia. Nel periodo quaresimale predica e svolge la sua attività di inquisitore (T. p. 28)
- 1557 Venezia, 6 marzo. Processo inquisitorio contro P. Sereni (AS.Ve. busta 5 fasc. proc. 5/1557)
- 1557 Venezia, 6 marzo. Processo inquisitorio contro N. Sabini 96b (AS.Ve. busta 5 fasc. proc. 7/1557)
- 1557 Venezia, aprile. Malattia. Risulta ancora malato il 4 maggio (GP. p. 66, CG. p 23-24)
- 1557 Venezia, 30 aprile. Fra Felice paga un ducato a Fra Ilario per delle forcine d’argento (GC. p.23)
- 1557 Venezia, 3 maggio. Riceve da Bonaventura da Sassoferrato del denaro (GC. p. 24)
- 1557 Venezia, 4 maggio. Anticipa 35 lire veneziane a Bonaventura da Sassoferrato per un suo acquisto (GC. p. 23)
- 1557 Venezia, 26 maggio. Fra Felice finisce di rimborsare il vescovo di Venosa per un anticipo fatto da questi (GC. p. 17)
- 1557 Venezia, 22 giugno. Proibisce la vendita e la divulgazione di alcuni libri di Erasmo da Rotterdam e di Valdes.
- 1557 Venezia, 26 giugno. Pagamento. (GC. p. 27)
- 1557 (mese?) Commissione sopra il Gattolino di Capo d’Istria. (GC. p. 303)
- 1557 Venezia, 3 luglio. Pagamento per alcune sue cose giunte da Roma. (GC. p. 27). Paga un anticipo sull’acquisto di alcuni libri (CG. pp. 27, 28) che salderà nei mesi di maggio e luglio 1558 e agosto 1559
- 1557 Venezia 11 agosto. Prestito di 20 fiorini a Bernardino da Montefiore (GC p. 20)
- 1557 Venezia, 21 agosto. Processo inquisitoriale contro A. Gadaldino da Modena (AS.Ve, busta 13 fasc. proc. 9/57)
- 1557 Venezia, fino al mese di settembre. Corrispondenza con il Cardinal Carpi e il suo segretario (T. p. 29)
- 1557 Venezia, 1° settembre. Processo inquisitorio contro fra Giulio Morato di Capodistria (ASP-SA da Frari b.19)
- 1557 Venezia, 10 ottobre. Lettera di Gian Matteo Roberti al Peretti (a Venezia) sul caso Lorenzo da Crema (AS.Ve, busta 13 fasc. proc. 12/57)
- 1557 Venezia, 19 novembre. Nomina di fra Francesco Pinzini da Portogruaro vicario e commissario del Sant’Uffizio nella diocesi di Concordia (MF. p. 17 nota 1 e T. p. 29)
- 1557 Venezia, 22 novembre. Fra Felice è in possesso della ricevuta del Vescovo di Venosa (GC. pp 26-27)
- 1557 Venezia, 28 dicembre. Fra Felice attesta un pagamento di 70 fiorini (GC. p. 20)
- 1558 Venezia (mese ?). Processo inquisitoriale contro F. Porto accusato di luteranesimo (AS.Ve, busta 13 fasc. proc. 17/57)
- 1558 Venezia, 12 gennaio. Processo inquisitoriale contro Giuliano Sanser accusato di luteranesimo (AS.Ve, busta 13 fasc. proc. 17/57)
- 1558 Venezia. Rialto, 3 febbraio. Pagamenti (GC. p. 27)
- 1558 Venezia, 4 febbraio. Invio a Venezia da Bari di oggetti di proprietà di fra Felice (GC. p. 27)
- 1558 Venezia, 6 febbraio. Pagamento per il trasporto via mare di un “tabì” (GC. p. 27)
- 1558 Venezia, 9 febbraio. Restrizioni agli importatori di libri.
- 1558 Venezia. Predica la quaresima nella chiesa di Sant’Apostolo e quattro giorni la settimana nella Chiesa di Santa Caterina. (T. p. 29, GP. p. 10, 68, GC. p. 301, MF. p. 14)
- 1558 Venezia, 20 aprile. Si firma Reggente e inquisitore (T. pp. 17, PAG 84, IG. pp. 53, 448, FP. p. 61 e doc. 33 p. XI)
- 1558 Venezia, 23 aprile. Documento di fra Felice che registra un pagamento in favore di Nicolò di Mignuccio di Montalto (IG. p. 449, FP. doc. 33 p. X e XI, GP. p. 68, GC. pp. 20-21)
- 1558 Venezia, maggio. Addottora alcuni baccellieri (GP. p. 66 e T. p. 29)
- 1558 Venezia, 14 maggio. Nomine nell’inquisizione veneta (MF. p. 17 nota 1 e T. p. 29)
- 1558 Venezia, 22 giugno. Rimanda a fra Bonaventura da Sassoferrato le forcine che nel 1557 aveva riscattato (GC. p. 24)
- 1558 31 maggio. Lettera all’inquisitore Peretti sul caso Antonio D’Oio e Francesco Scorzaro (AS.Ve, busta 14 fasc. proc. 23/1558)
- 1558 Venezia, 14 luglio. Processo inquisitorio contro G. Secondi di Muggia accusato di luteranesimo (AS.Ve, busta 5 fasc. proc. 8/1557-58)
- 1558 Venezia, 21 luglio. Processo inquisitorio contro G. Facchinetti accusato di luteranesimo (AS.Ve, busta 13 fasc. proc. 11/1558)
- 1558 Venezia, 22 agosto. Divieto di pubblicare la Bibbia in lingua volgare.
- 1558 Venezia, 7 ottobre. Lettera a mons. Filippo Maria Campegi, eletto di Feltre (GC. pp. 548-9)
- 1558 Venezia, 3 dicembre. Processo inquisitorio contro G.D. Bragandi accusato di luteranesimo (AS.Ve, busta 12 fasc. proc. 72/1559)
- 1558 Venezia, 31 dicembre. Fra Felice viene sensibilizzato dal Ghislieri affinché si adoperi per la promulgazione nel Dominio Veneto dell’Indice dei libri proibiti. (IG. p.133)
- 1559. Venezia. Predica tre giorni a settimana nella chiesa di Santa Caterina. (T. p. 29)
- 1559 Venezia, 13 gennaio. Fra Felice impugna il Breve di papa Paolo IV contro gli abusi nel convento veneziano (GP. p. 71)
- 1559, 77 febbraio. Viene richiesta al Padre Generale dell’Ordine la decadenza di Fra Felice dagli incarichi di Reggente ed Inquisitore (GP. p. 71, IG. p. 131 e ASP-SA, cap. Vicende di P. Felice Peretti inquisitore)
- 1559 Venezia, 28 febbraio. Sentenza del processo inquisitorio contro T. Draghi da Asola accusato di luteranesimo (AS.Ve, busta 15 fasc. proc. 3/59)
- 1559 Venezia, 16 marzo. Fra Felice viene dileggiato mentre si recava nel palazzo ducale per perorare l’Indice dei libri proibiti. (IG. p. 134)
- 1559 Venezia, aprile. Risposta di fra Peretti al Segretario Bozio circa l'elezione a Superiore del Convento di Venezia del suo principale oppositore e la richiesta di diventare Provinciale.
- 1559 Venezia, 13 o 23 aprile. Nomine nell’inquisizione veneta (MF. p. 17 nota 1 e T. p. 29)
- 1559 Bassano del Grappa (Vicenza), fine aprile. Presiede il Capitolo della provincia Veneta. (GP. p. 72, GC. p. 303, IG. p. 15, T. p. 29)
- 1559 Venezia, 29 aprile. Lettera di fra Peretti al Segretario Bozio circa l'elezione a ministro provinciale di fra Cornelio Divo (T. p. 30)
- 1559, 23 mag. Il ministro generale dell’Ordine lo conferma reggente e inquisitore di Venezia (GP. p. 72, GC. p. 300)
- 1559 Venezia, 22 giugno. Processo inquisitoriale contro G.B. Ferrari accusato di luteranesimo (AS.Ve, busta 14 fasc. proc. 24/1559)
- 1559 Venezia, 3 luglio. Lettera al segretario Bozio. (ASP-SA cap. Vicende di p. Felice Peretti inquisitore)
- 1559, 6 luglio. Lettera da Ceneda all’inquisitore Felice Peretti a Venezia sul caso Costantini da Milano (AS.Ve, busta 5 fasc. proc. 2/1559)
- 1559 enezia, 8 luglio. Il governo veneziano autorizza la pubblicazione dell’Index di Paolo IV (IG. p. 135)
- 1559, 18 luglio. Lettera del Vescovo di Concordia agli inquisitori della sua diocesi sul caso di Prospero Podacataro e Horazio, canonici di Concordia e relativa risposta di questi (AS.Ve, busta 16 fasc.proc. 5/59)
- 1559 Venezia, 2 agosto. Processo inquisitorio contro V. Valgriso e altri librai (AS.Ve, busta 14, fasc. proc. 1/1558)
- 1559, 2 agosto. Lettera del Vescovo di Ceneda al Peretti circa Luigi Tessaro (AS.Ve, busta 14 fasc. proc. 19/1559)
- 1559 Venezia, 12 agosto. Processo inquisitorio contro frate Andrea Orso (AS.Ve, busta 14, fasc. proc. 16/1558)
- 1559 agosto. Lascia Venezia (T. p. 32) e (GP. p. 73) e va a Montalto Marche. (GC. p. 300, IG. p. 135, FP p. 62)
- 1559, 17settembre. A Montalto Marche per il matrimonio di Fiora, l’orfana di Piacentina. (GP. pp. 10, 73, 64, IG. pp. 136 e 348, FP. pp. 21, 62 e doc. 41 p. XIII)
- 1559 23 settembre. Ulteriore esternazione a Venezia contro fra Peretti (ASP-SA. cap. Vicende di P. Felice Peretti inquisitore)
- 1559 – 28 settembre. A Montalto Marche. (FP. doc. 42 p. XIV-XV)
- 1559 inizi novembre. A Roma (T. p. 32, IG. p. 136)
- 1559 Filottrano (An), 17 novembre. Capitolo marchigiano. 43 (GP. p. 75, ASP-SA. cap. Vicende di p. Felice Peretti inquisitore)
- 1560 Venezia, 22 febbraio fino a giugno. Con il Breve del Papa Pio IV che lo nomina Inquisitore apostolico del dominio veneto e Reggente (T. p. 33, vP. p. 28, GP. pp.10, 78, GC. p.p 300, 301, 303)
- 1560 Venezia, 6 aprile. Rogo di oltre 10000 libri che erano stati messi all’Indice. (IG. p. 135)
- 1560 Venezia, 6 aprile. Lettera di fra Peretti al segretario Bozio perché i francescani di Venezia non perdano l'uffizio dell'Inquisizione (T. p. 34)
- 1560 Venezia, 11 aprile. Lettera di fra Felice a Sigismondo Bozio (IG. p.138, T. pp. 34, 35)
- 1560 Venezia, 16 aprile. Riprende le lezioni e la predicazione a Santa Caterina (GP. 79)
- 1560 Venezia, 4 maggio. Lettera di fra Peretti al Bozio in seguito alle nuove angherie dei suoi oppositori del convento di Venezia (T. p. 35. A.SA. cap. Vicende di p. Felice Peretti inquisitore)
- 1560 Venezia, 1° giugno. Due Lettere di fra Felice al Cardinale di Carpi e al segretario Bozio (IG. p. 139)
- 1560 Venezia, 7 giugno. Il Consiglio dei Dieci critica il Peretti (CB. P. 19)
- 1560 Venezia, 8 giugno. Lettera di fra Peretti al Bozio in seguito alla supplica presentata al Consiglio dei Dieci per evitare la rimozione dagli incarichi (T. p. 35, A.SA. cap. Vicende di p. Felice Peretti inquisitore)
- 1560 Venezia, 18 giugno. Congedo dal Doge. (T. p. 36) dopo una permanenza a Padova di otto giorni (GP. 81), Il Gatti parla per congedo dogale il 18 luglio (p. 136).
- 1560, 28 giugno. Lascia Venezia (T. p.37) e (vP. p. 28), il Parisciani parla del 27 giugno (GP. p. 81) e il Gatti parla del 28 luglio (p. 136)
- 1560 luglio. Al convento francescano di Pesaro (T. p. 37).
7. Procuratore dei frati minori conventuali e viaggio in Spagna
Stanziatosi a Roma nel convento dei Santi Apostoli e ripreso il suo studio e il suo insegnamento presso l’università della Sapienza (111) iniziarono per fra Peretti alcuni importanti impegni all’interno del suo Ordine francescano.
Ad agosto del 1560 fra Peretti fu nominato “Procurator Ordinis in curia romana”, cioè con l’incarico di perorare e di seguire tutti gli interessi dell’Ordine francescano conventuale presso la curia romana. Ora il Peretti “ha modo di farsi ulteriormente conoscere nella curia romana da tutti i ministri provinciali, da tutti i confratelli che, suo tramite, dovranno ricorrere per qualsiasi motivo ai dicasteri romani” (112). Naturalmente non tralascio la predicazione, la sua vera passione da sempre. Abbiamo di questo periodo una omelia pronunciata da fra Peretti durante una cappella pontificia, davanti a papa Pio IV e ai cardinali (113).
È di questo periodo un suo viaggio in Spagna, scelto direttamente da papa Pio IV e con il permesso del ministro generale dell’Ordine (114) come teologo dell’inquisizione, al seguito del legato papale il cardinale Ugo Boncompagni (futuro papa Gregorio XIII e predecessore di Sisto V), del nunzio Giambattista Castagna (futuro papa Urbano VII e successore di Sisto V), mons. Giovanni Aldobrandini (sarà cardinale nel 1570) e fra Stefano Bonucci dell’Ordine dei Servi di Maria (che Sisto V nel 1587 farà cardinale). La delegazione doveva derimere la spinosa questione dell’arcivescovo di Toledo, Bartolomé Carranza de Miranda (115). La legazione arrivò fino a Madrid, ma le lungaggini imposte dal re Filippo II e la morte di papa Pio IV, avvenuta il 9 dicembre 1565, annullarono la legazione che tornò a Roma. In quella legazione il card. Ugo Boncompagni e il giovane frate Peretti ebbero modo di confrontare i rispettivi caratteri, costatando che la fermezza e il rigore del francescano non s’accordava con una maggiore indulgenza e remissività del cardinale. E quando il Boncompagni sarà papa non nasconderà la sua antipatia sul futuro cardinal Peretti.
8. Vicario generale dei frati, vescovo di Sant’Agata de’ Goti
Mentre ancora fra Peretti era in Spagna con la legazione, il 7 gennaio 1566 fu eletto papa, con il nome di Pio V, quel cardinale domenicano Michele Ghislieri che già era stato un grande ammiratore del Peretti. Appena una settimana dopo, il nuovo papa con un breve del 14 gennaio 1566 (116) elesse il Peretti vicario apostolico dell’Ordine conventuale, cioè a capo dello stesso ordine su diretta nomina papale e senza passare per il capitolo generale, dopo la morte del ministro generale Antonio Savioz (117). L’incarico che Pio V dava a fra Peretti era di riformare l’Ordine secondo lo spirito del concilio di Trento, anche se il Peretti confessa al card. Borromeo, diventato protettore dei tre Ordini francescani, che avrebbe preferito essere lui stesso riformato piuttosto che riformare gli altri (118). Fra Peretti ebbe la notifica della nomina l’11 marzo successivo, quando, di ritorno dalla Spagna, era a Faenza.
Il compito primario del vicario apostolico era quello di visitare i conventi, cosa che il Peretti mise subito in pratica e fece di persona già in quello stesso anno (119): iniziò ad agosto con Assisi per l’Umbria, continuò a settembre con Roma per il Lazio e a dicembre con Napoli per la Campania.
Mentre si trovava a Napoli lo raggiunse, il breve datato 15 dicembre 1566 (120), con la nomina a vescovo della diocesi campana di Sant’Agata dei Goti, che resse fino al 1572, pur con il compito di continuare a guidare l’Ordine conventuale almeno fino al 1568, cioè fino al successivo capitolo generale e anche quando sarà eletto cardinale nel 1570. Saputo della sua nomina a vescovo e di dover guidare ancora il suo Ordine, il Peretti scrisse all’amico cardinale Carlo Borromeo: “Questo è stato un pormi peso sopra peso alle mie spalle, cosa molto lontana alli miei pensieri” (121).
La consacrazione episcopale avvenne a Napoli, nella real chiesa di San Lorenzo Maggiore, il 12 gennaio 1567 (122); GAMS 845.). Vescovo consacrante era Antonio Lauro, vescovo di Castellammare di Stabia (123). Vescovi assistenti erano Giovanni Antonio Astorco, vescovo di Lettere (124) e Giovanni d’Amato, vescovo di Minori (125). Erano presenti Mario Carafa, Arcivescovo di Napoli e Fabio Polverino, vescovo di Ischia, oltre ad un nutrito numero di nobili locali.
Il 29 gennaio 1567 il neo vescovo (che ormai si farà chiamare mons. Montalto) prese possesso della sua diocesi, che comprendeva anche i grossi centri di Cerreto Sannita. Restò a Sant’Agata tre giorni, alloggiando nel locale convento francescano (126).
Il periodo del Peretti come pastore della diocesi di Sant’Agata è quello più oscuro e avaro di notizie, e addirittura gli storici si pongono la domanda sulla reale permanenza del vescovo Peretti in quella città campana.
Il Tempesti, pur così ricco di particolari, rimane nel generico quando parla di questo periodo e nelle poche righe che dedica fa capire che il nuovo vescovo si occupò molto e di persona della sua diocesi campana: “Deposto il carico di Vicario Apostolico, sostenuto con integrità e con instancabile zelo, ritornò di volo alla sua Chiesa di S. Agata; e immantinente visitando la Diocesi, riformò abusi, fece rifiorire la disciplina cristiana; e perché si mantenesse in vigore, pubblico alle stampe dottissimi ed ugualmente discreti oridini, a norma di Costituzioni sinodali, che sono registrati nelle memorie Chisie” (127).
Il testo del Tempesti è stato preso come base dagli storici successivi, che nulla aggiungono di più.
Anche il Pastor è alquanto sbrigativo ed evasivo: “Come vescovo egli, che ora generalmente era chiamato Monsignor Montalto, lavorò con sommo zelo secondo le direttive della riforma cattolica” (128). E l’incertezza sull’effetivo operato del vescovo Peretti e sulla sua permanenza a Sant’Agata rimane alquanto vago anche nelle successive biografie (129).
Chi scrive qualcosa di più nel 1921 (in occasione del quarto centenario della nascita del pontefice) è il canonico Antonio Grasso: “Le grandi cariche occupate nella Chiesa... hanno fatto pensare che non abbia avuto né troppa volontà, né tempo di occuparsi degli affari della Diocesi di S. Agata, fino ad affermare di non esservi stato giammai, e di averla governata per mezzo dei suoi Vicarii. Dai documenti però di questa Curia Vescovile e da monumenti storici di indiscutibile evidenza risulta falsa tale opinione, ed anche ingiuriosa di un tanto uomo, al quale gratuitamente si attribuisce di avere trascurati i suoi doveri di Vescovo. Gli Archivi della nostra Curia Vescovile contengono infatti atti innumerevoli da lui eseguiti in Diocesi e sottoscritti di suo pugno e varie SS. Visite similmente eseguite da Lui e sottoscritte. Risulta quindi da questi atti che egli il 27 del mese di dicembre dell’anno 1567 si recò per la prima volta nella sua residenza in S. Agata e vi dimorò permanentemente, allontanandosene soltanto quando altri affari di maggiore importanza richiamassero oltre la sua presenza [...]. Nel 1568 obbligato dal Capitolo generale dei Minori, tenutosi in Bologna, e deposta la carica di Vicario Apostolico, ritornò di volo alla sua Chiesa di S. Agata ed immantinente visitando la Diocesi, riformò gli abusi, fece rifiorire la disciplina ecclesiastica e perché si mantenesse in vigore, pubblicò colle stampe dottissime Costituzioni Sinodali. Egli infatti visse intimamente la vita della sua Diocesi” (130).
A contestare quanto letto finora negli autori citati, e soprattutto a confutare lo scritto del Grasso è Antonio Abbatiello, parroco a Sant’Agata de’ Goti e responsabile da diversi decenni dell’archivio vescovile di quella città. È particolarmente interessante quanto scrive (131):
“Di tutto questo è vero esattamente il contrario. Da una esperienza ventennale nell’Archivio Storico Diocesano, esaminando una per una ogni carta, non ho mai trovato un documento che segnalasse la presenza di Mons. Peretti in diocesi. Al contrario tutti i documenti relativi al suo ministero episcopale lo suppongono sempre assente. Non c’è in nessun modo traccia di Atti firmati di suo pugno. Con buona pace di Mons. Grasso, ma anche del p. Tempesti, che certamente non visitò l’Archivio e scrisse perciò a riguardo cose molto generiche per semplice supposizione. Dopo la presa di possesso, Fra’ Felice non tornò più a Sant’Agata. A dire il vero il suo desiderio era quello di tornare. Aveva già preparato le casse con i libri da portare con sé, utili o per il lavoro pastorale o per occupare i momenti di riposo. Glielo impedì il papa stesso S. Pio V, che lo volle a Roma per avvalersi della sua opera [...]. Come vescovo di Sant’Agata governò la diocesi mediante i Vicari Generali, uno ogni anno
(in media): Agostino Lanza nel 1567; Leonardo Pirone per pochi mesi. Albenzio Pirone nel 1568; Giambattista Piro nel 1568-69; Andrea Lollo nel 1569-70; Paolo Pagano nel 1570-71. Essi ci hanno lasciato la varia documentazione degli uffici di curia, conservata nel nostro Archivio: nel Fondo Sacre Visite il volume 3°; nel Fondo Bollari il volume 2° ai fogli 108-217; nel Fondo Jura Diversa Mensae Episcopalis il volume 5°; nel Fondo Miscellanei Antichi il volume 186; nel Fondo Atti Matrimoniali diversi atti in vari volumi; dalla Rubricella Criminalium si possono rivelare le indicazioni dei processi istruiti dal Tribunale ecclesiastico. Da tutta questa mole documentaria mi sembra utile sottolineare l’elenco dei beni della Mensa Vescovile, riportato ai fogli 93-97 del volume 5° Jura Diversa Mensae Episcopalis. Il Viparelli attribuisce a Fra Felice le annotazioni ai margini. In realtà dovrebbe essere autografo l’intero testo. Al foglio 97 infatti è scritto in prima persona che Fra’ Gaspare Crispi, suo procuratore, deve rendergli conto, e vi si parla anche dei ducati che il Crispi gli ha spedito a Roma. Un esame grafologico approfondito potrebbe darcene piena certezza” (132).
Le affermazioni dell’Abbatiello sono decise e documentate, e credo meritino rispetto, dal momento che sono sostenute da un conoscitore di quell’archivio diocesano. Ma almeno in un punto sono certamente confutabili, cioè nella frase “Dopo la presa di possesso, Fra’ Felice non tornò più a Sant’Agata”. Proprio nel citato volume 5° Jura Diversa Mensae Episcopalis, che riporta le “Entrate di denari del Vescovado di S.ta Agatha”, vi è una scritta iniziale (di mano diversa dal testo) che recita così: “Il presente notamento fu fatto redigere da M.r Perretti (sic!) nel 1568 nel suo secondo ritorno in questa Diocesi di S. Agata de’ Goti”. Quindi almeno un secondo ritorno, dopo quello della presa di possesso, c’è stato, anche se non viene specificato l’anno.
Comunque, anche se assente fisicamente, il vescovo Peretti avrà certamente guidato la sua diocesi, con la sua solita grinta di riformatore e attuatore dei decreti tridentini. Avrà certamente dato precisi ordini ai suoi vicari generali circa la conduzione della visita pastorale e messo mano ai decreti attuativi successivi alla visita (gli “ordini discreti” di cui parla il Tempesti); avrà seguito l’operato del capitolo canonicale della cattedrale e del clero; avrà continuato a interessarsi della vita dei religiosi e delle religiose, lui che per diversi anni aveva caldeggiato la riforma all’interno del suo Ordine francescano; si è interessato del seminario. Non facevano parte del suo carattere il disimpegno o la superficialità e non era nel suo stile lasciare evasi i problemi che incontrava nei diversi incarichi che i vari papi gli hanno affidato. Quelle “Costituzioni Sinodali” accennate dal Grasso stanno ad indicare che il Peretti, da Roma o in presenza, ha comunque messo mano alla legislazione liturgica, canonica e disciplinare della diocesi, così come era richiesto ai vescovi dal concilio di Trento.
E Sant’Agata ha voluto ricordare questo suo vescovo diventato papa con una iscrizione gratulatoria posta nel 1586 nella cattedrale: “sisto V pont optimo maximo quondam episcopo benemerentissimo universitas agathensis gratitudinis ergo anno domini mdlxxxvi”.
Per ordine del Papa, che voleva che il vescovo Montalto continuasse nell’attività di vicario apostolico del suo Ordine, lasciò Sant’Agata e ritornò a Roma per proseguire nella visita ai conventi: a marzo visitò i conventi della Toscana, ad aprile quelli di Bologna per poi andare nei vari conventi delle Marche. Il 27 e 28 aprile ritornò nella sua Montalto.
La sua Montalto lo accolse trionfalmente con archi, fiaccolate e un imponente banchetto: nel libro di entrata ed esito della Comunità del maggio 1567 si ritrovano le spese sostenute per tali festeggiamenti (133). Nella sua permanenza a Montalto risiedette nella nuova casa acquistata dai Peretti, posta nella piazza principale.
Ai primi di maggio riprese la visita ai conventi marchigiani, passando per Grottammare (134) e alla fine di quel mese, dopo aver visitato i conventi marchigiani di Ripatransone (135), Fermo, Acquaviva, Montegranaro, Civitanova, Montesanto (Potenza Picena), Recanati, Iesi, Urbino, Mondaino e quelli romagnoli di Sant’Arcangelo, Cesena, Forlì, Bagnacavallo, Lugo, Ferrara. Il 31 maggio, dopo Rovigo, era a Venezia, dove si mostrò generoso, concedendo agevolazioni ai due suoi detrattori del tempo della sua reggenza veneziana e del suo ufficio inquisitoriale. Il 20 giugno 1567 era a Roma, dopo aver toccato Padova e Bologna.
Rimarrà a Roma fino al capitolo generale del 1568 e nel frattempo, oltre che applicarsi non senza difficoltà e opposizioni alla riforma dell’Ordine, deve anche partecipare al processo romano intentato all’arcivescovo di Toledo Carranza, che era stato trasferito a Castel Sant’ Angelo. In questo processo, che doveva esaminare gli scritti dell’arcivescovo e la commissione era composta da quattro cardinali e relativi assessori, uno dei quali era il vescovo Peretti (136).
Un avviso del 12 maggio 1568 (presente nell’Archivio di Stato di Vienna) cita la notizia secondo la quale Monsignor Peretti era caduto in disgrazia presso Pio V per una voce che circolava che gli attribuiva due figlie in un convento toscano. È un ennesimo esempio dell’invidia che circondava il Peretti: lo si accusava anche di uso improprio del denaro dell’Ordine e di vivere nella ricchezza. Quest’ultima accusa fu verificata dallo stesso Pio V con una visita a sorpresa nell’appartamento presso i SS. Apostoli utilizzato dal Peretti risultando, come le altre, totalmente infondata, osservando una stanza disadorna con due sole casse piene di libri (137).
Il Capitolo generale inizialmente era stato previsto dal Peretti a Bologna (138), ma il papa Pio V stesso scelse successivamente come sede Roma (139). Il Capitolo generale si svolge il 6 giugno 1568 e viene eletto ministro generale dell’Ordine fra Giovanni Tancredi di Colle Val d’Elsa, che però governerà solo pochi mesi, morendo a Firenze il 3 ottobre dello stesso anno (140).
Con questa nomina mons. Peretti è ormai libero dal peso di guidare il suo Ordine e nella lettera dell’11 giugno 1568 il Peretti annuncia al cardinale protettore Borromeo la nomina del nuovo ministro generale dell’ordine, che prenderà il suo posto e il desiderio dell’Ordine di continuare la riforma che il Peretti faticosamente aveva intrapreso: “Il sabato della Pentecoste si fu eletto per generale di questo ordine il Padre Maestro Giovanni da Colle, buono religioso et in costumi et in lettere, et avanti fosse proposto molto bene fu essaminata la vita sua da Nostro Signore, onde sì come è stato eletto con libertà et sodisfattione della Religione così ancho con contento di Sua Beatitudine e tutto questo Capitolo è stato ben veduto da N. Signore, concedendoli un Giubileo plenario per lo giorno della Pentecoste, facendoci gratia che nel santo giorno predetto andassimo tutti in processione a basciare i suoi Santissimi piedi, con molta devotione a tutta la Città di Roma. Intorno a la rifforma che desidera, le dico che si come Sua Beatitudine è risolutissimo che la religione s’habbia a riformarsi per da vero, non in carta ma nei costumi, così l’Ordine tutto è dispostissimo ad ubedire et osservare quanto da Sua Beatitudine li sarrà comandato” (141).
Concluso l’incarico di Vicario apostolico, nell’autunno del 1568 il vescovo Peretti ritornò nella sua diocesi di Sant’Agata dei Goti. Qui portò a termine una visita pastorale a tutte le parrocchie, individuando gli abusi e pubblicando poi degli “ordini discreti”. La sua attività vescovile si evidenziò nel Seminario (fondato dal suo predecessore Mons. Beroaldo (1556-1566), dotandolo di beni e benefici. Riordinò l’Archivio istituendo un catasto dei beni delle chiese e dei luoghi pii della diocesi. Offrì 500 ducati per la ristrutturazione della cattedrale e, una volta divenuto papa, altri 228. Nel 1752 monsignor Danza riferisce la rottura della campana del duomo, che era dono del vescovo e ormai cardinale Peretti e l’arcidiacono D. Francesco Rainone ne riporta la scritta: “f. foelix perrettus ord. min. conv. s. franc. episcopus s. agathae s.r.e. presbyter card. de monte alto picenus renovavit”. Nel 1570 il vescovo Peretti concesse al Capitolo della Cattedrale l’“alternativa” nel servire il coro, con l’obbligo per tutti di parteciparvi (142).
9. Il cardinal Montalto (Montaltus, o de Monte Alto)
Il 17 maggio 1570 il vescovo Felice Peretti, a 48 anni, fu nominato cardinale presbitero con il titolo cardinalizio di San Girolamo degli Illirici. Nella lista di questa terza promozione del pontificato di Pio V è il settimo dei sedici nuovi cardinali. Il 20 maggio fu consegnato il cappello cardinalizio e nei giorni 2 e 9 giugno ci fu il rito della chiusura ed apertura della bocca, cioè il diritto di parlare liberamente nei futuri concistori (143).
Il Pontefice Pio V donò a lui e ad altri sei neo-cardinali cinquecento scudi d’oro, due pianete, quattro portiere, un bacile, un boccale, la mazza d’argento, i finimenti rossi e violacei per la mula e una pensione annua di 1200 scudi, dovuti a cardinali poveri. (144).
La nomina provocò una incontenibile gioia nelle città delle Marche, a cominciare dalla sua piccola Montalto, e nei conventi del suo Ordine. E, di pari passo, comincia per il cardinal Montalto la richiesta ai aiuti e di suppliche da ogni parte.
L’amico cardinale Borromeo scrisse da Milano all’amico neo cardinale il 31 maggio, 14 giorni dopo la sua promozione: “Ho preso quel contento, che conviene della promotione di V.S. Ill.ma si per l’amore particolare ch’io li porto, et così per la stima, che ho della dottrina et qualità sua come per l’occasione, che haverà d’impiegarsi con maggiore auttorità in servitio di Santa Chiesa et di N. S.re. Né dubito che V.S. Ill.ma corrisponderà largamente al giuditio che ha fatto Sua Beatitudine di lei, et all’espettatione che si ha del valore suo. Il che fa che io mi congratuli seco di questo nuova dignità et grado del cardinalato, per il quale dovrà hora commandarmi conforme all’osservanza che le porto come la prego che si faccia, et con ogni affetto me le raccomando basciandole la mano” (145).
Il papa, vista la preparazione del Peretti gli assegnò la Congregazione dell’Indice, venne nominato membro della Congregazione dei Vescovi e Regolari e membro della Congregazione per l’affare Carranza. Il novello cardinale abiterà fino al 1572 (come risulta da un volume presente nell’Archivio Capitolino) nel palazzo postogli a disposizione dalla famiglia Crivelli, sito in via de’ Banchi Vecchi n° 22 (146).
10. Vescovo della diocesi di Fermo
In confronto ai cardinali titolati e provenienti da famiglie nobili come Alessandro Farnese o Luigi Este o Marco Antonio Colonna, l’ex frate Felice Peretti certamente non ha un “piatto” pingue. Ci pensa ancora una volta l’amico papa Pio V a rinforzare le sue rendite con l’assegnargli la sede vescovile di Fermo, vacante per la morte dell’ultimo vescovo Lorenzo Lenzi, morto il 26 novembre 1571. Il 17 dicembre 1571 il cardinal Montalto diventa vescovo di Fermo, diocesi che reggerà fino al 14 agosto 1577 (147).
La grande diocesi marchigiana aveva la buona rendita di ben ottomila scudi, molto di più dei cinquecento scudi della diocesi di Sant’Agata de’ Goti. Ma presto Fermo si accorse della generosità e della intraprendenza del suo vescovo: “Aumenta il patrimonio del Capitolo, aggiunge due mansionarie, allega benefizi alla cappella musicale, dona sei stupendi candelieri d’argento ed altre suppellettili alla cattedrale. Soprattutto ingrandisce la residenza episcopale, dimostrandosi già il futuro imprenditore e costruttore di nuovi edifici. Recupera possedimenti, acquista tenute, concorre alla compera di un mulino, riforma conventi e monasteri, compie due visite pastorali e fonda il seminario nel 1574” (148).
I primi rapporti tra fra’ Felice Peretti e Fermo risalgono al periodo della sua giovinezza, quando conseguì il titolo di dottore in teologia nello Studio francescano di quella città nel 1548. Più tardi l’interesse del già card. Peretti per Fermo si verificò in occasione dell’istituzione della nuova diocesi di Ripatransone nel 1570, quando egli era vescovo di Sant’Agata dei Goti. Questa decisione, presa e sostenuta da Pio V, significava una seria decurtazione della giurisdizione dell’episcopato fermano, per cui quando il pontefice decise di sottoporre la questione in concistoro per chiedere il parere ed ottenere l’assenso dei cardinali, Peretti si dichiarò contrario all’istituzione della nuova diocesi.
Come era avvenuto per la diocesi di Sant’Agata, anche a Fermo la sua presenza non fu costante (149), ma vi sono sicuri indizi dell’impegno del cardinale Peretti nella riforma delle istituzioni ecclesiastiche profuso in questa diocesi. Inoltre seppe rendersi presente attraverso validi coadiutori ben scelti: “da monsignor d’Utica, suffraganeo di Ravenna, che svolse la visita pastorale del 1573, da monsignor Paolo Pagani di Monterubbiano che gli servì da auditore, dal giovane nobile Decio Azzolini che egli portò poi al cardinalato a soli trentasette anni, dal canonico don Censorio Marziale e da altri” (150).
Il primo maggio 1572 il cardinal Montalto era comunque presente a Roma il 1° maggio alla morte di Pio V. Possiamo immaginare il suo dolore per la morte di un tanto padre.
Il 13 maggio fu eletto Papa Ugo Boncompagni con il nome di Gregorio XIII. I due si erano conosciuti e reciprocamente tenuti a distanza nel viaggio in Spagna del 1565.
Il 6 maggio 1577 (altrove ho trovato 14 agosto) il Cardinal Montalto rinunziò alla diocesi Fermo e al suo posto fu nominato Domenico Pinelli (151).
I rapporti con Fermo non si interruppero con la rinuncia all’episcopato fermano, ma proseguirono e si intensificarono. Quando nel gennaio del 1586 Fermo inviò a papa Sisto una ambasceria per ringraziarlo della promozione al cardinalato del fermano Decio Azzolini, il papa li accolse paternamente e promise loro di beneficare la loro città e di esaltare i suoi figli migliori: “Li 4 Ambasciatori de Fermo venuti a ringratiar il Papa per la promotione dell’Azzolino loro compatriotto sono stati ricevuti et ascoltati familiarmente da Sua Santità, che ha loro promesso di nobilitare quella Città d’altri Cardinali, prelati et personaggi in buon numero” (c. 23v/86).
E nel 1589, eleverà la diocesi fermana ad arcidiocesi metropolita. Si legge nell’avviso del 10 maggio 1589: “Nell’ultimo Concistoro i Cardinali della congregatione super erectione Ecclesiarum et Metropolitanarum fecero relatione al Papa alla sedia sopra il modo impostogli da Nostro Signore della eretione di Fermo in Arcivescovato, al quale si sottoporranno le Città di Tolentino, San Severino, Montalto, et Ripatransone (c. 289v/89) (152).
Questa particolare attenzione per Fermo si spiega con il fatto che nel periodo del suo episcopato fermano il card. Peretti aveva trovato rispondenza nel clero, nella magistratura e nel popolo ed aveva potuto dispiegare la sua saggezza di governo mediante l’ammodernamento delle istituzioni ecclesiastiche e ponendo in essere nuove e funzionali strutture sia nel centro della diocesi che nelle varie Terre e Castelli del suo vasto territorio.
11. Il forzato “riposo” del cardinal Peretti sotto papa Gregorio XIII
Fra il suo predecessore al papato Gregorio XIII e il cardinale Montalto non correva buon sangue. L’accomodante Gregorio era lontano dalla cultura e spiritualità dura e riformista del Peretti, un frate che aveva goduto delle simpatie di papa Pio V, identico come lui nella sensibilità e nella nuova visione postconciliare di Chiesa.
Il motivo di una certa ruggine fra i due veniva da lontano, dall’anno 1565, quando si trovarono insieme nell’ambasceria in Spagna, per derimere la questione di Bartolomé de Carranza, arcivescovo di Toledo. Sappiamo che purtroppo in quell’occasione nacquero delle incomprensioni fra il cardinale Boncompagni e il frate Peretti, dovute ad una diversa visione di giudizio: e ciò portò in quel viaggio ad una specie di ostracismo del Peretti da parte del cardinale legato (153). Ne derivò una forte antipatia personale fra i due, che influenzò gli eventi degli anni successivi, portando all’isolamento del frate (che papa Pio V, successore di Pio IV, aveva fatto vescovo e cardinale) durante tutto il pontificato di Gregorio XIII, anche se ciò non tolse che il cardinal Montalto si comportò da vero signore, come si legge in un Avviso del 25 febbraio 1587: “La quale in tanti anni che fu Cardinale non conobbe mai, né volse mai havere per padrone altro che questa Santa Sede” (c. 70r/87).
In tale isolamento però il Montalto non faceva mancare, quando poteva, la sua parola di critica al governo di papa Gregorio, come ebbe a dire l’ambasciatore veneto Lorenzo Priuli (poi patriarca di Venezia) nella sua relazione al senato della Serenissima al termine della sua permanenza triennale a Roma nel 1586: “L’elezione di Sisto Quinto è reputata opera dello Spirito Santo, essendo concorsi tanto prontamente tutti i cardinali all’esaltazione di lui, quantunque i nepoti di Gregorio e il loro numeroso stuolo per ragioni particolari dovessero anteporre un tutt’altro candidato, memori del maltrattamento di costui verso Gregorio, e biasimi che dava, durante la vita di questo papa, a lui, ai suoi ed al suo governo” (154).
Diciamo che il Peretti si prese da papa qualche personale ed umana rivincita sul Boncompagni, continuando a dare un giudizio non proprio lusinghiero del governo del suo predecessore: “Nostro Signore s’è doluto con San Stefano
di Gregorio che in tanti anni di Pontificato habbia lasciato così povero l’erario, così scontenti i virtuosi, et benemeriti di questa Sede, et così ricchi, et commodi tanti ignoranti, et inutili, fatti elemosine di quel d’altro, et à persone indegne senza numero” (c. 238r/85); “Continuamente si lamenta il Papa della penuria del suo Pontificato, et di haverlo trovato esausto” (c. 134r/87); “Si dolse il Papa ragionevolmente in Signatura, che Gregorio suo predecessore si lasciasse così facilmente spellare dalli Principi” (c. 141r/87).
Papa Sisto fece togliere dalla tiara papale (posta sul capo nella incoronazione del papa e nelle grandi solennità) un prezioso smeraldo che da papa Gregorio aveva ricevuto da uno spagnolo delle Indie e che aveva fatto collocare sulla tiara insieme a tre dragoni (a ricordo del drago presente nel suo stemma). Sisto al suo posto fece collocare un leoncino rampante che recava tre perle sulla zampa, rifacendosi invece, e con sfacciata evidenza, al suo stemma e al suo cognome Peretti.
Altri sassolini dalle scarpe papa Sisto se li tolse, come ad esempio eliminò un grande drago di bronzo dorato che Gregorio aveva fatto collocare sulla sommità del palazzo di Montecitorio e collocò al suo posto una croce. Papa Sisto non volle più finanziare i Gesuiti di Roma con la stessa generosa contribuzione di Gregorio, dicendo “di non voler pagare li debiti fatti dal suo predecessore (c. 225r/85).
Papa Gregorio non vedeva di buon occhio i cardinali “frati”, infatti non elevò al cardinalato nessun frate nei suoi 13 anni di pontificato, pur avendo creato ben 34 cardinali, mentre papa Sisto di cardinali provenienti dai vari ordini religiosi ne fece 4 su 33: un domenicano, un francescano, un agostiniano e un servo di Maria. Il motivo di questa avversione di Gregorio ci viene ingenuamente fornito dal primo dei cardinali da lui creati, il suo stesso nipote Filippo Boncompagni, chiamato il cardinal San Sisto. Narra l’avviso del 16 ottobre 1585 che in quei giorni proprio il cardinal Boncompagni andò dal nuovo papa Sisto per chiedere che il vescovo di Arezzo, che era un frate dell’Ordine dei Servi di Maria, fosse fatto cardinale. Al che il papa chiese polemicamente quanti cardinali frati avesse fatto suo zio Gregorio, e costui rispose, con sincerità che non ne aveva fatto nessuno, perché i frati, di ogni tipo, gli stavano antipatici: “San Sisto raccomandando l’altro giorno al Papa con molta efficacia il frate Vescovo d’Arezzo acciò lo porporasse, fu da Sua Beatitudine interrogato se in 13 anni era lui mancata occasione di fare co’l Papa suo zio questo offitio, et che San Sisto bonamente rispondesse che mai non hebbe ardire di raccomandargli frati, perché Sua Santità odiava a morte questa razza d’huomini, fossero privati, Vescovi, o Cardinai, et che ridendo il Papa lo licentiasse, et dicesse poi a certi che stavano a lui, che San Sisto era nato il giorno degli Innocenti” (c. 478v/85).
Era inevitabile quindi che il cardinale Peretti avesse vita difficile sotto Gregorio, anche dal punto di vista finanziario, dal momento che nel febbraio 1581 papa Gregorio tolse al Peretti l’assegno destinato ai cardinali poveri e datogli da Pio V. Questo perché Gregorio vide che il Peretti stava costruendo la sua villa Montalto accxanto a Santa Maria Maggiore. Forse non aveva tutti i torti, ma le entrate del Peretti impallidivano nei confronti dei grandi cardinali provenienti da famiglie nobili.
12. Lo studioso di Sant’Ambrogio e l’epistolario con il card. Carlo Borromeo
Durante i tredici anni del pontificato di Gregorio XIII il cardinal Peretti si mise serenamente in disparte, conducendo un’esistenza alquanto ritirata e lontana dalle cronache curiali e romane. Frequentava regolarmente i concistori cardinalizi e le poche cappelle papali durante l’anno.
Ma non sprecò il suo tempo, perché lo occupò in gran parte nello studio di un padre della Chiesa: Ambrogio.
Conosciamo questo periodo della sua vita attraverso il carteggio epistolario tra il cardinale Peretti e il cardinale Carlo Borromeo, un corpus di 44 lettere autografe indirizzate dal Peretti al Borromeo e che si trovano presso la Biblioteca Ambrosiana (BA) di Milano (155), e di 19 lettere autografe inviate dal Borromeo al Peretti si trovano presso Archivio Apostolico Vaticano (AAV), nel Fondo Chigiano (156).
I due personaggi dell’epistolario iniziarono a contattarsi, stando alle lettere a noi giunte ma che certamente dovevano essere assai più numerose, già dal 1566. Il Borromeo era appena ventottenne ed era già cardinale da sei anni, essendo nato nel 1538, mentre fra Felice Peretti aveva 45 anni e nel suo Ordine occupava, dal gennaio di quell’anno, il ruolo di vicario generale.
Dobbiamo dire che il Peretti ebbe sempre una propensione allo studio dei Padri della Chiesa, certamente collegata alla sua grande passione per la cultura in vista della predicazione. Tale interesse ebbe occasione di approfondirsi nel periodo del “riposo forzato” durante il pontificato di Gregorio XIII. Scrive il Pastor: “Il cardinale si appartò quanto poté... e seppe utilizzare bene il riposo forzato che gli era stato imposto. Egli si approfondì sempre più nei suoi libri, che furono sempre la sua gioia più grande. Egli lavorava soprattutto a proseguire la sua nuova edizione delle opere di S. Ambrogio, e a tale uopo tenne una viva corrispondenza con Carlo Borromeo di Milano, che lo aiutava con tutte le sue forze” (157).
Del 1571 è la prima lettera in cui si accenna al lavoro di correzione che il cardinal Peretti sta compiendo sulle opere di S. Ambrogio. La lettera è scritta da Milano dal cardinale Borromeo, per ringraziare dei primi fogli a stampa ricevuti dal Peretti, di cui elogia “la diligenza e la sollecitudine”. Probabilmente è proprio questa lettera che inaugura fra i due cardinali la “relazione di lavoro” attorno a Sant’Ambrogio: “Ricevei molti giorni sono quei fogli ristampati, che è piaciuto à V. S. Ill.ma mandarmi; in che ho io uno istesso tempo riconosciuto la diligenza, et sollecitudine, che usa ogni dì maggiore nella correttione delle opere di quel glorioso santo, et amorevolezza sua verso di me” (158).
In realtà il Peretti aveva cominciato già dal 1560 ad interessarsi dei Padri della Chiesa, da quando cioè papa Paolo IV gli aveva dato l’incarico di consultore dell’Inquisizione e gli aveva chiesto di preparare una nuova edizione delle opere dei Padri della Chiesa, ormai viziate nel testo per le tante manomissioni che si erano accumulate nel corso dei secoli. Lo racconta lui stesso nella prefazione al primo tomo delle opere di S. Ambrogio che uscì sotto la sua cura nel 1580: “Non senza ragione ero addolorato e mi dispiaceva moltissimo il vedere che i gloriosi testi dei Padri della Chiesa, donati a noi dalla benignità divina, risultavano ormai talmente corrotti e trasformati nel testo, sia per il trascorrere del tempo, sia per la sonnolente inoperosità dei pastori mentre si seminava la zizzania in mezzo al buon grano, per cui si sentivano frasi attribuite ai Padri che o non erano loro, o erano imprecise o addirittura false e del tutto estranee ai dettami della fede e lontane dalla mente degli scrittori. Per questo motivo gli inquisitori preposti alla conservazione della fede non permettevano quelle traduzioni né nella loro interezza né in brani scelti, affinché non recassero alla morte quelle parole che erano state scritte per la vita... Per tale motivo questi santi aiuti dei Padri offerti alla Chiesa rimanevano del tutto inutilizzati. Per venire incontro a questo deplorevole inconveniente i Sommi Pontefici Pio IV e Pio V, di felice memoria e predecessori della Santità Vostra, ordinarono a me, subito dopo la mia professione religiosa e mentre abitavo nel convento dei Frati Minori, di esaminare di nuovo con diligenza le opere del santissimo e grandissimo Ambrogio, dottore della Chiesa e vescovo di Milano, che erano state malamente modificate come altre opere dei santi Dottori e quindi proibite, di correggere e di togliere gli errori aggiunti e di riportare il testo alla primitiva purezza voluta dall’autore, con l’aiuto dei vecchi esemplari e con ogni possibile e più adatto mezzo... Accettai con obbedienza e volentieri tale incarico gravoso e al di sopra delle mie possibilità, confidando tuttavia nell’aiuto di Colui che ha aperto la bocca ai muti e ha reso loquace la lingua dei bambini. Pertanto incominciai subito e con zelo a cercare diligentemente, a visitare le più vecchie biblioteche di Roma e a confrontare tutte le varianti trovate nei manoscritti e nei codici più antichi, come pure cercare alcuni testi stampati e anche possibili libretti che citassero frasi tolte dagli scritti di questo santissimo Dottore o in testi di Concili generali e provinciali o in altri scritti privati di nostri antenati: avrei senza ombra di dubbio portato a termine il mio compito, se non fossi stato impedito da varie altre distrazioni, viaggi, occupazioni e incombenze, per cui fui costretto a lasciare incompiuto il lavoro” (159).
Il lavoro richiedeva la grande fatica di reperire anzitutto un numero più ampio possibile di testi manoscritti o a stampa (Roma offriva per la ricerca molte e prestigiose biblioteche ospitate quasi in ogni monastero o convento, per non parlare della biblioteca vaticana) e, una volta reperiti,
iniziava il problema critico della attribuzione certa ad Ambrogio dei testi acquisiti e quello filologico circa la correttezza dei testi stessi. Certamente in questo lavoro si avvalse dell’aiuto di diversi collaboratori con l’aiuto di diversi collaboratori, i cui nomi sono citati dal Tempesti: “I Dottori preclari, de’ quali si prevalse, furono Latino Latini (160), Monsignor Angiolo Rocca (161), il Bernieri Vescovo di Bitonto (162), il Ridolfi Vescovo di Venosa (163). Nel 1587 divenne vescovo della diocesi di Venosa, e dal 1591 vescovo di Senigallia. HC, III, pp. 298, 330.), il Cardinal Torri (164), Cesare Baronio (165) e Silvio Antoniano (166), ambedue poi Cardinali, Annibale Santucci (167) cotanto caro a San Carlo, M. Antonio Mureto (168), Ottaviano Strambiati (169); e quanti altri dottissimi formavano l’Accademia di Lettere nel Palazzo del Cardinal Alessandro Farnese, come dalla Libreria Barberina” (170).
Il 18 agosto 1577 il Borromeo scrive da Milano al Peretti una lettera di stima e apprezzamento per il lavoro già portato avanti a Roma con tenacia. Si nota che il Borromeo era informatissimo del lavoro compiuto a Roma: delle difficoltà che la commissione romana aveva incontrato nel reperire i testi; del problema dell’uso che Ambrogio (morto nel 397) aveva fatto del testo latino della Scrittura che era anteriore alla famosa traduzione della “Vulgata” effettuata da S. Girolamo e in uso nella Chiesa latina dal 404; del grande ardore profuso dal card. Peretti su cui gravava l’onere maggiore del lavoro. E il ringraziamento dell’arcivescovo di Milano giunse al Peretti a nome suo personale e di tutta la diocesi ambrosiana, insieme all’incitamento a portare avanti e a concludere quanto prima il lavoro “che io desidero grandemente”: “Ho inteso con molta mia consolatione la fatica, che continua V. S. Ill.ma intorno all’opere di Santo Ambrosio, la quale sicome so, che sarà gratissima à tutta la santa chiesa, e particolarmente a questa di Milano così io per lo particolare interesse, che vi ho, come Arcivescovo di questa chiesa, ho giudicato debito mio il renderlene, come faccio, quelle gratie, che posso, maggiori; pregandola di più, che sia contenta di condur quanto prima quest’opera al debito fine; il che io desidero grandemente acciò quanto più presto sia possibile, godiamo questi frutti della dottrina, et fatiche di V. S. Ill.ma alle cui orationi mi raccomando con tutto l’animo; baciandole humilmente le mani” (171).
Dalla lettera del 30 settembre del Borromeo veniamo a sapere di una lista di opere di S. Ambrogio che è stata inviata a Milano dal Peretti: si tratta di opere che il gruppo di esperti romani hanno trovato nelle varie biblioteche e che finora non erano mai state stampate. Compiaciuti da questo buon risultato della ricerca, si voleva conoscere se anche a Milano vi fossero testi ambrosiani inediti. Ma il Borromeo risponde che “si sono hora rilevate qui alcune poche cose” e che saranno inviate comunque a Roma, nell’attesa di inviare ancora altre novità che eventualmente si trovassero (172). Possiamo immaginare come negli ultimi mesi del 1577 vi fosse un passaggio di codici e volumi copiati da Milano a Roma: alcuni attribuibili senza dubbio ad Ambrogio, altri invece creduti tali, ma copiati ed inviati ugualmente per la consultazione e il confronto. Si vuole comunque “fare giudizio”, vagliare con saggezza i testi del materiale reperito, con l’aiuto della analisi testuale e della critica storica, naturalmente con tutti i limiti (e ve ne saranno!) e le possibilità cognitive di quel tempo.
Negli anni 1578 e 1579 (cioè alla vigilia della stampa del primo volume) l’epistolario fra i due cardinali si infittisce a dismisura e abbiamo un corpus di ben 43 lettere.
Le 24 lettere del 1578 ci informano su tanti particolari e piccoli retroscena, a cominciare dalla forzata posticipazione della stampa del primo volume che si credeva ormai imminente, semplicemente perché la nuova tipografia romana che doveva compiere il lavoro ha dovuto aspettare i “caratteri” da Venezia. Il più delle volte le lettere trattano della suddivisione dei vari Commenti di Ambrogio e una lettera del Peretti del 14 giugno 1578 getta ulteriore luce sul modo di lavorare del Peretti, sul suo rapporto continuo con Borromeo e gli “esperti” milanesi con i quali si confronta, sulla stampa che prosegue con decisione (si inviano continuamente i quinterni stampati), sulla scrupolosa scelta dei testi, sulla considerazione data all’aspetto critico-storico e infine sul lungo periodo di tempo che il Peretti ha dedicato a questa impresa: “La lettera di VS. Ill.ma delli 4 di questo, me ha consolato molto che le fatighe, che se fanno nelle opere di S.to Ambrosio glie habbino sodisfatto. È ben vero che io confido molto nel consiglio di questi SS.ri et Dotti, che non solo me aiutano, ma me guidano in questa santa opera, non di meno me riposo io sempre nel prudentissimo giudicio di lei, et di Dotti, che tiene appresso di se. Però mi è parso bene con questa mandarle un altro quinterno, acciò vedendo VS. Ill.ma la continuatione dell’opera, habbia anco maggior occasione di advertir qualche cosa. A questa hora la stampa è arrivata al cap. 6 di San Luca, et se à lei piace così io per ogni posta glie ne manderò un quinterno. Ho ricevuta la confrontatione fatta sopra alcuni trattati del Testamento Vecchio, come lei me manda. Mi è piaciuta assai, et glie ne rendo molte gratie, et la supplico à far continuare. È ben vero che questa istessa diligentia in Milano io la feci far l’anno 1564 da Padri Reggenti, et Dotti di S. Francesco, non di meno molto più confido in questa che fa far lei... S.to Ambrosio divise questi suoi commentarij in libri dieci, come esso istesso ne accenna, et come da dotti santi, et antichi se trovan citati, et per dargliene qualche saggio, glie mando questa carta alligata, Onde se io facesse novità dubitarei offender. Per[ci]ò receverò sempre volentieri tutto quello, che a lei parerà ordinarmi. È ben vero che al tempo di S.to Ambrosio l’Evangelo di San Luca non era diviso in capitoli, non dimeno, per esser così diviso hoggi, ho giudicato bene continuar detta divisione, senza però segno notabile, ma solo nel principio di ciascun libro. Li sermoni, che questo glorioso Dottor fa sopra alcuni luoghi di San Luca, pensarei non essere bene stamparli in questo Tomo, per non parer che si faccia una insalata senza distintione, ma ho pensato metter in questo Tomo la sola expositione continuata, et li sermoni metterli al luogo separato” (173).
Dopo quindici giorni, il 28 giugno 1578, il Peretti invia una seconda lettera al Borromeo. Viene spedito un altro quinterno del tomo che si sta stampando (il terzo), del quale già sono pronti per la stampa altri cinque quinterni, arrivati alla lettera H. Il cardinal Montalto fa sapere che la ricerca fatta nelle biblioteche romane ha dato buonissimi frutti. Non manca un accenno alla “freddezza” che si riscontra in Roma attorno a questo progetto culturale. Forse il Peretti vuole alludere alla nota freddezza che papa Gregorio (e di conseguenza la curia) aveva in quegli anni verso di lui: “Con la lettera di V.S. Ill.ma ho ricevuto li due sermoni, che me manda sotto il nome di Santo Ambrosio. Io ho molti trattati, et sermoni, oltre quelli che sono in stampa, tra quali ho anco questi che hora V.S. Ill.ma me ha mandati, et glie rendo molte gratie di tanta fatiga se piglia, perché ancorché io habbia le cose che lei mi manda, non di meno me giovano a due cose, et a far la confrontatione, et ad autenticare l’opera. Perché trovandosi in più librarie è segno che in più luoghi sono tenute dette cose per sue, così la supplico a continuare, et con questa le mando il Quinterno C, della stampa cominciata è già ad H et si va inante quanto se può in Roma, la freddezza della quale lei per experientia conosce” (174).
Fino a novembre è tutto un continuo invio di quinterni da Roma a Milano, dal momento che ormai la tipografia di Domenico Basa lavora “con ogni maggior diligenza possibile” (175). Naturalmente il Borromeo accoglie sempre con entusiasmo questa pioggia di quinterni, accusandone puntualmente la ricevuta, sempre consapevole della “fatica ch’ella fa sopra l’opere di Sant’Ambrosio” (176).
Alla fine del 1578 il Borromeo esprime il suo giudizio del tutto positivo sul lavoro svolto dal Peretti, sia per l’estetica della stampa che per il testo, soprattutto se messo a confronto con precedenti simili lavori. Lo scusa anche per eventuali errori di stampa che l’edizione potrebbe contenere: sono inevitabili ed è “cosa ordinaria” e nessun valente correttore potrà mai eliminarli del tutto: “Mi farà V.S. Ill.ma favor singolare a continuare, come nell’ultima sua mi scrive, di mandarmi i quinternetti dell’opera di Santo Ambrosio di mano, in mano, fin che si compirà tutta. Già ne ho ricevuto sino al quinterno CC et me piacciono, sì per la stampa, come anco molto più che l’opera è purgata dalle depravationi... Se poi accasca qualch’errore per la negligenza de i stampatori, è cosa ordinaria in tutte le stampe, et a pena se può fuggire per diligenza grande, che si usi, et da gli Autori istessi, et da valenti correttori” (177).
A giugno 1579 ormai tutti i quinterni del primo tomo sono stati inviati a Milano e formeranno il tomo terzo dell’intera opera, che riporta i commentari del vangelo di Luca e delle lettere di S. Paolo.
Nel frattempo è iniziata la stampa de “li primi fogli del primo Tomo del Commento di santo Ambrosio sopra il Testamento Vecchio” (178), che formeranno il primo tomo dell’opera, quello che riporterà la dedica a papa Gregorio. E ricomincia di nuovo l’invio dei quinterni del secondo volume (che sarà il tomo primo della collana) per tutto il resto del 1579.
Le ultime quattro lettere giunte a noi dell’epistolario Peretti-Borromeo sono del 1581 (due del Peretti e due del Borromeo) e le ultime due chiudono un epistolario fatto di stima reciproca, di comuni interessi spirituali e culturali, di scambio di vedute fra due forti personalità e di una sincera amicizia vissuta a distanza fra Roma e Milano.
In quella del 24 maggio 1581 il Borromeo accusa la ricevuta dei due primi tomi già stampati e si apre ad un ringraziamento sincero, conscio delle “fatighe” che il Peretti ha profuso nel suo lavoro: “Ill.mo et R.mo Sig.r mio oss.mo. Ho ricevuto li due tomi dell’opere di Santo Ambrosio datigli da V.S. Ill.ma, di che vengo con la presente mia lettera a renderle quelle gratie che devo, et rallegrarmi dei progressi che si fanno nella stampa: et le resto con particolare obligo delle fatiche, ch’ella pone nelle opere di quel glorioso santo, padre, et protettore di questa chiesa. Prego Dio, che gliene doni larga retributione, et le bacio humilmente le mani. Di Milano alli XXIIII di Maggio 1581” (179).
Tre anni dopo questa lettera, il 3 novembre 1584, l’arcivescovo Carlo Borromeo morirà, ad appena 46 anni, sfinito per le sue fatiche pastorali. Dopo pochi mesi, il 24 aprile 1585, il suo amico, il cardinale Felice Peretti da Montalto, sarà chiamato a guidare la Chiesa intera con il nome di Sisto V.
13. La famiglia “allargata” di Sisto V
Con la sua elevazione al pontificato, i Peretti furono naturalmente innalzati ai massimi gradini della nobiltà e del censo. Lo richiedeva la tradizione della curia pontificia, che da sempre riservava un posto speciale fra la nobiltà romana alla famiglia papale e al cardinale nepote.
Piergentile di Giacomo, detto Peretto, che è presente negli atti notarili di Montalto già dal 13 ottobre 1510 con il suo nome di Pericto Iacobi Antonii Cole (Peretto di Giacomo, di Antonio, di Cola), aveva tre sorelle: Laudenzia (morta nel 1530), Cecchetta, Piacentina e un fratello, Salvatore, che si fece frate francescano nel convento di Montalto e di cui divenne guardiano. Sarà molto importante nella scelta di vita del piccolo Felice (180).
Peretto condusse la sua sposa Mariana da Frontillo di Camerino a Montalto e nacquero sette figli (forse la maggior parte nati a Grottammare), come si legge nel codice Ferraioli: “Il padre Peretto ebbe sette figli, e di questi la prima fu una femmina e il secondo un maschio; la terza fu femmina ed ancora vive; poi viene Felice, attuale papa, a cui seguirono altri tre maschi” (181). La femmina vivente è Camilla, nata nel 1519, quindi viene Felice, nato nel 1521 e infine c’è Prospero. Tutti gli altri sono prematuramente scomparsi.
Peretto morì a Montalto nel 1554 e fra Felice andò a Montalto a suffragare l’anima di suo padre e consolare sua madre Mariana. In quell’occasione Felice e sua madre acquistarono insieme un pezzo di terra e una casa in contrada Cimirano, che appartenevano al suocero di Mariana, Santone Mignucci, per la somma di 350 fiorini.
Mariana morirà nel 1559 e il figlio Felice tornò a Montalto a piangere la sua scomparsa.
Di Prospero sappiamo che nel 1555 il fratello fra Felice, che in quell’anno era a Napoli come reggente del convento di San Lorenzo e inquisitore delegato, gli lascerà tutti i beni paterni che aveva a Montalto, perché Prospero e l’unico maschio dei Peretti che può possedere, avendo fatto Felice il voto di povertà. Naturalmente aumentò anche la dote alla sorella Camilla. Prospero si sposò il 2 luglio 1559 con Geronima, figlia di Tullio Mignucci.
La primogenita Camilla (“matrona prudente” c. 498r/85), aveva sposato a Montalto nel 1542 (o forse nel 1541) Giovanni Battista Mignucci, figlio di Santone, con una dote di settanta fiorini. I Mignucci non erano però di miglior condizioni: fornai, fornaciai (cottura di calce e mattoni), fabbri, contadini. Battista, lo sposo, faceva di suo il mandriano di porci (182). Giovanni Battista morì a Montalto nel 1559 e Camilla, rimasta vedova, tra il 1559 ed il 1560 si trasferì con i suoi due figli Francesco e Maria Felice, a Roma presso suo fratello, dopo che fra Felice era stato nominato vescovo di Sant’Agata dei Goti:
Francesco nel 1573 aveva sposato Vittoria Accoramboni, una avvenente donna di soli 16 anni. Costei però divenne ben presto l’amante di Paolo Giordano Orsini, duca di Bracciano, che a sua volta era sposato con Isabella de’ Medici. L’Orsini si invaghì della bella Vittoria e pur di averla non esitò a far uccidere nel 1582 Francesco da alcuni sicari, complice proprio il fratello di Vittoria, Marcello. Francesco fu invitato ad uscire fuori di casa, nel giardino degli Sforza a Magnanapoli, alle pendici del Quirinale, e prima fu ferito da alcune archibugiate e poi finito a pugnalate. Anche se l’immediata indagine non riuscì a trovare il colpevole, tutta Roma conosceva il mandante, anche perché tre giorni dopo il delitto Vittoria andò ad abitare in casa Orsini e i due si sposarono. Il cardinale Peretti reagì bene a questa tragedia, senza pretendere vendette, senza eccessivi rancori e con molto autocontrollo. Quando nel 1585 divenne papa lo zio dell’assassinato, i due lasciarono Roma e fuggirono a Padova, ma poco dopo anche Paolo Giordano morì e questo segnò la morte anche per Vittoria, perché il cognato Ludovico Orsini, convinto che fosse stata lei ad aver assassinato il marito, inviò nella sua casa 40 sicari che compirono una strage. (183). Il suo corpo fu trasportato il 27 gennaio 1588 “nella cappella di famiglia” di S. Maria Maggiore, cioè nella cappella del Presepio.
Maria Felice, nata nel 1552 e morta a 36 anni nel 1588, come si legge in un avviso del 16 aprile di quell’anno: “Lunedì nella Basilica di Santa Maria maggiore furono fatte l’essequie per la Madre del [cardinal] Montalto con l’assistenza di tutte le creature Cardinali di Nostro Signore, et di Albano, Rusticucci et Alessandrino. La Oratione fu fatta da messer Baldo, famigliare di esso Cardinale Moltalto” (c. 162r/88). Maria Felice nel 1570, a 18 anni, aveva sposato un gentiluomo romano, di nome Fabio Damasceni. Costui non appare mai negli Avvisi dei primi anni del pontificato sistino e solo raramente anche dopo e non sappiamo il motivo di tale antipatia. Ma papa Sisto, per l’amore che portava ai suoi pronipoti, cominciò a considerare un po’ di più il Damasceni: “Il signor Fabio Damasceno, Padre del Cardinal Montalto, dicono essere ritornato in gratia del Papa, et che habbia havuto stanze in Palazzo, da che si fa giuditio che Sua Santità ben presto gli darà qualche honorato titolo” (c. 421r/88). Un ritratto del Damasceni era presente nella collezione dei Colonna (184).
Da Maria Felice e Fabio Damasceni nacquero quattro figli, due maschi e due femmine, chiamati “Bisnipoti di Nostro Signore” c. 390r/88) e il cardinale Felice aveva adottato questi quattro figli di sua nipote Maria Felice, dando loro il suo cognome Peretti e facendoli educare in casa di Lucrezia Salviati, moglie di Latino Orsini:
1. Alessandro, il primogenito, nato a Montalto nel 1571. Intrapresa la carriera ecclesiastica, favorito dal prozio, Alessandro entrò prestissimo a far parte del clero romano. Sisto V, dopo soli 19 giorni dalla sua elezione, il 13 maggio 1585, creò cardinale diacono questo suo pronipote di soli 14 anni (185). Dopo quasi un anno di cardinalato, Alessandro fu di fatto nominato capo di tutta la curia vaticana, cioè quell’incarico che oggi si chiama Segretario di Stato: “Il Papa ha dato al Cardinal Montalto il Presidentato di tutti gli affari di questo Stato” (c. 236v/86) (186). Abbiamo le istruzioni che il papa nel 1587 fornì al suo giovane pronipote cardinale, per guidarlo nel difficile mondo del collegio cardinalizio, della curia romana, delle varie corti europee e degli affari ecclesiastici, politici e personali. Il lunghissimo testo è riportato nel secondo volume della storia di Sisto V dell’Hübner (187). Diventato “cardinale nipote”, Alessandro si trovò all’improvviso catapultato sulla scena del mondo e ad un posto di onore e responsabilità, persona la più vicina al papa e quindi influente sulle sue decisioni. Tutti gli storici sono concordi nel dire che il giovane Alessandro si comportò sempre bene, con dignità ed equilibrio, doti che lo accompagnarono anche per il resto della sua vita cardinalizia. Scrive il Cardella, nella sua opera sui cardinali: “Fu da suo zio provveduto di ricchi beneficj e pingue abbazie, ma egli anziché abusarsi delle ampie rendite a lui conferite dalla liberalità del Pontefice, seppe farne quell’uso che viene prescritto dai Sacri Canoni e dalle leggi ecclesiastiche, e diede chiaro conoscere che quantunque non fosse nato né educato
splendidamente e si fosse trovato in bassa fortuna, aveva un animo grande e signorile e un cuore largo e generoso, dappoiché non accostossi giammai alcuno a domandarli limosina, che non ottenesse ciò che desiderava... La sua benignità, mansuetudine, liberalità e grandezza di animo, che non lasciavasi affascinare dalle adulazioni, e fedeltà costante nel mantenere la parola, lo renderono la delizia di ogni ordine di persone, quantunque per l’altra parte avesse più tosto del rozzo che dell’amabile nell’aspetto e fosse grave nel portamento e parco nelle parole.... Fu assai stimato dai Sommi Pontefici, come ancora dai Principi Italiani, e in particolare da Ferdinando Granduca di Toscana” (188).
2. Orsina, nata nel 1573 circa. Il 20 marzo 1589 andò sposa, sedicenne, al quattordicenne Marcantonio Colonna III, (Roma, 1575- 1595) duca di Paliano e Tagliacozzo, gran conestabile del regno di Napoli, nipote dell’omonimo vincitore a Lepanto e del card. Ascanio Colonna e pronipote di san Carlo Borromeo, essendo sua madre Anna Borromeo. Il matrimonio fu celebrato il 19 novembre 1589, nello stesso giorno della sorella Flavia, come si legge in un Avviso del 18 novembre di quell’anno (“Dimane la signora Orsina, nepote Nostro Signo]re di età di 15 anni, et il Contestabile Colonna di 14 devono consumare insieme il matrimonio”, 707v/89) ed ebbero un solo figlio: Marcantonio IV il Contestabilino Colonna di Paliano, Principe di Paliano 1595-1611, che morì a 16 anni. Alla morte di Marcantonio, Orsina passò a seconde nozze con Muzio Sforza, secondo marchese di Caravaggio (Milano 1576-1622), cugino di Marcantonio, consigliere del re di Spagna Filippo II Dal loro matrimonio nacquero sei figli (189).
3. Flavia: nata nel 1574. Il prozio papa Sisto Sisto V concordò le nozze tra Flavia e Virginio Orsini, figlio del duca di Bracciano Paolo Giordano (l’uccisore di Francesco, padre di Flavia) e di Isabella de’ Medici, sorella del granduca di Toscana Ferdinando I. Erano anch’essi giovanissimi: lei aveva appena 13 e lui 17. Si sposarono il 19 novembre 1589. Flavia abitò da squisita nobildonna quasi sempre a Firenze, a palazzo Pitti, coltivando vari interessi culturali (il Tasso le dedicò alcune rime), ma si occupò anche della amministrazione del ducato di Bracciano. Ebbe dodici figli (tra cui Paolo Giordano II, terzo duca di Bracciano, e Alessandro, nato nel 1592 e fatto cardinale nel 1615. HC IV, 13), tutti insigni personaggi e alcuni religiosi e religiose. Morì a 32 anni il 14 settembre 1606, durante il suo dodicesimo parto (190).
4. Michele, nato nel 1577. Sposò la nobildonna milanese Margherita Cavazzi della Somaglia ed ebbe tre figli: Camilla (che si fece monaca), Francesco (nato nel 1595 e ultimo discendente maschio della famiglia di papa Sisto V, con il quale la casa si estinse, perché quando Francesco stava per sposarsi con la principessa Cesi, il padre Michele, rimasto da poco vedovo, gli soffiò la futura sposa. Scelse la vita ecclesiastica diventando prete. Il 16 dicembre 1641 papa Urbano VIII lo creò cardinale. Il 30 maggio 1650 fu eletto arcivescovo di Monreale, con rarissime presenze in diocesi, e morì a 60 anni nel 1655 e fu sepolto nella cappella di Sisto V) e Maria Felice, che andò in sposa a Bernardino Savelli. Michele riuscì a comprare nel 1588 dal duca di Mantova il titolo di marchese di Ancisa per 300 mila scudi. Sisto V nel 1589 lo fece governatore di Fermo. Sua madre Camilla lascerà per testamento tutto il suo patrimonio a Michele, come si legge in un avviso romano del 26 agosto 1589: “Dio gratia il male di flusso et febre che li giorni a dietro ha travagliato la sorella di Nostro Signore è svanito, stando hora bene, et con questa occasione fece testamento, lasciando heredi il Marchese di Ancisa, et poi gli altri parenti più prossimi di mano in mano di casa Peretti” (c. 554r/89).
La famiglia Peretti abitò a Roma inizialmente in via dei Leutari. Questa via oggi è scomparsa con l’apertura di Corso Vittorio Emanuele, ma a quel tempo iniziava davanti alla chiesa di San Lorenzo in Damaso fino alla piazza dei Parioni (attuale piazza di Pasquino). L’edificio situato ai civici 21-23 di questa via è conosciuto come Casa Peretti Ricci ed è costituito da due case cinquecentesche limitrofe: la casa di destra era proprietà di Pietro Matuzzi e fu acquistata dal cardinale Peretti Montalto che la unì a quella di sinistra. Ancor prima di divenire papa il cardinale regalò la casa alla sorella Camilla che vi abitò con suo figlio Francesco, e la moglie di costui, Vittoria Accoramboni, appartenente ad una nobile famiglia di origine umbra ma presente a Roma sin dalla metà del Quattrocento (191).
Dopo la morte di Francesco Peretti, una parte della casa passò al nipote di Camilla, Michele; ai primi del Seicento tutto fu venduto ad Orazio Ricci di Voghera. Il portale al civico 23 presenta ancora uno stemma con un leone entro una corona composta di piccole pere, una variante dello stemma Peretti.
Durante il pontificato del fratello, Camilla abitò nel palazzo Colonna presso la basilica dei Santi Apostoli, considerato a Roma come il palazzo riservato da sempre ai “nipoti del papa”.
Alla morte del papa lei e suo nipote, il cardinale Alessandro Montalto, andarono ad abitare il palazzo della Cancelleria, sede del vicecancelliere pontificio. In questo palazzo il card. Alessandro abiterà fino alla sua morte, avvenuta il 2 giugno 1623.
Nel 1586 vi fu la compra da parte di Camilla del palazzo del cardinale Commendone. Oggi questo palazzo è chiamato palazzo dei Convertendi (o anche Palazzo della Congregazione per le Chiese orientali). Un tempo questo edificio rinascimentale si trovava su Piazza Scossacavalli, ma fu demolito e ricostruito lungo via della Conciliazione, quando questo grande viale che conduce alla Basilica di San Pietro fu creato, distruggendo la piazza insieme con la parte centrale del rione Borgo. In precedenza questo palazzo era stato acquistato per 3.000 ducati il 7 ottobre 1517 e abitato dal pittore Raffaello Sanzio. Qui egli visse gli ultimi 3 anni della sua vita, dipingendo fra l’altro in quelle stanze la Trasfigurazione, e morendo lì il 6 aprile 1520. Intorno al 1620 il palazzo fu acquistato da esponenti della nobile famiglia genovese Spinola.
Papa Sisto fu sempre tenero verso i suoi parenti: “L’altra sera la Signora Donna Valeria Nipote del Papa, fu a Palazzo a baciare i piedi a Sua Santità, che la vidde tenerissimamente et di gratissima voglia, facendola sedere sopra una banchetta con sotto un coscino, et l’altre donne, interrogandole Nostro Signore famigliarissimamente sopra molte cose” (c. 490r/85). È altrettanto tenera la notizia (piuttosto rara negli Avvisi, quasi per rispetto di una certa privacy) di un momento di intimità del papa con i suoi cari in un giorno dopo Natale del 1586: “Diede il Papa domenica sera da cena alla sorella, al Cardinal Montalto, a Don Michele, et alle Nipoti, stando con loro in molta dolcezza et ricreatione” (c. 606r/86).
A onor del vero la famiglia Peretti non si mise in mostra quanto potrebbe, dato che era la famiglia del papa: visse invece abbastanza appartata. Persino le cene fatte con cardinali e parenti furono volutamente parche e senza attirare l’attenzione; e questo per espresso ordine del papa stesso: “Cenaro insieme con la sorella di Nostro Signore i Cardinali Ascanio, Montalto, Monti, et altri parenti con quella stessa parsimonia et silentio, che havrebbe fatta qual si voglia gentilhuomo privato, et gentildonna, di ordine de superiori, che sono alieni dalle spese superflue et mondane” (c. 690v/89). Sono rari anche i momenti in cui i familiari pranzano con il papa a palazzo, come nel novembre 1589: “Domenica matina Nostro Signore, un’hora dopo pranzo, diede da desinare nella sua guardarobba alla sorella, spose, sposi et parenti” (c. 704r/89)
Fu generoso papa Sisto con la sua famiglia? Certamente, ma è interessante leggere in un Avviso del luglio 1587 che gli aiuti finanziari da parte del papa erano frutto del suo personale risparmio e che non venivano attinti dall’erario pontificio: “Dicesi che’l Papa habbia donato alla sorella li 100 mila scudi, che Sua Beatitudine haveva radunati in mano del Castellano d’infinite sue industrie, et d’incommodi patiti per fargli questo peculio con buona conscienza da comprare il Casale di Orciano senza levare un quatrino di quelli accumulati da lei per beneficio della Christianità” (c. 310r/87). E, ancora più sconcertante, in un Avviso del 4 ottobre 1586 si dice chiaramente che il papa volle che le entrate della sua famiglia fossero evidenti e chiare davanti a tutti e che ciò che avevano in più doveva essere messo a disposizione della Camera apostolica: “Dicesi che’l Papa fa vedere con diligenza quante entrate bisognano alla sorella di Sua Beatitudine, al Cardinal Montalto et a Don Michele, rispetto alle gravezze che hanno di presente, perché vuole Sua Santità che quello che hanno di più si metta in Castello a beneficio della Camera Apostolica” (c. 496v/86).
Ciò è confermato anche dall’opinione dell’ambasciatore veneto, come si legge in un Avviso del novembre 1585: “Essendosi saputo in Venetia il desiderio che Sua Santità haveva di comperare una casa in quella Città, di comun consenso quei Clarissimi gli havevano donato un bellissimo Palazzo, con aggiunger l’Ambasciatore che questo dono l’offerivano tanto più voluntieri, quanto più erano certi essere voluntà di Sua Beatitudine il non impiegare i Tesori della Chiesa in privata comodità de’ suoi Nipoti” (c. 518r/85). E infatti quel palazzo veneziano sarà adibito dal papa a dimora dei nunzi presso la Serenissima (c. 535r/85).
Oltre alla famiglia naturale, il papa fu molto affettuoso verso la sua “famiglia” formata dai suoi servitori e soprattutto dai suoi segretari come Decio Azzolino e Castrucci, persone a lui fedelissime e di grande lavoro. Li farà cardinali dopo aver dato loro delle buone entrate un Avviso dice che: “Dalle grosse entrate, che hanno havuto horamai tutti i servitori di Nostro Signore, si vede quanto verso la loro servitù sia grata Sua Santità” (c. 3r/86).
14. Il marchigiano
Il nuovo papa si sente fiero della sua terra di origine, tifa sfacciatamente per la sua regione e la visita di continuo, anche quando i vari incarichi lo tengono lontano da essa
Dopo i luoghi marchigiani dei suoi primi studi, ormai sacerdote e maestro di teologia, fra Peretti lo troviamo predicatore su e giù per le Marche: a Macerata Feltria (1546), Fermo e Treia (1548), ad Ascoli Piceno (1549), a Fano (1550), a Camerino, Belforte, Cagli e Urbino (1551), ma è frequente anche la sua presenza nei vari conventi delle Marche: Fermo, Montalto, Fabriano, Macerata, Senigallia.
Nel 1567, quando è già vescovo di Sant’Agata de’ Goti e soprattutto riveste la carica di visitatore apostolico del suo Ordine francescano, visita ad aprile i conventi delle Marche: Fano, Senigallia, Ancona, Castelfidardo, Montelupone, Macerata, Montolmo (Corridonia), Montottone, Montalto; e a maggio continua le visite a Sant’Elpidio a mare per il capitolo provinciale (3-5maggio), a Grottammare, Ripatransone, Fermo, Acquaviva, Montegranaro, Civitanova, Montesanto (Potenza Picena), Recanati, Iesi, Urbino e Mondaino.
È chiaro che più di ogni altro luogo marchigiano il Peretti è presente nella sua Montalto e si fa fatica ad elencare le numerosissime sue visite, legate quasi sempre ad eventi familiari, a compravendite di case, a diversi atti notarili. Nel 1554 forse trascorse l’intero inverno nel suo paese. E quando nel 1559 attraverserà a Venezia il momento probabilmente peggiore della sua vita, non accolto da quella Repubblica e neppure dai suoi confratelli frati per per il difficile ufficio di inquisitore, espletato da lui con la sua solita fermezza ed onestà, sarà a Montalto che si rifugerà nel mese di settembre. Tante sono anche le sue lettere ai Priori del paese per risolvere vertenze municipali, per appianare liti fra famiglie locali e sempre pronto a dare consigli. Dopo essere stato consacrato vescovo il 12 gennaio 1567, volle visitare le Marche e lasciò alla fine la sua visita a Montalto, dove si fermò il 27 e 28 aprile 1567. Non aveva più a Montalto i suoi parenti più cari: suo padre Peretto e sua madre Mariana erano morti ed erano deceduti anche suo fratello Prospero e suo zio fra Salvatore. Sua sorella Camilla, rimasta vedova del marito Giovanni Battista Mignucci, si era accasata a Roma con il fratello vescovo. Ma c’era l’intera comunità ad accogliere questo suo figlio che aveva voluto imprimere nel suo stemma episcopale i tre monti e la stella caudata che da tempo erano nello stemma comunale. Furono approntati archi trionfali, abbelliti da medaglioni disegnati da mastro Giacomo Agnelli di Patrignone e fu offerto un lauto pranzo con pane bianco di Porchia, capretti da Ascoli, uova e formaggio da Castignano, pesce fresco ed arance da Grottammare, vino da Patrignone, zuccheri e spezie da Offida (192). La seconda venuta “ufficiale” a Montalto fu nell’ottobre 1574 e di nuovo il libro delle uscite della Comunità si dilunga nel riportare le spese minute per onorare il “cardinal Montalto” (193).
Ormai cardinale e vescovo di Fermo, sarà assai assente da quella diocesi, per impegni nella curia romana, ma ogni volta che tornerà da Roma nella diocesi assegnatagli non mancherà mai di affacciarsi nella vicina Montalto. E si preoccuperà di fornire la sua città di una scuola (come anche fece per la nativa Grottammare) e di un medico. L’ultima volta che si occuperà da cardinale della sua Montalto sarà per concedere al suo paese il diritto di un mercato: era il 3 dicembre 1578. Sette anni e poi, da papa, avrebbe innalzato Montalto fino alle stelle.
Da papa continua il suo tifo per la sua regione, fino a riempire il palazzo apostolico e Roma di marchigiani.
Si legge in un Avviso del 27 luglio 1585 (tre mesi dopo la sua elezione al papato) che fa addirittura venire “dal suo paese” e dalla “patria carissima” diverse persone per dar loro incarichi di prestigio dentro il palazzo apostolico: “Ha fatto venire del suo paese 24 huomini, a quali vuole si distribuiscano tutti gli offitij, et carichi palatini” (c. 371v/85).
E molti sono i marchigiani (o “marchiani”, come spesso vengono chiamati) di cui si affianca e che pone a servizio della Santa Sede. Per primi risaltano i sette cardinali marchigiani creati nel corso del suo breve pontificato: il suo pronipote Alessandro Damasceni Peretti, il suo segretario particolare, il fermano Decio Azzolini, il governatore di Roma il camerinese Mariano Pierbenedetti; Giovanni Evangelista Pallotta di Caldarola, Costanzo Torri di Sarnano, Antonio Maria Gallo di Osimo, Gregorio Petrocchini di Montelparo). Diversi saranno i vescovi, tra cui Giovanni Evangelista Pellei di Force, vescovo di Sant’Agata de’ Goti; Lelio Morelli di Montalto vescovo di Capaccio; l’arcivescovo Costa maceratese inviato nunzio a Venezia (c. 288r/85); l’arcivescovo Girolamo Matteucci, di Fermo, anch’egli inviato nunzio a Venezia (c. 545v/87); il montaltese Fabio Biondi patriarca di Gerusalemme. Molti anche i marchigiani negli incarichi di corte e di governo: Giovanni Battista Ricci, di Loreto, commissario generale delle strade; il cameriere personale Rosato Rosati nativo di Montalto; Ludovico Tondini (o Todino) di Ancona responsabile di Castel S. Angelo; il responsabile della posta del Papa, mastro Antonio Scaramuccia, semplicemente chiamato “marcheggiano”; i due nunzi originari di Macerata; Medoro Patriarca, di Grottammare, archiatra pontificio, sostituito alla sua morte da Andrea Bacci, di S. Elpidio a Mare; Antonio Porti, di Fermo, protomedico del papa; i due luogotenenti del cardinale Pierbenedetti, Sorbellone di Fossombrone e Scipione Forestieri di Fermo; Antonio Migliori da Fermo, “cappellano favorito”; Biagio Coligni da Fossombrone, coppiere ufficiale; Annibale da Osimo maestro di Camera; Gaspare dall’Armi, Annibale Bellocchio e Domenico Evangelisti, tutti di Urbino, camerieri partecipanti; Bonifacio Canobio da Montalto, maestro di camera; Ottavio Caferro di S. Vittoria, bargello di Roma; Giacomo da Montalto “amato da Sua Santità a teneris annis”; il prete Galvello, di Pesaro, cappellano personale del papa; fra Giuliano da Mogliano Generale dei frati minori conventuali; il colonnello Orlando d’Ascoli inviato ad Avignone con un piccolo esercito; Luigi Innocenti “marchiano”, responsabile della Zecca di Roma e delle altre Zecche dello Stato; Orazio di Macerata giudice criminale dell’Auditore della Camera; Cino Campano, di Osimo, avvocato concistoriale; Angelo Rocca di Arcevia (futuro cardinale) capo della tipografia vaticana; il fermano Nicolò, capitano della compagnia dei cavalleggeri del papa.
A quelli che si chiedevano perché mai papa Sisto si affidasse a così tante persone provenienti dalla sua regione, risponde serenamente un Avviso dell’ultimo di novembre 1585: perché il papa era “gratissimo verso ciascuno che l’ha servito in minoribus”, cioè quando ancora era frate, quando non era ancora conosciuto, quando anzi veniva scansato ed evitato (c. 548r/85).
Frutto dell’interesse di papa Sisto verso le Marche è anche la creazione nel 1586, nel giro di soli otto mesi, di ben quattro nuove diocesi: Loreto il 17 marzo; Montalto, sua patria, il 24 novembre; San Severino Marche il 26 novembre; Tolentino il 10 dicembre.
Oltre a Montalto, suo grande e speciale amore, le visite del Peretti sono abbastanza frequenti anche a Camerino, Loreto e a Fermo.
Camerino ricordava al papa sua madre Mariana, e Camerino ha sempre avuto un forte legame con papa Sisto, e lo ha dimostrato con l’erezione nel 1587 della statua bronzea che oggi si trova davanti alla cattedrale in piazza Cavour.
Un particolare legava papa Sisto a Loreto, e volle inserire questo santuario dell’“alma domus” nei suoi interessi costruttivi. Già dal mese di novembre del 1585, anno primo del suo pontificato, manifesta l’intenzione di “elevare” Loreto a città e diocesi, a scapito della vicina diocesi di Recanati: “Lunedì nel concistoro secreto Nostro Signore propose di voler fare Vescovato Loreto, et perché non manchino le qualità necessarie della diocesi, et dell’entrate, diede pensiero alli Cardinali Farnese, San Giorgio, Alessandrino,
Lancillotto, Medici, et a Guastavillano, i quali co’l giuditio loro vedranno di trovar modo, che senza querela s’esseguisca la detta voluntà” (c. 507/85). Loreto fu innalzata a città e diocesi con la bolla “Pro excellenti praeminentia” del 17 marzo 1586, il cui territorio comprendeva Recanati, Castelfidardo Montecassiano e Montelupone. Da quel giorno corsero per Roma tanti nomi di vari candidati a primo vescovo di Loreto, prima della nomina di Francesco Cantucci il 23 marzo 1586, ma che morì dopo appena otto mesi il 26 novembre. Il 16 dicembre gli succedette il romano Rutilio Benzoni (194). E il nome di Sisto V è scolpito bene in vista sulla sommità della elegante facciata del santuario ricoperta della pietra bianca d'Istria, per ricordare ai posteri il grande benefattore e il 1587 come anno del completamento della facciata: “sixto v po. m. an. pont. iii mdlxxxvii”. E davanti alla Basilica si erge la più bella delle statue bronzee che abbiamo di Sisto, che appare benedicente dalla sedia gestatoria, opera del 1587-1589 di Antonio Calcagni e Tiburzio Vergelli, realizzata a spese della provincia della Marca e degli otto cardinali piceni creati cardinali da Sisto V.
Altra città marchigiana particolarmente beneficata dal papa è Fermo, dove da giovane, nel 1548, si era addottorato in teologia; dove poi era stato come vescovo dal 1571 al 1577, che da papa nel 1589 innalzerà alla dignità di arcivescovato e metropolia e dove, con la con la bolla “Renovatio Studii generalis in civitate Firmi Status Ecclesiastici”, confermò e rafforzò lo “Studio”, cioè l’università. E papa Sisto non lasciò nessuna occasione per favorire Fermo e per dimostrare il suo amore a quella città, a cominciare dalla elevazione al cardinalato del fermano Decio Azzolini, suo segretario: “Li 4 Ambasciatori de Fermo venuti a ringratiar il Papa per la promotione dell’Azzolino loro compatriotto sono stati ricevuti et ascoltati familiarmente da Sua Santità, che ha loro promesso di nobilitare quella Città d’altri Cardinali, prelati et personaggi in buon numero” (c. 23v/86). E anche Fermo ha voluto innalzare la sua statua bronzea a papa Sisto, sulla facciata del palazzo pubblico in piazza del popolo, opera dello scultore Accursio Baldi, la cui lapide recita: “sixto quinto pont. op. max. patria / firmano ob episcopalem / in metropolitanam erectam / et gimnasium universale / restitutum s.p.q.f pos.”, cioè: il Senato e il popolo di Fermo ha eretto [questa statua] a Sisto V, fermano di patria, per aver eretto la sede vescovile a metropolitana e restituito per tutti il Ginnasio”. Forse “fermano di patria” è un po’ eccessivo, solo per essere lui nato a Grottammare, che gravitava genericamente nell’ambito di Fermo, e inoltre per un evento fortuito.
A completamento del particolare affetto di papa Sisto per le Marche sono interessantissime due notizie riportate dagli Avvisi romani:
- Già nel 1587 si cominciò a parlare del desiderio di papa Sisto di tornare nella sua terra d’origine. Voleva controllare di persona i grandi lavori della “nuova Montalto” che da qualche mese aveva intrapreso nella sua patria, interessandone il suo architetto di fiducia, Domenico Fontana. Si legge infatti nell’avviso dell’11 luglio 1587: “Continuando il Papa nel suo desiderio di ampliar Mont’alto sua Patria si fece domenica portar il dissegno, et pianta del luoco facendolo considerare d’alcuni Architetti con pensiero d’andarvi in persona, et passar anco a Loreto escludendosi in tutto l’andata sua a Padova” (c. 300r/87).
Anche nel 1588 si ritornò a parlare a Roma di un viaggio che Sisto voleva fare a Montalto, Loreto e Ancona. Si legge al 15 giugno: “Si sparla che Nostro Signore a settembre prossimo voglia fare il viaggio di Loreto, Montalto et Ancona, stando Sua Beatitudine con buona sanità (Dio lodato) et da fare maggior camino, che questo” (c. 271r/88.). Nessuno dei due viaggi in realtà saranno mai effettuati e rimarranno come pura curiosità storica, a ricordo però di un profondo desiderio di un papa, inguaribile nostalgico della sua terra d’origine.
- Altra notizia che fece scalpore fu in tentativo di papa Sisto di acquistare a qualsiasi prezzo dal sultano di Costantinopoli e Gran Signore dell’impero turco le pietre del santo sepolcro per portarle probabilmente a Montalto. Infatti negli Avvisi romani si legge al 18 febbraio 1587 “Si va dicendo, che’l Pontefice ha un pensiero gloriosissimo di volere cioè redimere di mano del Turco il Santo Sepolcro, et servirsi in questo traffico delli più omnipotenti mezzi, senza riguardo di qual si voglia somma di denari, che la Porta di Costantinopoli adimandi, et di qual si voglia eccessiva spesa, che ci vada per havere quel felicissimo sacro, che fu arca del nostro Redentore” (c. 59r/87). E l’idea fece il giro dell’Europa: “Sono passati questi giorni alla volta di Roma tre corrieri di Francia con gran diligenza, uno de quali ha riferto in Romagna, che portava nuova che’l Gran Signore haveva fatto presente al Re Christianissimo del Santissimo Sepolcro per donarlo al Papa” (c. 140r/87). Si parlava che il papa volesse portare il santo sepolcro a Montalto e costruire una grande strada che collegasse Montalto con Loreto, per dal modo ai pellegrini europei di visitare facilmente sia il santuario della santa casa di Loreto dedicato alla incarnazione di Cristo che il santo sepolcro, luogo della risurrezione. Per fortuna il progetto non si realizzò, perché i stessi suoi confratelli francescani (quelli veneti in particolare) lo invitarono a desistere dal progetto. Il santo sepolcro sta bene dove sta.
Per tornare alla presenza a Roma e negli organi curiali e statali di molti marchigiani al tempo di papa Sisto, la cosa fece più volte arricciare il naso ai signori della corte papale, fino a spargere infamanti calunnie nei loro confronti.
Anche per gli stessi romani i marchigiani divennero impopolari, semplicemente perché molti di essi erano stati messi in posto di comando, per cui, ligi al loro dovere, erano diventati inevitabilmente la longa manus di un papa per nulla accomodante con chi sbagliava, esigente nei tributi, severo nella applicazione della legge e, per questo, piuttosto impopolare. Eloquente è una frase che trovo in un Avviso del 16 ottobre 1585: “Non essendo questi tempi da scherzare con Frati, con Bigi, et con Marchiani” (c. 479r/85), che rispecchia in pieno il più grossolano detto romanesco: “Meglio un morto in casa che un marchigiano fuori della porta”, perché spesso un marchigiano fidato era fuori della porta di casa per chiedere il dovuto di una tassa papale!
Mi sembra invece più onesto e veritiero il giudizio che dei marchigiani “romani” dà l’anonimo scrittore dell’Avviso del 3 ottobre 1587: “Nostro Signore è riconoscitore di tutti quelli che l’hanno servito” (c. 429v/87).
Quadro riassuntivo dei luoghi e degli eventi fondamentali della vita di fra Felice Peretti da Montalto
Per la Legenda vedi la precedente geolocalizzazione
- 1521 Grottammare, 13 dicembre. Nascita (T. p. 14)
- 1521 Grottammare, 26 dicembre. Battesimo (T. p.15)
- 1528 Grottammare. A scuola nel convento degli Agostiniani (IG. p. 12 T. p. 15)
- 1531 Montalto, convento di San Francesco. Viene ammesso come oblato (GP. p. 27, IG. p. 12).
- 1532-34 Montalto. Ha come maestro Vincenzo Ferneto da Montedinove (GP. p. 31, IG. p. 12, FP. p. 32, T. p. 19)
- 1535 Montalto. Ha come maestro Napulio Filarete da Santa Vittoria in Matenano (GP. p. 31, IG. p. 12, FP. p. 32, T. p. 19)
- 1535 Montalto. Noviziato (GP. p. 9, IG. p. 13). Il Pistolesi a p. 32 parla del 1531. Idem il Tempesti a pag. 18
- 1536 Montalto. Professa i tre voti della regola francescana (GP. pp. 9, 32, IG. p. 13). Il Pistolesi (p. 32) parla dell’anno 1532, idem il Tempesti a p. 18. Sono concordi con il 1532 anche l’Anonimo Vaticano, Pietro Galesino e l’Anonimo Barberino. Il Pastor parla della fine del 1534.
- 1536 Fermo. Presso il convento francescano (GP. p. 35, IG. p. 13)
- 1538 Pesaro, dopo il mese di maggio. Studio della filosofia (T. p.19, GP. p. 36, IG. p. 13, FP. p. 38)
- 1539 Iesi, dopo il mese di maggio (T. p. 19, GP. p. 36, IG. p. 13, FP. p. 38)
- 1539 Riceve il suddiaconato (IG. p. 14).
- 1540 Riceve il diaconato (GP. p. 37. Il Gatti parla del 1541. IG. p. 14)
- 1540 Monte Pagano (presso Roseto degli Abruzzi, prov. di Teramo). Predica la quaresima (T. p. 25, vP. p.25, GP. p. 9, GC. p. 300, IG. p. 14, FP. p. 38, MF. p. 13).
- 1540 Arcevia (Roccacontrada). Termina il tirocinio (T. p. 19, GP. p. 36, IG. p. 13).
- 1540 Ferrara. Studia teologia (T. p. 21 vP. p. 24, GP. p. 37, CG. p. 299, IG. p. 13, (FP. p. 38)
- 1541 Voghiera (FE). Predica la quaresima (T. 25, GP. p. 9, GC. p. 300)
- 1542 Grignano Polesine (Rovigo). Predica la quaresima (T. p. 25, GP. p. 9, GC. p. 300)
- 1543 Fratta di Lendinara (o Fratta Polesine). Predica la quaresima (T. p. 25, GC. p. 300)
- 1543 Bologna, dal 25 luglio ‘43 al settembre ‘44. Allo Studio di Bologna (T. p. 21, vP. p. 24, GP. 9 e 41, CG. p. 299, IG. p.14)
- 1544 Canda di Badia Polesine. Predica (T. p. 25, GC. p. 300)
- 1544 Rimini, settembre-ottobre e fino al 1546. Baccelliere in teologia e aiuto reggente (T. p. 22, vP. p. 24, GP. p. 9, CG. p. 299, IG. p. 14)
- 1545 Rimini. Predica nel convento (T. p. 25, vP. p. 25, GC. p. 300)
- 1545 Montescudolo (Forlì). Predica la quaresima (GP. p. 9 e 41, GC. p. 300)
- 1546 Macerata Feltria (Pesaro). Predica la quaresima (T. p. 25, vP. p. 25, GP. pp. 9, 41, GC. p. 300)
- 1546 Siena, maggio 1946 fino al 1549 come Baccelliere, inviatovi dal capitolo generale dell’Ordine celebrato a Venezia) vP. p. 24, GP. p.9 e 41, IG. p. 475. Il T (a p. 22) parla del 1547, il Gatti del 1548 (p. 14).
- 1547 San Gimignano. Predica la quaresima (T. p. 25, vP. p. 25, GP. pp. 9, 42, GC. p. 300)
- 1547 Siena. Diventa sacerdote e celebra la prima messa nel convento francescano (GP. pp. 9, 42, IG. p. 14)
- 1547 Fermo, giugno (T. p. 25, vP. p. 25, GC. p. 300)
- 1547 Montalto, estate (GP. p.42)
- 1548 San Miniato (PI). Predica la quaresima (vP. p. 25, GP. p 9,42, GC. p. 301)
- 1548 Fermo, prima di luglio. Una “commissione” dal ministro della Marca (T. p. 26 nota 16, GP. p. 43, GC. p. 302)
- 1548 Fermo, 26 luglio. Laurea in teologia per concessione pontificia tramite il ministro generale dell’Ordine (GP. p. 43, T. p. 22, vP. p. 24, CG. p. 299, IG. p. 15 e 470)
- 1548 Montecchio (oggi Treia). Predica (GP. p.43)
- 1549 Ascoli. Predica la quaresima nella Chiesa di San Francesco e visita i conventi della custodia ascolana (GP. 44, GC. p. 301, IG. p. 469)
- 1549 Fabriano. Commissione affidatagli dal padre provinciale (GP. p. 44, GC. p. 302)
- 1549 Assisi, 9 giugno. Capitolo generale (T. p.22, vP. p. 24, GP. p. 44, IG. pp. 169, 170)
- 1549-52 Siena. Reggente del locale Studio (GP. pp. 9,10, 44, T. p. 22, vP. p. 25, IG. pp. 15, 475)
- 1550 Senigallia. Per incarichi affidatigli dal padre provinciale (GP. 47, GC. p. 302)
- 1550 Fano. Predica la quaresima. (T. p. 25, vP. p. 25, GP. pp.10, 48, GC. p. 301, IG. p.173)
- 1550 Macerata. Il consiglio cittadino lo nomina docente di filosofia dell’Università locale, nomina ritirata il 9 ottobre per l’intervento del Giardini (IG. p. 172).
- 1551 Camerino. Predica la quaresima (MS. pp. 8, 9, T. p. 23, vP. p. 25, GP. p. 10, GC. p. 301, FP. p. 39-40)
- 1551 Belforte. Predica. (GP. p. 47)
- 1551 Ascoli, inizi aprile (FP. p. 39)
- 1551 Cagli e Urbino. Predicatore e visitatore nei conventi del Montefeltro (GP. pp .10, 48, GC. p. 302, IG. p. 15)
- 1551 Montalto, 14 giugno. Affari di famiglia (GP. pp. 10, 48, PAG. p. 84)
- 1552 Roma. Predica la quaresima ai Santi XII Apostoli (vP. p. 25, GP. p. 10, MF. pp. 14, 15, IdF. p. 30)
- 1552 Roma. Commenta per tutto l’anno la lettera di San Paolo ai Romani. (T. p. 22, vP. p. 26. GP. p. 50, GC. p. 301, IdF. p. 30)
- 1552 Fermo. Interviene su richiesta del vicario Magnani in problemi riguardanti il convento di Fermo. (GP. p 51, GC. p. 302)
- 1553 Genova. Predica la quaresima (GP. p. 54, GC. p. 301)
- 1553 Genova, maggio. Capitolo generale in cui viene nominato reggente del convento di San Lorenzo a Napoli (per un triennio) e inquisitore delegato (T. p. 26, vP. p. 26, GP. pp. 10, 53, GC. pp. 299, 301, IG. p. 15, IdF. p. 31)
- 1553 Roma, giugno
- 1553 Napoli. Predica nella festa dell’Immacolata Concezione (GP. p. 55)
- 1554 Napoli. Predica la quaresima in San Lorenzo (T. pp. 22 e 26, GC. p. 301) e per l’intero anno commenta il Vangelo di Giovanni (GP. p. 55, GC. p. 301, MF. p.14)
- 1544 Napoli. Vengono stampate due prediche (MF. p.16, T. p.23)
- 1554 Montalto, 11 ottobre. Acquisto di un campo in contrada Cimirano insieme alla madre e forse vi trascorre l’inverno (GP. p. 10, 57, PAG. p. 52, IG. p. 363, FP. P. 21, FP. pp. 44, 45 e doc. 27 p. VIII, T. p. 6)
- 1555 Perugia. Predica la quaresima (T. p 22, 24, vP. p. 26, GP. p. 58, GC. p. 301, IdF. p. 31)
- 1555 Montalto, maggio per acquisti di terreni (GP. p. 10, 58, FP. p. 45 e doc. 29 p. IX) e fra Salvatore viene nominato procuratore di fra Felice (IG. p. 460, FP. p.46 e doc. 30 p. X, GP. p. 59).
- 1555 Fermo, 24 giugno (GP. p. 59, GC. p.19)
- 1555 Napoli, agosto-ottobre. Secondo inventario dei libri da lui posseduti (GC. p. 4)
- 1555 Napoli, novembre. Stampa un lavoro sul Vangelo di San Matteo. (GP. p. 60, GC. p. 25). Sono registrati pagamenti allo stampatore nel mese di novembre e dicembre (GC. pp. 25 e 26)
- 1556 Napoli, 6 gennaio. Lascia Napoli per Roma. Teologo per la preparazione per la riapertura del Concilio di Trento (1542-1563) (T. p. 26, GP. pp. 10, 63, GC. pp. 26) e 301)
- 1556 Roma. Partecipa alle discussioni della Congregazione per la riforma della Curia Romana (vP. p. 27 e nota 2)
- 1556 Brescia, fine maggio. Al capitolo generale di Brescia. Viene eletto esaminatore dei laureandi e reggente dello Studio di Venezia (T. p. 26 n.17, GP. pp. 10, 64, GC. p. 303, IG. p. 257)
- 1556 Venezia. Reggente per un triennio come reggente dello studio locale (T. pp. 22 e 27, vP. p. 27, GP. p. 65, GC. pp. 23, 300, IG. pp. 15, 122)
- 1556 Rovigo, 1° settembre (T. pp. 27 e 28, IG. p. 128, GP. p. 65)
- 1556 Ferrara, 16 settembre (T. p. 28)
Per il periodo veneziano come inquisitore vedi quanto precedente messo al n. 7.
- 1560 Roma, 16 luglio. Viene nominato teologo del Concilio generale, consultore dell’Inquisizione romana e insegna alla “Sapienza” di Roma (vP. p. 28, GP. p. 11, GC. pp. 300 e 303, IG. pp. 101 e 469, T. pp. 39, 46, dH. p. 175)
- 1560 Roma, 16 dicembre. Lettera di fra Felice ai Priori di Montalto (PAG. pp. 87 e 88, IG. p. 359, FP. doc. 47 p. XVI, GP. p. 84)
- 1561 Roma, inizi maggio. Acquista libri da Messer Brianzo e li paga all’inizio di giugno (GC. pp. 5-28).
- 1561 Roma, prima dell’estate. Malattia di fra Felice; i medici gli consigliano un periodo nel Piceno (IG. p. 146)
- 1561 Roma, inizi di giugno. Parte per Montalto (CG. p. 29, FP. p. 21, GP. p. 84)
- 1561 Ascoli Piceno, 12 agosto. Cittadinanza onoraria (GP. 85, IG. p. 469, GF. pp. 338 e 410)
- 1561 Roma, ottobre. Procuratore dell’Ordine presso la Santa Sede. (T. p. 40, GP. pp. 11 e 85, G. p. 16, MC. p. 4).
- 1562 Milano,16 maggio. Elezione del Ministro generale dell’Ordine. Viene confermato Procuratore (T. p. 40, GP. p. 85)
- 1563. Roma e Rieti. Varie lettere ai Priori di Montalto (PAG. pp. 88-93, IG. pp. 40, 41 e note 81,82, 83, FP. p. 68 e doc. 52 pp. XVII-XIX, vP. p. 29, GPapa p. 12 nota 25)
- 1563 Abruzzo e Puglia, aprile-maggio. Visitatore nelle province d’Abruzzo e di Puglia (GP. p. 86, IG. p. 16)
- 1563 Roma, a fine maggio (PAG. p. 93)
- 1564 Roma, febbraio. Fra Felice è presso il convento dei SS. XII Apostoli (IG 2)
- 1564 Roma, 2 maggio. È presente all’ultimo periodo e alla morte del Cardinal Carpi (T. p. 40)
- 1564 Roma, 4 novembre. Rinuncia ai suoi beni nelle mani del Generale Antonio de Sapienti di Aosta (vP. p. 29, LP. p.17 e seg, IdF. p. 48, GP. p. 32 n. 64)
- 1565 Roma, 18 marzo. Omelia nella seconda domenica di quaresima davanti a papa Pio IV (MF. pp. 3 ss.)
- 1565 Firenze, luglio. Nella Congregazione generale dell’Ordine, non viene riconfermato nella Procura. . Ritorna poi a Roma (T. p. 40, GP. p. 90, GP2. p. 35)
- 1565 Bologna ante settembre. Parte per la Spagna come teologo dell’Inquisizione con la legazione con a capo il cardinale Ugo Boncompagni (futuro papa Gregorio XIII) per il caso di Carranza arcivescovo di Toledo (GP2 p. 36)
- 1565 Barcellona, ottobre (GP. p. 91)
1565 Madrid, novembre (GP. p. 91). Ritorno in Italia senza aver risolto il caso
- 1566 Spagna, 14 o 15 gennaio. Pio V lo elegge vicario generale dei Minori Conventuali (GP. p.11, 92, GP2 p. 37)
- 1566 Asti. Riceve la notizia della carica di vicario apostolico del suo Ordine (T. p. 41, MF. p. 19 nota 1, GP. p. 92, GP2 p. 38)
- 1566 Faenza, 11 marzo. Riceve il documento di nomina del papa (T. p. 41). Il Parisciani afferma che a Faenza il Peretti visiona un transunto nella lettera di un quaresimalista (GP. p. 92, GP2 p. 38)
- 1566 Assisi, 17 marzo. Riceve i due sigilli dell’Ordine (T. p. 41, MF. p. 19 nota 1, GP2 p. 38)
- 1566 Visita i conventi dell’Umbria, del Lazio e della Campania (GP. p. 11 IG. p. 16)
- 1566 Roma, 21 marzo. Udienza dal papa (T. p. 41, GP2 p. 38)
- 1566 Roma, 20 aprile. Restituisce ai ministri provinciali dell’Ordine l’autorità togliendola ai commissari (T. p. 41, GP. p. 93, MF. p. 19 nota 1, GP2. p. 39)
- 1566 Roma, 26 aprile. Dispone che la carica dei guardiani diventi annuale (T. p. 42, GP. 94, (GP2 p. 39)
- 1566 Assisi, luglio-agosto. Visita i conventi dell’Umbria (T. p. 42, Gp2 p. 40)
- 1566 Roma, settembre. Visita il monastero delle monache di San Silvestro (T. p. 42)
- 1566 Napoli, ottobre-dicembre. Visita il monastero di Santa Chiara rilasciando le Costituzioni, e fino a dicembre visita la provincia napoletana (T. p. 42, GP. p. 94, AG. p.41, I.A. p. 124)
- 1566 Napoli, 15 novembre. Viene nominato vescovo di Sant’Agata dei Goti (vP. p. 31, dH. p. 176, GP. pp. 11 e 94, nota 11, IG. p. 16 e 101, vP. p. 31). Il Tempesti a p. 43 parla del 17 novembre.
- 1567 Napoli, 7 genn. Un Breve di Pio V lo conferma vicario fino al successivo capitolo generale e con facoltà personale di addottorare 20 religiosi (T. p. 43, GP. p. 94, GP2 p. 40 e nota 102)
- 1567 Napoli, 12 gennaio. Viene consacrato vescovo a San Lorenzo Maggiore (T. p. 43, GP. p. 94, MF. 19)
- 1567 Sant’Agata dei Goti, 29 gennaio. Prende possesso della sua diocesi. Vi resta tre giorni (T. p. 43, FP. p. 70. Il Parisciani (GP. p. 94) parla del giorno 19 gennaio.
- 1567 Roma, 2 marzo (?). Richiesto dal papa. (T. p. 43, GP. p. 94)
- 1567 Roma, marzo. Visita i conventi della Toscana (GP. p. 94)
- 1567 Bologna, aprile. Visita i conventi della provincia di Bologna (GP. p.11, 94)
- 1567 Marche, aprile. Visita i conventi di Fano, Senigallia, Ancona, Castelfidardo, Montelupone, Macerata, Montolmo (Corridonia), Montottone, Montalto (Gp. p. 94, FP. p. 70-71)
- 1567 Montalto, 18-29 aprile. Termina di pagare la casa sita nella piazza principale di Montalto (FP. p. 71 e doc. 56 p. XXII)
- 1567 Marche, maggio. A Sant’Elpidio a Mare per il capitolo provinciale e visita ai conventi di Grottammare, Ripatransone, Fermo, Acquaviva, Montegranaro, Civitanova, Montesanto (Potenza Picena), Recanati, Iesi, Urbino, Mondaino (MF. p. 87, T. pp. 14, 15, 44, GP. p. 96, FP. p. 72, GP2 p. 40, GBarucca p. 160)
- 1567 Emilia-Romagna e Veneto, maggio. Visita ai conventi di Sant’Arcangelo, Cesena, Forlì, Bagnacavallo, Lugo, Ferrara, Rovigo, Bagnocavallo e Venezia (B.A. 46, GP. pp. 11, 96, T. p. 45, GP2 p. 40)
- 1567 Padova, 8 giugno. Sua presenza in città (GP. p. 11 e 96, ASP,SA, b. 190, p. 136)
- 1567 Roma, 20 giugno. È occupato per il resto dell’anno nel caso dell’arcivescovo Carranza (GP. p.11, 96).
- 1568 Roma, 6 giugno. Nel capitolo dell’Ordine viene eletto fra Giovanni Tancredi da Colle Val d’Elsa (I.A. p. 54, GP2 p. 61)
- 1568 Roma, 10 giugno. Presso il convento dei Santi Apostoli viene chiamato in funzione di testimone della Costituzione di Pio V “De proprietate” (GP. p. 64-5)
- 1568 Camerino, giugno. Al Capitolo generale dove viene eletto fra G. Pico come Vicario generale (T. p. 45, GP. p. 11)
- 1568 Camerino, 4 luglio. Il Comune gli offre la cittadinanza onoraria (IG. p. 469, MS. p. 3-4)
- 1568 Sant’Agata dei Goti, autunno. Sua presenza in diocesi (T. p. 45, GP. p. 99, FV. pp. 78-80)
- 1569 Roma, giugno. Ritorno dalla Romagna (Cesenatico) (GP. p. 100)
- 1569 Roma, novembre. Il p. Francesco Guasparri porta al vescovo Peretti 930 ducati, rendite della diocesi di Sant’Agata dei Goti (Sant’Agata, Arch. storico diocesano, Iura Diversa Mensae Episcopalis vol 5, pp. 93-97)
- 1569 Roma, 10 dicembre. Lettera ai frati del convento di Venezia (da A.SA. capitolo: Comunità religiosa dei Frari)
- 1570, Roma, 17 maggio. Viene creato cardinale. Il titolo di San Girolamo degli Schiavoni gli viene conferito il 9 giugno. (T. p. 46, vP. p. 32, GP. pp. 11, 100, PAG. p. 94, IG. pp. 16 e 102, FP. p. 74, dH. p. 177, BG. p. 29)
- 1570. Milano, 31 maggio. Lettera di congratulazione del cardinale Carlo Borromeo al neo cardinale Peretti.
- 1570 Roma, 11 giugno. Lettera di risposta del card. Montalto al card. Carlo Borromeo (GC. pp. 551, 552)
- 1570 Roma, 26 agosto. Lettera del card. Montalto al suo vicario Paolo Pagano a Sant’Agata de’ Goti (doc. citato da don A. Abbatiello)
- 1571 Roma, 7 febbraio. Concistoro dei cardinali (GPapa p. 14)
- 1571 Roma, 6 marzo. Lettera del card. Montalto ai priori di Montalto (PAG. pp. 96 e 97) e (IG. p. 41, nota 84 e p. 487, FP. p. 75 e doc. 62 a p.XXV, GPapa p. 13 nota 26)
- 1571. Roma-Milano. Inizia il lungo epistolario fra il card. Peretti e il card. Carlo Borromeo sulla nuova edizione delle opere di Sant’Ambrogio. Ma già il contatto epistolario era cominciato nel 1566.
- 1571 Roma, 30 luglio. Concistoro (GPapa p. 15, VC2. p. 65)
1571 Roma, 31 agosto. Quietanza per opere caricatevoli nei confronti di suoi conterranei (GPapa p. 18 nota 4, FP. pp. 79, XXV, XXVI, XXXIII)
- 1571 Roma, 17 dicembre. Viene nominato vescovo di Fermo (GP. pp.11 e 104, IG. pp.16, 470, GF. p. 339, GCmons. p. 21, T. p. 47)
- 1572 Roma, 27 aprile. I pronipoti del cardinal Peretti ne assumono il cognome (BG. p. 59)
- 1572 Roma. 1° maggio. È presente agli ultimi momenti di vita di Pio V (dH. p. 179)
- 1572 Fermo, maggio. Il cardinale Montalto è a Fermo e vi rimane tre mesi. Effettuerà le tre visite pastorali negli anni 1572- 1574-1576 (GCmons. pp. 22ss) e (T. p. 47).
- 1572 Roma, 6 dicembre. Acquisto della quarta parte del palazzo ai Leutari (BG. p.29)
- 1573 Roma, 21 giugno. Matrimonio del nipote Fracesco con Vittoria Accoramboni (vP. p. 35, IdF. p.70)
- 1574. Roma. Relazione nella quale Gregorio XIII riconosce il valore del Montalto nel caso Carranza (vP. p. 33)
- 1574 Roma, 11 febbraio. Acquista la casa in Via Parione (GC. p. 7, dH. p. 178 e nota 1, BG. p. 30)
- 1574 Roma. È pronto il mausoleo di Nicolò IV in Santa Maria Maggiore voluto dal Peretti (IG. p. 298, T. p. 49, dH. p. 180)
- 1574 Camerino, 15 agosto. Sosta quattro giorni nel convento, prima di proseguire per San Severino (RP. p. 6, MS. p. 9)
- 1574. Fermo, settembre. È in diocesi ( GC.mons. p. 26)
- 1574 Ascoli, inizi ottobre. Breve sosta in città (GF. p. 340)
- 1574 Montalto, 9 ottobre. Per affari di famiglia e dirimere liti tra famiglie montaltesi (GP. p. 107, FP. pp. 21, 80, FP. doc. 67 p. XXVII- XXVIII)
- 1574 Fermo, 8 ottobre. Disposizione per uno stanziamento per mantenere la cappella musicale della cattedrale. (GN. P125, GCmons. pp. 24-26, T. p. 47, FP. p. 21 e 80)
11574 Roma, dicembre. Ritorno (T. p. 47)
- 1575 Roma. Il card. Peretti visita il seminario romano (GR. p.41)
- 1575 Roma, 25 gennaio. Acquista lo stabile al n° 23 di via dei Leutari (BG. p. 32)
- 1575 Roma, 30 marzo. Lettera ai Priori di Tolentino ringraziandoli per essere stato nominato loro protettore (GB. p. 15)
- 1575 Roma, 23 aprile. Lettera al capitolo della cattedrale di Camerino (MS. p. 10-11)
- 1576. Roma. Aggiunge la Cappella del Presepio in Santa Maria Maggiore (dH. p. 180)
- 1576 Camerino, 10 aprile. Giunge inaspettatamente in città (MS. p. 9)
- 1576 Roma, 4 maggio. Ulteriore acquisto nel rione Parione (BG. p. 32 e nota 44)
- 1576 Roma, 2 giugno. Primo acquisto di una vigna per il progetto di una villa (vP2 p. 1, MC. p. 3)
- 1576 Fermo, giugno-luglio. Visita i paesi di Falerone, Loro Piceno, Alteta, Monsampietrangeli, Pausola (GCmons. p. 24, GBarucca p. 160)
- 1576 Fermo, 26 settembre. Dirime una questione tra i rappresentanti di Montalto e Porchia (FP. p. 80-1 e doc. 70 p. XXIX)
- 1577 San Ginesio (Mc). Il cardinale Montalto è in paese (bollettino IV centenario nascita Sisto V)
- 1577 Roma, 6 maggio. Rinunzia alla diocesi Fermo (T. p. 47, GP. p. 105)
- 1577 Roma, 8 giugno. Ottiene dal papa un privilegio per i Priori di Fermo (T. p. 47, DC. p. 43)
- 1578 Roma, 23 aprile. Lettera del card. Felice Peretti ai Priori di Montalto (FP. doc. 72 p. XXXI-XXXII)
- 1578 Roma, 4 ottobre. Elenco dei doni del card. Peretti tratto dall’Archivio del Pontificio Collegio Croato di San Girolamo (Ra.Pe. p. 65, IG. p. 293, Ra.Pe. II p. 57 nota 7)
- 1578 Roma, 11 ottobre. Il notaio Tarquinio Cavalluci rogita la donazione di 1000 scudi a favore del salario di un Maestro per favorire l’insegnamento a Montalto e Grottammare (FP. p. 83-84 e doc. 73 p. XXXII ss, T. p.10, PAG. p. 97, IG. p. 41 e nota 85, vP. p. 35, GPapa p. 22, VC1, pp. 39-46 e pp. 66-69)
11578 Roma, 3 dicembre. Viene autorizzato il mercato ogni mercoledì a Montalto (FP. p. 85, GPapa p.19)
- 1579 Roma, 19 febbraio. Donazione di mille scudi per un medico a Montalto (PAG. p. 99, IG. p. 41e nota 86, FP. p. 85-6 e doc. 74 p. XXXV e seg, vP. p. 35, GPapa p. 21, VC1, pp. 47-53)
- 1580 Roma 1° dicembre. Viene pubblicato il primo volume sulle opere di S. Ambrogio (vP. p. 33 e nota 4)
- 1581. Roma. Inizia trattative con i canonici di Santa Maria Maggiore per la sua cappella gentilizia (IG. p.298)
- 1581 Roma, gennaio. Gregorio XIII toglie al Peretti la pensione annua assegnatagli da Pio V come cardinale povero (vP. p. 34)
- 1581 Roma, 18 marzo. Il card. Montalto si ritira dalla vita pubblica (vP. p. 34 e nota 2)
- 1581 Roma, 22 marzo. Reazioni del Montalto alle discriminazioni di papa Gregorio (vP. p. 34 e nota 2)
-1581 Roma, 17 aprile. Concistoro e proteste del Montalto con il papa per l’assassinio del nipote Francesco (dH. p. 188, vP. p. 37)
- 1583 Roma, 25 dicembre. Dono del granduca di Toscana di 1000 scudi (MC.p.9)
- 1584 Roma 13 giugno. Lettera ai Priori di Tolentino (GB. p. 24).
- 1585, 24 aprile: viene eletto papa.
NOTE III VOLUME
1. Si tratta di Montalto delle Marche, oggi in provincia di Ascoli Piceno.
2. Una prima preziosa biografia, conservata nella Biblioteca Apostolica Vaticana (BAV), è quella di A. M. GRAZIANI (toscano e segretario particolare di Sisto V, 1537–1611. Dopo la morte di Sisto V fu eletto vescovo di Amelia, ove morì nel 1611. HC III, 119; IV, 81) di cui abbiamo tre redazioni: la prima redazione (De vita Sixti Quinti) è nel cod. Ferrajoli 770, alle cc. 3-16, con preziose correzioni di mano dello stesso Sisto V; la seconda redazione (De vita Sixti Quinti) è nel cod. Ferrajoli 770; la terza redazione (De vita Sixti Quinti ipsius manu emendata) è nel cod. vat. lat. 12141, alle cc. 1-42r (copia seicentesca). I brani riportati in questa introduzione sono desunti da G. POLI, Vita Sixti V di Anton Maria Graziani suo segretario, con correzioni autografe dello stesso Pontefice. Montalto Marche 1925. Altre biografie, tutte conservate nella BAV, sono: P. GALESINI (1520-ca.1590), Annales rerum Sixti V Pontificis Maximi, codd. vat. lat. 5438, 5439; G. GUALTIERI, Sixti Quinti Pontificis Optimi Maximi Pontificatus Ephemerides, cod. vat. lat. 12142, cc. 237-333; A. M. BOZIO, Memoria di Sisto Papa Quinto, cod. vat. lat. 8656/III, cc. 586-626v. Altre vite sistine presenti nella Biblioteca Vaticana: Vita Sixti V Pontificis Maximi, di un autore che possiamo chiamare Anonimo cinquecentesco vaticano, cod. vat. lat. 5563, cc. 1-7: si limita a narrare la “Patria, Ortus et Educatio Sixti V”; Relazione della vita e morte di Papa Sisto V, cod. vat. lat. 7439, parte II, cc. 371-448v; Vita del Gran Pontefice Sisto V raccolta da varie notizie avute da Maestri di Cerimonie di quel tempo, descritta da un prelato domestico del medesimo Pontefice due anni doppo la seguita sua morte, cod. vat. lat. 8689; ANONIMO BARBERINI, Sixti V vita, cod. barb. lat. 2585 e 2645; Diaria sub Sixto V (1585-1590), cod. barb. lat. 2793; Notabili della vita di Sisto V, cod. del fondo Bolognetti, n. 13, in italiano; Acta Concistorialii Smi D.N. Sixti Quinti ab a. 1585 usque ad a. 1590 a Julio Antonio Santorio card. San Severino descripta, in Analecta Juris pontificii, 11ª serie, Roma 1872, edito da P. TACCHI VENTURI in “Studi e documenti di Storia e di Diritto”, vol. XXII-XXV, Roma 1902-1904. Importante è anche la biografia dal titolo “Memorie del Pontificato di Sisto Quinto” del cosiddetto “Anonimo CAPITOLINO”, un autore dei primi decenni del Seicento (ca. 1623), che appare un buon conoscitore e le cui memorie sono considerate dal Ranke “senza dubbio tutto ciò che esista di migliore intorno alla storia di Sisto V” (RANKE. III, 73). Tali memorie sono state ricopiate manoscritte fino a tutto il Settecento e sono presenti in diverse biblioteche romane (es. alla BAV nel cod. vat. lat. 8882 e nel barb. lat. 4970), italiane ed europee. Avendo il Tempesti usato spesso le informazioni dell’Anonimo traendole da un codice presente a suo tempo nell’archivio romano capitolino, l’autore viene ormai citato come “Anonimo Capitolino”, o “Anonimo del Campidoglio”. Il testo usato in questo nostro lavoro è desunto da un’ottima copia settecentesca presente nella Biblioteca del Polo museale di Castignano (AP).
3. C. B. PIAZZA, La Gerarchia cardinalizia, Roma, Stamparia del Bernabò, 1703, p. 638.
4. I. GATTI, R. TASSOTTI. Ancora su Sisto V papa piceno”. Acquaviva Picena 1999, pp. 68-69.
6. PASTOR, cit. p. 21, nota 1.
7. M. Zugaj, Sisto V tra Oriente ed Occidente (1585-1590), in Miscellanea Francescana 1986, pp. 595-776.
8. I. GATTI, Sisto V papa “piceno”. Le testimonianze e i documenti autentici. Maroni ed. 1990; I. GATTI, Il più antico avo “piceno” (ca. 1290) di Sisto V finora appurato. in Miscellanea Francescana, tomo 90, fasc. I-II, Gennaio-Giugno 1990, pp. 299-311; I. Gatti, R. TASSOTTI, Ancora su Sisto V papa piceno. Commento ad un recente opuscolo. Acquaviva Picena 1999; G. PARISCIANI, Fra Felice Peretti Ofmconv (Sisto V) nei registri di introito et esito di Montalto (1565-1580). Quaderni Francescani 21, Roma 1991, pp. 455-500.
9. PARISCIANI, Fra Felice... cit. 20.
10. È degno di nota quanto dice il Pistolesi circa il probabile cognome paterno di Ricci. “Del cognome di Piergentile detto Peretto nessuna traccia in nessun protocollo. Il popolo lo chiamava Peretto? E il notaio metteva in latino il nome popolare... È dunque lungo, arduo e non sempre coronato da successo il lavoro per giungere a stabilire il cognome di un individuo attraverso quelle scritture. Ma per la famiglia di Sisto V la cosa è ben facile. Un suo membro, Fra Salvatore, zio paterno di Sisto V, non ha per cognome Ricci? E un antenato di Salvatore, Antonio, non ha lo stesso cognome. Ricci pertanto è il vero cognome della famiglia di Sisto V... Seguendo però l’uso comune, anche noi chiameremo Peretti questa famiglia”. PISTOLESI, Sisto V e Montalto, cit. p. 11-12.
11. “La derivazione dall’albero del pero è una etimologia dotta e fu preferita da suo figlio Felice, allora teologo ed inquisitore, per la sua più facile descrizione araldica e per l’aggancio con altre famiglie di Peretto-Peretti allora esistenti in Italia. La notizia fu accettata dal Tempesti (I, 4), che scriveva però nel secolo XVIII. È stata riproposta dal Ranke (pp. 325ss), ma rifiutata, e giustamente, dal De Hübner (I, 168) e dal Pastor (X, 21)”: G. PARISCIANI, Sisto V e la sua Montalto. Ed. Messaggero Padova, 1986, p. 20-22 e nota 18. D’ora in poi quando sarà citato il Parisciani si intende questa sua opera.
12. F. PISTOLESI, Sisto V e Montalto. Montalto Marche 1921, pp. 9-12; G. PARISCIANI, cit. pp. 20-22; I. GATTI, Ancora su Sisto papa piceno. Commento ad un recente opuscolo. Acquaviva Picena 1999, p. 29.
13. Cola, forse nato verso il 1390, compare più volte come teste o come contraente nei rogiti di Martino d’Antonio, notaio di Montalto dal 1411 al 1421. Archivio Comunale di Montalto (ACM), Notarile I, cc. 3v, 6v, 14v.
14. ACM, Notarile II, cc. 9v e 34; F. PISTOLESI, cit. p. 12; PARISCIANI, cit. p. 21.
15. ACM, Notarile IV, cc. 28v e 72v.
16. Papa Sisto inviò a Montalto il reliquiario accompagnandolo con il breve pontificio Quanta dilectione del 28 luglio 1586. Il gioiello, già appartenuto alla collezione del marchese di Ferrara Leonello d’Este, che l’aveva acquistato a sua volta dal mercante tedesco Iachomo de Goldemont il 2 aprile 1450, era presente nel tesoro papale di Pietro Barbo, Paolo II (1464-1471). Sisto V lo inviò quale solenne testimonianza di paterno affetto e di devozione verso la sua “patria carissima”, come si legge nella nuova targa che aveva fatto incidere alla base: “sixtus V pont. max. monti alto patriae carissimae sacras / reliquias pietatis sue monumentum. d.d. anno pont. II”. L’opera rappresenta uno dei più elevati esiti dell’oreficeria parigina sviluppatasi alla fine del secolo XIV presso la corte degli ultimi regnanti di casa Valois. Pochissimi esemplari possono essergli paragonati per dimensioni, livello artistico raggiunto e intrinseco valore dei materiali (oro, argento, 59 perle, 20 rubini, 19 zaffiri, 1 cammeo in calcedonio). Molto rara anche la rara tecnica impiegata per le raffigurazioni a rilievo: lo smalto en ronde bosse, costituito da pasta vitrea colorata a copertura di statuette in oro ad alto rilievo e a tutto tondo. F. PISTOLESI, Il Reliquiario di Sisto V, in Bollettino della Direzione Diocesana di Montalto, 15 giugno 1908; C. Astolfi, Sul Filarete e il reliquiario di Montalto. Nuovi importanti documenti. Firenze 1910, in Arte e Storia, anno XXIX, n. 5, p. 139-42, maggio 1910; T. Muller, E. Steingraber: Die Franzosische goldemailplastik um 1400. Muncher Jahrbuch der bildenden Kunst. Monaco 1954; F. Trevisani, Il reliquiario di Montalto, in “Studia Sixtina” della Academia Sistina. Roma 1987; IDEM, Il reliquiario di Montalto, in “Le arti nelle Marche al tempo di Sisto V”, volume-catalogo della mostra. Ascoli Piceno 1992; IDEM, Studi sui gioielli e gli smalti del reliquiario sistino di Montalto, in: “I gusti collezionistici di Leonello D’Este. Gioielli e smalti en rond-bosse a corte”. A cura del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Edizioni Il Bulino, Modena, 2003; X. F. SALOMON, Cardinal Pietro Barbo’s collection and its inventory reconsidered, in Journal of the History of Collections 15 no. I (2003), pp. 1-18. Oxford University Press 3003; “Paris 1400. Les arts sous Charles VI”. Museo del Louvre, Parigi 22 marzo-12 luglio 2004, scheda sul reliquiario presente in mostra; B. MONTEVECCHI, scheda per il catalogo della mostra “Gentile da Fabriano e l’altro Rinascimento”, Fabriano nel 2006; G. BARUCCA, I doni sistini e l’arte orafa nel Piceno fra Cinque e Seicento, in Atlante dei Beni Culturali dei territori di Ascoli Piceno e di Fermo. Beni artistici. Oreficeria. Silvana ed. 2006, pp. 159-186.
17. “Quanta dilectione et charitate clarissimum patrium solum nostra incunabula ipsam terram Montem Altum prosequamur tum ex multis a nobis usque ad hanc diem collatis in eam gratiis et beneficiis tum ex hoc potissimum munere... facile intelligere poteritis”. Breve “Quanta dilectione” del 28 luglio 1586 per accompagnare il dono del reliquiario, ACM. Brevi ed altre diverse notizie di antica data, 1476-1646.
18. “Apud Montaltum, inter Asculum Firmumque modicum Piceni oppidum... ortus pater erat”. BAV, cod. Ferr. 770, c. 3; cod. Ferr. 820, c. 3v.
19. “Nec Romae solum huius generis munificentia extare monumenta voluit, sed in Piceno... apud Montaltum, unde pater originem duxerat”. BAV, cod. Ferr. 770, c. 6: cod. Ferr. 820 c. 8v; cod. vat. lat. 12141, c. 2v.
20. “Apud Montaltum... unde ortus pater erat, suscepta cucullata toga institutis Franciscanorum est initiatum... atque hanc exinde patriam ipse agnovit, Montaltisque cognomentum ab ea recepit” BAV, cod. Ferr. 779, c, 6; cod. Ferr. 820, c. 3v.
21. Lettera di fra Felice Peretti. Roma 13 marzo 1563. Arch. com. di Montalto (ACM), in PISTOLESI cit. pp. 549-50.
22. Lettera di fra Felice Peretti. Rieti 4 aprile 1563. ACM, in PISTOLESI cit. pp. 549-50.
23. Lettera del card. Felice Peretti. Roma 6 marzo 1571, nell’ACM, fuori inventario, citata da G. PAPA, Sisto V e la diocesi di Montalto. ed. Maroni, Ripatransone 1985, pp. 13-14.
24. Sulla nascita della diocesi di Montalto e i suoi primi vescovi, con relativa bibliografia, rimando a V. CATANI, La Chiesa Truentina. La diocesi di Montalto. 1586-1924. Storia della diocesi di S. Benedetto del Tronto - Ripatransone - Montalto. C. Montalto. Acquaviva Picena 2012.
25. Il resoriere pontificio “ha mandato, dicendo che ha avuto di commissione di N. S.re, un huomo costì, a fare la distributione delli due mila scudi, che la S.tà Sua ha donato a cotesta comunità, a ragione di tanto per fuoco indifferentemente”: lettera del 18 maggio 1585 del Governatore della Marca d’Ancona, card Alfonso Gesualdo. Originale nell’ACM.
26. I vecchi statuti comunali furono riveduti dal giusperito Salvatore Morelli e furono stampati a Montalto nel 1586 dal tipografo veneziano Giovanni Giubar, da poco domiciliato a Montalto, dal momento che papa Sisto concedeva esenzioni e favori a quanti ponevano lì la residenza per almeno un decina di anni: “Leges ac iura municipalia Magn. et Ill. Communitatis Montis Alti ... nunc primum in lucem aedita et ab omnibus propemodum erroribus et emendis purgata. Ex Monte Alto, apud Joannem Jubarem venetum MDLXXXVI”. L’unico originale, esistente nell’ACM, è composto di 300 pagine non numerate e diviso in cinque libri.
27. Originale in pergamena presso l’ACM. Per il testo e la traduzione cf: V. CATANI, La Chiesa Truentina. Storia della diocesi di S. Benedetto del Tronto - Ripatransone - Montalto. A. Documenti. Grottammare 1999, pp. 54-57.
28. Tale vantaggiosa concessione, che doveva durare unicamente otto anni, in realtà durò quattordici anni, grazie a due proroghe concesse da papa Clemente VIII. Originale in pergamena presso l’ACM. Per il testo e la traduzione cf: CATANI, La Chiesa truentina, cit. pp. 58-60.
29. L’originale in pergamena, in latino, è oggi perduta. Abbiamo la traduzione italiana edita dal PISTOLESI in Alma terra natia. Montalto Marche. Roma, P. Maglione Editore, 1934, p. 140ss. La bolla non è presente nel Bollarium Romanum. Sull’abbazia di Piobbico cf. A. BITTARELLI, La Marca di Camerino, Camerino 1975, p. 90; G. PAGNANI, Storia di Sarnano, II, L’Abbadia di Piobbico, pp. 118-126; AA.VV. Le Abbazie, architettura abbaziale nelle Marche, Ancona, pp. 242-245. V. LAUDADIO, Regesto delle pergamene di S. Maria in Piobbico, in “Immagini della memoria storica”, Atti del convegno di studi, Anno III, Montalto M. 12 agosto 1997, pp. 59-110.
30. AAV, Secr. Brev. 162, ff. 108-109. Riportata nel Bullarium Romanum , t. VIII, p. 771ss. Sul collegio Montalto di Bologna cf. G. CASTELLI, Il Collegio Montalto a Bologna: saggio storico. Ascoli Piceno, 1886; F. PISTOLESI, Sisto V e Montalto da documenti inediti, Montalto M. 1921, pp. 94-100; G.P. BRIZZI, I Collegi per borsisti e lo Studio bolognese, Studi e Memorie per la Storia dell’Università di Bologna, nuova serie, vol. IV, Bologna 1984, pp. 129-138; PAPA G. Sisto V e la diocesi di Montalto, op. cit., p. 44-45; G. PARISCIANI, Sisto V e la sua Montalto, Padova 1986, pp. 163-167; A. BALSAMO-M. TAGLIAFERRI, Quattro secoli di storia del Collegio Montalto, Bologna 1987; G. CAGNI, Il pontificio Collegio “Montalto”, in “Barnabiti Studi”, Roma, 5 (1988). Negli Avvisi si riportano le rendite regalate da papa Sisto: “Si ragiona, che’l Papa ad un’instantia di Canano habbia applicato la Badia sul Modanese vaccata per Riario al Coleggio di Maroniti, se bene alcuni dicevano, che la voleva applicare al Coleggio, che fa fare in Bologna, per commodità di quelli di Montalto, che vorrà studiare” (c. 371r/85); “Nostro Signore ha destinata la Badia di Panzano in Regno allo Studio in Bologna eretto da lui per li poveri di Montalto” (c. 259v/86); “La Badia della Stradella nel Bolognese unita al Collegio di Montalto eretto da Nostro Signore in Bologna” (c. 368v/87); “Si dice che’l Pontefice habbia unito al collegio Piceno in Bologna motu proprio il beneficio de gli Angeli di rendita di mille scudi l’anno posseduto fin qui dal Vescovo di Rimini” (c. 103r/89). Il collegio Montalto di Bologna fu soppresso dalla napoleonica Repubblica Cispadana il 7 aprile 1797 e dopo varie traversie ed essere passato in mano a diversi privati, fu acquistato dai Padri Barnabiti nel 1873, trasformandolo in “Collegio S. Luigi”.
31. L’originale della bolla, in pergamena e sigillo plumbeo, si trova nell’Archivio comunale di Montalto. Lo stesso testo si trova anche nell’Archivio Apostolico Vaticano (Secr. Brev., 167, ff. 237-238) ed è riportato nel Bullarium Romanum, t. VIII, pp. 800-802. Quest’ultimo erroneamente data la Bolla il 24 invece del 14 novembre. Per il testo e la traduzione cf: CATANI, La Chiesa truentina, cit. pp. 75-80.
32. S. Andreantonelli, Historiae Asculanae libri IV, Padova 1673; N. PALMA, Storia ecclesiastica e civile della regione più settentrionale del regno di Napoli... oggi città di Teramo e diocesi aprutina, IV, Teramo 1834, p. 233. P. CAPPONI, Le case religiose nella diocesi di Ascoli Piceno, Ascoli Piceno 1898; A. TROJANI, L’abbazia di Montesanto, il fondatore, la storia, la sagra annuale, il XIV centenario, Ascoli 1945. U. PIERANTONIO, Il monachesimo benedettino nell’Abruzzo e nel Molise, Lanciano 1988, pp. 149-150; M. SENSI, Santa Maria di Montesanto. Un monastero benedettino di frontiera tra Regno di Napoli e Stato Pontificio. Edizioni diocesane, San Benedetto del Tronto 1996.
33.Originale in pergamena presso l’ACM. Il “Postquam Nos” è presente in AAV, Secr. Brev. 123, cc. 85-86 e nel Bullarium romanum, t. IX, pp. 254-256). Per il testo e traduzione cf: CATANI, La Chiesa truentina, cit. pp. 82-87. Sul Presidato cf. G. CROCETTI, Il Presidato farfense. S. Vittoria in Matenano 1993; AA.VV, La Marca e le sue istituzioni al tempo di Sisto V. Archivio di Stato di Macerata 1991. Il presidato ha prodotto una notevole quantità di documentazione archivistica, dal 1586 al 1860. Per tale produzione cfr: V. Cavalcoli, La documentazione giudiziaria del Presidato di Montalto e il Piceno in età sistina, Ascoli 1994; B. EGIDI, Il Presidato di Montalto nell’assetto geopolitico nella Marca nell’età sistina, in “Immagini della memoria storica”, anno III, ed. Fast Edit, Acquaviva Picena 1998, pp. 11-38 con ampia bibliografia. Il Presidato fu soppresso dal governo napoleonico e al suo posto fu concesso a Montalto, nel 1816, di essere centro di distretto.
34. La lettera di accompagno è presente in originale presso l’ACM. Il testo anche presso l’AAV, Secr. Brev. 159, c. 239. Per il testo e traduzione cf: CATANI, La Chiesa truentina, cit. pp. 91-93. Per l’occasione fu stilato un triplice elenco: ”Paramenti levati dalla sacristia apostolica, dati a Mons. R.mo Vescovo di Montalto dal R.mo Francipani, maestro di casa di S. S.tà, il dì VIII di gennaio 1587, d’ordine di S. B.ne”; “Robbe levate dalla guardarobba di N. Signore et consignate al vescovo di Montalto per servitio della chiesa di detta città”; “Et di più si sono havute dal medesimo monsignore maestro di casa il dì VIII di gennaro 1587”. AAV, Arm. I-XVIII, 159.
35. ACM, fondo diplomatico, 13 febbraio 1588, originale in pergamena: “Cum ad visitandas”.
36. AAV, Secr. Brev., 129, f. 178: “Erectio officii superextantis zecche Montis Alti”, 4 luglio 1586. E nell’avviso del 2 settembre 1587 si legge: “Meo Neri ha spedito un suo Ministro a Montalto a far stampare 6 mila scudi de quatrini, et 6 d’argento con inscrittioni che mostraranno esser monete coniate in quella Città con l’impronta del Papa”. (c. 383r/87). Per circa quattro anni, cioè fino al novembre-dicembre 1591, la zecca di Montalto fu in attività, con molteplici benefici economici e sociali per Montalto e il suo territorio. La zecca fu chiusa nella primavera del 1591, dopo la morte di Sisto V. L. Gioppi di TURCHEIN, La zecca di Montalto, Milano 1915, pp. 51; G. PARISCIANI, Sisto V e la sua Montalto, Ed. Messaggero Padova 1986, pp. 129-132; F. EMIDI, La Zecca pontificia a Montalto. Origine, attività, ipotesi di ubicazione, Fermo 1992, pp. 155; N. CAPOZUCCA, Zecche e monete, in AA.VV, La Marca e le sue istituzioni al tempo di Sisto V. Archivio di Stato di Macerata 1991. Per il testo della bolla e la sua traduzione: CATANI, La Chiesa truentina, cit. pp. 95-101.
37. AAV, Secr. Brev., 123, f. 203r-v.
38. Si tratta del forlivese Marcolino Monsignani, che fu governatore di Montalto dal 25 aprile 1587 al 26 giugno 1588. WEBER 296, 786.
39. Questa umile origine fu vista fin dall’inizio da papa Sisto come esaltazione gratuita da parte della provvidenza divina. “Più che il fatto quasi miracoloso di papa Ghislieri [Pio V], nato in una casupola di contadini piemontesi, pareva ripetersi adesso, con la elezione di Sisto V, quello di Adriano VI, poiché il papa marchigiano aveva questo di comune col papa fiammingo: che non possedeva un cognome e ch’era stato sempre designato col nome del padre, Peretto, al quale, divenuto cardinale, aveva preferito, secondo l’uso dell’ordine francescano, il nome del paese d’origine, Montalto”. P. PECCHIAI, Roma nel cinquecento, Bologna 1948, pp. 150.
40. Muzio PANSA, nel sua opera “Della Libraria Vaticana. Ragionamenti divisi in quattro parti. Ne’ quali delle pitture fatte si ragiona”. Roma 1590, scrive a proposito di questa affresco di Montalto a p. 113: “Vedesi dipinto Montalto, castello della Marca, patria di Sisto, il quale fu da lui apmpliato et ingrandito di forte, che hebbe titulo di Città, havendo egli datoli il Vescovo, et ampliata la Diocesi, e fabricato un sontuoso Palagio in esso”.
41. Frontillo oggi fa parte del comune di Valfornace, a pochi chilometri da Camerino, in provincia di Macerata, nelle Marche.
42. “Sanctissimus Dominus Noster dixit quod sua mater duxit originem a civitate Camerini, quia ibi nata est et eius pater tempore Ducis Valentini ibi fuit, et in magna paupertate, quia omnia bona ei fuerunt ablata”. G. A. SANTORO, Acta concistorialia. Archivio Apostolico Vaticano, Miscellanea 66, f. 1029.
43. “Matrem Sixtus habuit Marianam, gente honesta, sed non satis certa... Ceterum ut Marianam Camerini natam falso aliqui prodidere, ita Camertem fuisse certum est. Frontillum enim Marianae patria fuit, exiguus Camertis agri pagus”. BAV, cod vat. lat. 12141, Sixtus Quintus Pontifex Maximus, cc. 46-104.
44. Biblioteca Casanatense, Roma, ms 1677.
45. Il pubblico notaio Porfirio Antici esercitò a Camerino dal 1562 al 1627. M. SANTONI, L’Archivio Notarile di Camerino ricomposto ed ordinato nel 1883. Camerino 1883, p. 23. Sulla figura di Mariana vedi: S. CORRADINI, Mariana da Frontillo. Madre di Sisto V. Roma 1989.
46. Il testo è stato già edito da C. SANSOLINI, Marianna da Camerino madre di Sisto V. Roma 1985, e ancora in C. SANSOLNI, Il pensiero teologico spirituale di Sisto V. Roma 1989, appendice I.
47. Berardo Bongiovanni, romano e teologo, è stato vescovo di Camerino dal 5 marzo 1537 al 12 settembre 1574, anno della sua morte. Partecipò al concilio di Trento, che volle applicare con fervore nella sua diocesi. HC. III, 149; GAMS, 679; UGHELLI, I, 566: “Concilio Tridentino doctrinae suae vires explicavit”; CAPPELLETTI, IV, 293-294; G.C. GENTILI, De Ecclesia Septempedana, Vol. III, Macerata 1837; S. SERVANZI-COLLIO, Serie dei Vescovi di Sanseverino nella Marca, Camerino 1875.
48. “Magistro F. Felici de Montealto et D. Marianae matri dicti magistri F. Felicis”. P. A. GALLI, Notizie intorno alla vera origine, patria e nascita del Sommo Pontefice Sisto V. Ripatransone 1754, p. 52. Lo stesso Galli scrive a p. 51: “Prese Peretto per moglie D. Mariana da Camerino; di costei non possiamo con certezza addurre la vera provenienza, e né tampoco sappiamo dire con qual mezzo ed opportunità si maritasse in Montalto, non essendo degne di credito diverse cose che si raccontano.
49. F. PISTOLESI, Sisto V e Montalto da documenti inediti. Montalto Marche 1921, p. XI.)
50. Biblioteca del Polo museale di Castignano (AP), ms. n. 6049. Altre tre biografie manoscritte anonime del tutto simili e presenti nella stessa biblioteca sono i mmss. al n. 1672, 1673, 1674, tutti in pos. bib. B4-4.
51. “Capituli et patti fatti tra li S.ri deputati della statua di bronzo, che si ha da fare M° Tiburtio Vergelli da Camerino per la S.tà di N. S. Papa Sisto quinto”. Arch. Com. Camer. Instrum. 1570-87, c. 225. Sulla statua di Camerino è fondamentale lo studio di M. SANTONI, Sisto V e la sua statua a Camerino. Foligno 1885, oltre al già citato lavoro di S. Corradini.
52. Benedettino, storico, cronista e traduttore. Fu protonotario apostolico e molto vicino a S. Carlo Borromeo che lo consultò nelle decisioni disciplinari. Nato ad Ancona verso il 1520, vissuto a Roma e morto a Milano nel 1590. Di lui dice il Pastor: “Non vuole raccontare nulla che non corrisponda a verità”. PASTOR, X, p. 632.
53. BAV, Annales rerum Sixti V Pontificis Maximi, cod. vat.. lat. 5438, cc. 4-7. Circa la data del battesimo fa fede questa testimonianza del Galesini, dal momento che ancora le parrocchie non avevano l’obbligo delle registrazioni degli atti sacramentali, obbligo che verrà con il Concilio di Trento.
54. “In hoc igitur obscuro nunc quidam loco, si tamen spectatur antinquitas nobilissimo, qui a Montalto oppido, unde Perittorum familia originem habuit, decem millibus passum abest, Sixtus natus est”, Cod. vat. lat. 5563, cc. 3-3v.
55. BAV, cod vat. lat. 12141, Sixtus Quintus Pontifex Maximus, cc. 46-104.
56. TEMPESTI, 38. Preferisco questo termine al “per caso” usato dal PISTOLESI, Sisto V e Montalto, ct. 21.
57. PISTOLESI, Alma terra natia, cit., p. 12. Si legge nella Sixti V vita del ms dell’Anonimo Barberini lat. 2645 della BAV: “In eo Italiae tractu, qui Picenum appellatur, locus est maritimus, le Grotte al mare, nunc vulgi sermone nominatus, cum antea Cupra maritima diceretur. Huc olim Perettus una cum familia commigravit ex propinqua admodum Montalto patria, quam, praeter alia eiusdem provinciae loca, Franciscus Maria, Urbinatium Dux, ob Cardinalis Alidosij necem ab Leone X ditione exutus, hostiliter vastaverat”.
58. G. DELLA SANTA, Un documento inedito per la storia di Sisto V, Venezia 1896; G. Poli, Sisto V, cit. pp. 8-10.
59. L. VON RANKE, Storia dei Papi. Sansoni editore, Firenze 1965, p. 326.
60. PARISCIANI, Sisto V e la sua Montalto, cit. pp. 17-19.
61. “Ortum atque incunabula eius Cripta firmani agri castellum vindicat sibi. Hic natus perhibetur anno millesimo quingentesimo vigesimo primo idibus decembris, cum pater firmanae matronae hortum exerceret, quae quidem (quod silendum non videtur) eximio Dei munere vitam ad Pontificatum usque eius perduxit, et ut eum Pontificem Maximum videret anus senio confecta, Romam deferri voluit, cupide venerari eum in summo humanarum rerum fastigio positum, quem olitoris sui filium, paupere victu, domi suae natum aluerat”. De vita Sixti Quinti ipsius manu emendata, cod. vat. lat. 12141, cc. 1r-v.
62. Anche il Galesini, nei suoi “Annales rerum Sixti Quinti” (cod. vat. lat. 5438) dice che Felice è nato di pomeriggio: “Anno igitur 1521 in lucem editus, Sixtus Quintus, feria VI, idibus decembris die festo S. Luciae, hora circiter sexta et decima”.
63. DANTE, Divina Commedia, Paradiso, XVII, 58-60.
64. “Sixto quinto Pontifici Maximo parentes probi homines atque innocentes fuere; sed humiles adeo atque inopes, ut vitam quotidianae operae labore, et alieni parvique agri cultura tolerarent... Quippe paruisse puerum paterni heri pecus et Picentes memorant; et ipse adeo non diffidetur, ut etiam praeseferat, satis intelligens nobilitatem posteris dare quam a maioribus accipere magnificentius esse”. Cod. vat. lat. 12141, 1r.
65. Grossolano errore derivato dall’equivoco sul nome di Grottammare, che allora veniva chiamato popolarmente anche “Le Grotte”.
66. “Qui licet eius genitor fuerit de terra Montisalti Presidatus March. Ancon. natus fuit in Terra Criptarum ad mare comitatus firmani; quam terram et eius homines dicti sui ortus ratione plurimum in Domino diligit”. Archivio di Stato di Fermo, perg. 1639. Per il testo e la traduzione cf: CATANI, La Chiesa truentina, cit. pp. 66-69.
67. ASV, Vescovi, vol. 11, f. 307 r-v; trascrizione dall’originale in CATANI, La Chiesa truentina, cit., pp. 104-105.
68. F. Bracalente, Relazione storico-critica relativa agli interventi sistini a Grottammare e nuovi documenti riguardanti gli stessi nella città e territorio di Montalto, Civitanova Marche 1988.
69. Per la bibliografia sulla chiesa di S. Lucia: B. Mascaretti, Memorie istoriche di Grottammare, Ripatransone 1841; G.B. MASCARETTI, Memoria sulla Collegiata di S. Lucia di Grottammare, Ripatransone 1855; G. Fracassetti, Biografia di Sisto V, in B. Mascaretti, cit., p. 18; C. Paltrinieri Triulzi, in B. Mascaretti, cit., pp. 42 e 46; G. De Minicis, Sulla medaglia di Camilla Peretti, in fasc. Vl da «Eletta dei monumenti più illustri di Fermo e dintorni», Roma 1841, pp. 228-229; D. DIOTALLEVI, Medaglie e sigilli, in: Le arti nelle Marche al tempo di Sisto V. op. cit., pp.69-73; F. Bruti Liberati, Xll lettera sulla via cuprense, Ripatransone 1860; G. Speranza, Guida di Grottammare, Ripatransone 1889; L. Mannocchi, Guida pratica dei monumenti e delle opere d’arte nella provincia di Ascoli Piceno, Grottammare 1900; A. Speranza, La caratteristica figura di papa Sisto V, in «Picenum - Rivista March.», 111 a X, fasc. Vl-VII, Roma 1913, pp. 166-168; F. PISTOLESI, La chiesa di S. Lucia in Grottammare fu fondata da Sisto V, in “Il Foglietto diocesano”, VI, n. 23 (nov. 1931), pp. 6-7; E. Liburdi, Sisto V e Grottammare, S. Benedetto del Tronto 1937; E. LIBURDI, La costruzione della chiesa di S. Lucia di Grottammare nei nuovi documenti, estr. dagli Atti e Memorie della Deputazione di storia patria delle Marche, serie VII, vol. VI, Ancona 1951; A. M. Aloysi, Grottammare (Cuprae Fanum), Grottammare 1951; G. Lerza, La chiesa di S. Lucia a Grottammare, in «Quaderni dell’lstituto di Storia dell’Architettura», serie XXVII, fasc. 169-174, Roma 1983; M. PIACENTINI e S. CURCIO, Sisto V a Montalto e Grottammare. Urbanistica, architettura istituzioni, nuovi documenti e libri contabili delle fabbriche. Quaderni della ricerca architetture sociali nello Stato Pontificio, 3. Roma 1589; S. D’Amico, La Chiesa di Santa Lucia a Grottammare, in AA.VV., Il progetto di Sisto V. Territorio, città, monumenti nelle Marche, a cura del comitato nazionale per le celebrazioni sistine, Roma 1991.
70. Da un carteggio conservato nel Comune di Grottammare, contenente gli atti di un processo intentato nel 1592 dalle maestranze nei confronti del sovrintendente ai lavori, e da un documento dell’archivio Capitolino di Roma (“Il registro di spese di Camilla Peretti per la Fabbrica di S. Lucia di Grotta a mare”, relativo agli anni 1591-1594) veniamo a conoscere i nomi dell’imprenditore dei lavori e dei costruttori della chiesa: architetto principale è mastro Bartolomeo Bongianino. E. LIBURDI, La costruzione, cit.; G. L. LERZA, La chiesa di S. Lucia, cit.
71. A. SILVESTRO, Un documento da considerare con molta attenzione, “Il registro di spese di Camilla Peretti per la Fabbrica di S. Lucia”, in Riviera delle Palme, S. Benedetto del Tronto, n. 4/5, luglio-ottobre 1998, p. 12-13.
72. L’edificio si configura esternamente come un massiccio corpo squadrato in laterizio con cupola ottagonale su un alto tamburo. La facciata presenta un paramento murario in laterizio, disposto in modo molto regolare e di colore uniforme, con prevalenza di giallo paglierino, arricchito da elementi decorativi in travertino, come una fascia marcapiano e un cornicione di coronamento in pietra dentellata. Quattro paraste individuano tre partiture. Nella parte alta della facciata si apre al centro una finestra circolare e ai lati altre due finestre rettangolari con cornice in pietra. Nella parte inferiore si aprono due alte monofore strombate ai lati e il raffinato portale in travertino, completato da un timpano arcuato al cui interno si trova lo stemma della famiglia Peretti, sormontato da quello papale di Sisto V. L’interno della chiesa è a pianta quadrata con croce greca inscritta: il quadrato centrale, delimitato da quattro pilastri su cui poggiano gli archi che sorreggono la cupola, presenta agli angoli quattro cappelle sormontate da matronei balaustrati, al di sopra dei quali si trova la cantoria lignea comunicante con i due matronei laterali.
73. G. CAVEZZI, Documenti notarili di Grottammare relativi al XVI secolo, in Cimbas, Organo d’informazione interna all’Istituto di ricerca delle fonti per la storia della civiltà marinara picena. S. Benedetto del Tronto, n. 32, marzo 2007, p. 2.
74. Per la bibliografia del convento: PAOLINO da Venezia, Chronologia Magna. BAV, vat. lat. 1960; L. WADDING, Annales Minorum. 8 voll., Sumptibus Claudii Landry, Lugduni 1625-1654; F. A. BENOFFI, Memorie storiche della Provincia della Marca dei Frati Minori Conventuali, le quali sono il frutto del suo Provincialato di quindici mesi dal Maggio 1764 a tutto Luglio 1765. Ms. cc. 236, Archivio provinciale OFM-Conv. Ancona. Ristampa a cura della Curia Provinciale OFMConv, Ancona 2013, pp. 511, con aggiunte di S. RINALDI (+1873), G. SETTEMBRI (+1929) e F. BALSINELLI (+1952); O. CIVALLI, Visita triennale: Parte istorica, ossia, Memorie storiche riguardanti i diversi luoghi di essa provincia raccolte dall’autore nel tempo del suo provincialato. 1597. In Antichità Picene di G. Colucci, XXV, Fermo 1795; F. BALSIMELLI, Convento di S. Francesco delle Fratte in Montalto. Iscrizioni, in IV Centenario dalla nascita di Sisto V. Bollettino mensile ufficiale del Comitato centrale promotore. Montalto-Grottammare. Fasc. IX, 13 lug. 1922, pp. 123-124; fasc. X-XI, 13 ag.-sett. 1922, pp. 147-149; fasc. XII, 13 ott. 1922, pp. 162-163; F. A. Benoffi, F. BALSIMELLI, Memorie della provincia delle Marche dei Frati minori conventuali. 1938; G. PARISCIANI, I Minori Conventuali delle Marche nel 1535. Ancona 1990; V. CURTI, L’architettura dei Francescani a Montalto. In Immagini della memoria storica. Atti del Convegno di Studi. Anno X, Acquaviva Picena 2005, pp. 87-120. La data più antica e storicamente attendibile che si può riferire a tale convento porta al 1235-1236, cioè dopo la morte di S. Francesco. Il convento è nominato nell’elenco di Fra Paolino da Venezia. La chiesa fu restaurata nel 1336 e nel 1459 (WADDING 1399, n. 13, BENOFFI, 129, PARISCIANI, 1990). Scrive il Civalli nel 1597: “La chiesa è grande convenientemente decorata; questa fu restaurata, come si legge in una trave del tetto, l’anno 1459... Qua fu fatto un Capitolo Provinciale l’anno 1568, alli 22 di Maggio” (CIVALLI, 20). Difficile dire quale fosse l’impianto originario del convento: l’unica fonte documentaria è un disegno del 1617 inserito dal frate Ilario Altobelli nella sua opera manoscritta “De Genealogia seraphica Provincie Marchiae”. Il disegno riporta la pianta del convento e della chiesa ad aula unica, con abside semicircolare orientata e tre cappelle sul lato sud (CURTI 2005, 94). Il convento sopravvisse nel 1652 alla soppressione innocenziana dei piccoli conventi in Italia, e venne visitato nel 1694 dal vescovo di Montalto Ascanio Paganelli, che descrive la chiesa che trova “satis decenter” (Archivio Vescovile di Montalto (AVM), Visite, II, f. 370r). La chiesa e il convento caddero però sotto la soppressione napoleonica del 1810 e il ritorno alla normalità fu estremamente difficile. In uno “Stato de’ Conventi e Monasteri esistenti nella Città e diocesi di Montalto” stilato dalla Cancelleria vescovile nell’agosto 1816 (AVM, cartella Montalto, S. Francesco) si dice che il convento è “in uno stato sufficiente” ma troppo lontano dalla città, “per cui è pericoloso ad abitarsi”. Nel 1826 il convento ospitava 3 frati e un novizio (AVM, Visite IX, A, fasc. 1). Il convento fu soppresso ancora nel 1861 e nella visita del 1865 il vescovo Aronne trovò due soli frati incaricati per la sola ufficiatura della chiesa (AVM, Visite, X, A, 1865). Nella seconda metà dell’Ottocento cominciò una vera e propria odissea per la chiesa e convento. Nel 1872 il convento fu messo all’asta e il 28 luglio 1876 fu comprato dal montaltese Giacomo Massimauri. Quattro anni dopo, il 27 maggio 1880, il padre generale Soldatich apriva nel convento il collegio delle missioni estere, che durò fino al 16 novembre 1891, e nel 1890 venne aggiunta una nuova fabbrica per ospitare il noviziato, che durò fino al 23 settembre 1909, anno in cui fu trasferito in Osimo. Il 27 settembre 1920 il convento fu restaurato e vi fu riportato il noviziato, che rimase fino al 1922. Dopo altri sette anni di abbandono, nel novembre 1929 vi si inaugurò un istituto agricolo con annesso convitto con il titolo di “Rifugio S. Francesco”. Il 1° marzo 1933 il convento e la chiesa furono definitivamente venduti a privati.
75. Infatti Giacomo, nonno di Felice, aveva avuto a Montalto cinque figli: Piergentile (primogenito e padre del nostro Felice), Laudenzia, Piacentina, Cecchetta e Salvatore. Laudenzia sposò verso il 1520 Mecozzo di Giovanni Testi e morì nel 1530; Piacentina la troviamo accanto al fratello Piergentile a Gottammare, più tardi sposò Costantino di Piersante Santori e morì nel 1551; Cecchetta sposò nel 1523 Silvestro di Michitto. (PARISCIANI, cit, p. 24) Salvatore, invece, scelse la vita religiosa, facendosi francescano e “doveva avere sui venticinque anni quando celebrò la sua prima messa nel 1517, perché così imponevano le “Constitutiones Alexandrinae! del 1501, con cui si governavano allora i Frati minori conventuali” (PARISCIANI, cit, p. 21). Su fra Salvatore così scrive lo storico ed astronomo francescano Ilario Altobelli (1560-1637) citato dal Tempesti a p. 43: “Ab initio huius saeculi 1500 habuit hic locus patrem Salvatorem de Monte Alto, qui fuit patruus Sixti V, frater carnalis Peretti, patris ejusdem Papae”. Lo stesso Sisto V scrive a fra Salvatore da Venezia il 20 aprile 1558 chiamandolo “Al Ven. Padre fra Salvatore da Montalto. Zio mio carissimo. Io vi ho scritto più volte... State sano, e siave raccomandata mia Madre. Vostro come Figlio, fra Felice da Montalto” (TEMPESTI, 43.
76. ACM, Liber Introius et Exitus 1514-20, f.128). Sulla sua tomba, nella chiesa del convento, fu posta questa iscrizione: “Salvatori Ricci franciscali / patruo Felicis Peretti / qui in bonarum disciplinarum culturam / animi benignitatem / sanctimoniam / consilium / prudentiam / nepotem suum recte erudivit / plerumque praeses huius / diem supremum aspexit / non sine magna sanctitatis fama”. F. BALSIMELLI, Le iscrizioni del convento di S. Francesco in Montalto, in “IV centenario dalla nascita di Sisto V”, fasc. 12°, 13 ottobre 1922, p, 148.
77. PISTOLESI, Sisto V e Montalto, cit. p. 32; PARISCIANI, cit, p. 31.
78. Così dichiarò lo stesso Sisto V: “Ci siamo fatti religiosi all’età di nove anni” (cf. HUBNER, cit., vol. II, p. 106.
79. Felice ricorderà sempre con nostalgia quel luogo “in quo habitum ipsius Ordinis susceperamus”, come scriverà da papa in un breve inviato ad un parente nel 1589. AAV, Secr. Brev. 137, c. 325.
80. TEMPESTI, cit. 45, che riporta in nota le testimonianze dell’Anonimo Cinquecentesco Vaticano (cod. vat. lat. 5563: “Non multo post religiosum Seraphici Sancti Patris Francisci habitum induit; et cum annus ejus saeculi 1532 ageretur, sacro die Palmarum solemni ritu professus est eumdem ordinem”) e del Galesini (codd. vat. lat. 5438, 5439: “Habitum Deo bene juvante susceptus congruo tempore gestavit, et solemniter riteque anno 1532 die Dominico Palmarum professionem emisit”.).
81. L’avvenimento viene attestato dallo stesso Felice che scrisse “L’anno 1540 predicai (né havevo ancora cantato Messa) in Monte Pagano Terra di Abruzzo” (Il Papa Sisto. Profilo storico, in Miscellanea Francescana, vol. 23, fasc. I-II, gennaio-aprile 1922, p. 13). Un autore di un libro su Montepagano (R. D’ILARIO, Miracoli e leggende di Monte Pagano, Teramo, 1963) riporta un simpatico aneddoto dal sapore leggendario, relativo alla visita di P. Felice Peretti a Montepagano (collocandola però erroneamente nell’anno 1542). Fra Felice arrivò in ritardo in chiesa, perché non aveva udito il suono della piccola campana della chiesa. Gli abitanti del paese desideravano una campana più grande e il predicatore promise, scherzando, che da Papa avrebbe donato una grande campana a Montepagano. Dopo 43 anni gli abitanti si ricordarono della promessa e una delegazione si reò a Roma per la richiesta. Sisto V mantenne la promessa e dotò la chiesa di campana e campanile.
82. G. CUGNONI, Documenti chigiani concernenti Felice Peretti, Sisto V, come privato e come pontefice, in Archivio della Società Romana di storia patria, V, Roma 1882, p. 178.
83. Il Pastor lo fa citando in appendice (documento 90) il codice dell’Anonimo Vaticano: “Narrabat inter familiares... se noctes ipsas libris commodatis lectitandis stantem ad lucernas quae publice in coenobio ardent in angulis vigilasse, iis nonnunquam absunto oleo extinctis ad esa quae in templis sanctissimae Eucharistiae praelucent confugisse”. AAV, Sixtus Quintus Pontifex Maximus, cap. IV.
84. Scrive il Parisciani, cit. a p. 43: “Non esistevano allora i Collegi di baccellieri con facoltà di addottorare. Di tanto in tanto il papa donava al ministro generale un numero tot di facoltà per donare questo titolo a chi ritenesse più degno. Fra Felice non ebbe pertanto la sua laurea dall’univerità di Fermo, da tempo in piena decadenza”. Nella vita del Graziani si legge un’aggiunta, forse di mano del papa stesso, che recita: “Firmi multis honorifice antea habitis disputationibus Theologiae et artium magister efficitur”, cioè “divenne maestro a Fermo con molto onore e dopo aver disputato di teologia e di retorica”: GRAZIANI, Vita Sixti V ipsius manu emendata, super 13.
85. Rodolfo Pio (Carpi, 22 febbraio 1500 – Roma, 2 maggio 1564) era figlio di Lionello II, signore di Carpi. Fu eletto vescovo di Faenza il 13 novembre 1528. Fu nunzio apostolico in Francia nel 1530. Creato cardinale nel 1536. Nel 1544 rinunciò alla diocesi di Faenza e fu nominato amministratore apostolico della diocesi di Agrigento. Fu un riformatore e un capace amministratore diocesano, amante delle arti e mecenate. HC, III, 25, 99, 194, GAMS, 689, 943.
86. Scrisse nei suoi appunti: “Illustrissimi Cardinali mi intrattennero a Roma et lessi tutto l’anno tre dì della settimana la Pìstola a’ Romani di san Paolo” CUGNONI, Documenti chigiani, cit. p. 123.
87. “L’anno 1553 predicai a Genova e vi se fece il capitolo generale et andai regente a Napoli” CUGNONI, Documenti chigiani, cit. p. 123.
88. Predica della purissima concettione della gloriosa madre de Dio Maria Vergine. Fatta dalla santità di n.s. papa Sisto V a tempo, ch'era regente nel convento di S. Lorenzo di Napoli, 1554. Presente l’illustrissimo e reverendissimo card. Pacecco all’hora viceré di questo regno. In Napoli, appresso Gioseppe Cacchij, 1588; Predica sopra il non men difficile che misterioso Vangelo della Settuagesima predicata dal R. patre Felice Peretti. 1554, in Biblioteca Vaticana.
89. Abbiamo la predica pronunciata a Perugia da fra Peretti il mercoledì delle Ceneri e data alle stampe: “Predicata nella inclita città di Perugia il dì delle Ceneri, dal R. Padre F. Felice Peretti da Mont’alto: Predica sulla necessità della sacra Scrittura à reformare l’uomo”. [Cilio Allifano?], Napoli [1555]. Per il contenuto della predica: C. SANSOLINI, Una predica per il mercoledì delle ceneri di Fra’ Felice Peretti da Montalto (futuro Sisto V), in Ephemerides Liturgicae, anno CIX (1995), n. 3, mag.giu., pp. 193-225.
90. Lettera a Sigismondo Bozio, segretario del card. Carpi. Venezia 4 luglio 1556. Archivio Sartori: documenti di storia e arte francescana. Padova, Biblioteca Antoniana 1983, I, 1400. La biblioteca di fra Felice Peretti, quando costui rimase Inquisitore a Venezia negli anni 1556-60, consisteva in ben 742 volumi, raccolta davvero eccezionale per i suoi tempi e che testimonia la preparazione di fra Felice in ogni campo della dottrina e dello scibile. È lo stesso Peretti che ci fornisce l’elenco dei suoi libri (nel “Notiziario” conservato nella Biblioteca Chigiana di Roma): 230 volumi sono opere teologiche (soprattutto opere di Agostino, Tommaso, Bonaventura e di padri della Chiesa); seguono nel numero i 140 volumi di filosofia; 106 erano i volumi di storia e geografia e 105 quelli di diritto ecclesiastico e civile. Anche la letteratura propriamente detta non era assente, con più di 100 opere. I. DE FEO, Sisto V, un grande papa tra rinascimento e barocco, Mursia 1987, p. 48.
91. “Quando viddi le cose di Venetia per la mala via, mi ritirai a Rovigo”. Archivio Sartori, cit. I, 1401.
92. Di fronte ad un probabile ritorno del Peretti a Venezia su rinnovata proposta di Roma, il Consiglio dei Dieci aveva scritto ai frati del “gran convento” che se fosse giunto il Peretti di nuovo a Venezia, per l’ufficio di inquisitore o per altro ufficio, non dovevano assolutamente accettarlo, se non volevano incorrere a “pene riservate al loro arbitrio”: “Si magister Felix a Monte Alto loco inquisitoris vel aliter huc venerit, nullo pacto eum acceptarent absque illorum licentia, sub poenis eorum arbitrio servatis”. Archivio Sartori I, 1400.
95. L’Inquisizione di Venezia fu retta principalmente dal nunzio apostolico o dal suo auditore, con l’aiuto dell’inquisitore francescano (minore conventuale) dal 1541 fino al 1560, Dal 1560 l’inquisitore fu un domenicano, nominato dalla Congregazione del Sant’Ufficio. Da allora i giudici di fede furono il nunzio, il patriarca di Venezia e l’inquisitore domenicano. Non si sa con certezza quando l’inquisitore domenicano divenne il giudice prevalente, se verso la fine del Cinquecento o nel Seicento. A. DEL COL, L’Inquisizione romana e il potere politico nella repubblica di Venezia (1540-1560), in «Critica storica», XXVIII (1991), pp. 189-250. IDEM, Organizzazione, composizione e giurisdizione dei tribunali dell’Inquisizione romana nella repubblica di Venezia (1500-1550), in «Critica storica», XXV (1988), pp. 244-294. I Domenicani vivevano nel convento unito alla chiesa di San Domenico, che sorgeva nel sestiere di Castello, all’angolo tra gli attuali via Garibaldi ed viale Garibaldi e la cui costruzione era già ultimata nel 1317. Il convento fu sede del tribunale dell’inquisizione dal 1560. Nel 1806, in seguito alle soppressioni napoleoniche, convento e chiesa furono chiusi e i frati obbligati a spostarsi ai Santi Giovanni e Paolo. Successivamente il complesso fu demolito per far spazio ai Giardini Napoleonici. M. BRUSEGAN, Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità delle chiese di Venezia. Newton Compton, 2004, p. 374.
96. CUGNONI, Documenti chigiani cit., p. 125.
97. “Per magnam multorum invidiam et obtrectationem ad magnos multosque honores evadit”: BAV, cod. vat. lat. 5563, VII.
99. L. von RANKE, Die Römischen Päpste in den letzten vier Jahrhunderten, 1835 (toria dei papi, Firenze, Sansoni, 1968, p. 328.
100. G. MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro ai nostri giorni. Venezia 1854, vol. 67, p. 87.
101. MUTINELLI, Storia arcana ed aneddotica d’Italia racontata dai Veneti Ambasciatori, Venezia 1855, vol I, p. 163, nota 4.
103. Già dal principio del secolo XIII esisteva in Venezia un magistrato contro l’eresia, ma è del 1249 l’istituzione della speciale magistratura dei tre Savi, cui era demandata l’inquisizione sugli eretici. Ciò però non poteva avvenire se non d’accordo con i due Consigli Minore e Maggiore e con sentenza di questi e del Doge, funzionanti da veri giudici. I tre Savi erano eletti dal Doge fra i patrizi più atti per pietà religiosa e probità, e a lui, entrando in carica, prestavano giuramento di non celare cosa alcuna relativa all’ufficio e di non farne alcuna senza ordine suo o del Senato. Non essendosi ancora introdotto il Sant’Ufficio in Venezia, i sospetti di eresia o denunziati per tali erano dai Savi sottoposti all’esame del Patriarca di Grado, del vescovo di Castello e degli altri vescovi del dogado, ma restava fondamentale la funzione di controllo del Veneto magistrato sull’operato degli ecclesiastici in sì delicata materia. Questa funzione importantissima per la quale l’Inquisizione religiosa in Venezia ebbe un proprio carattere e una ben nota moderazione, fu conservata anche dopo l’istituzione del Sant’Ufficio che avvenne il 1289: i tre Savi infatti dovevano essere presenti per tutti gli atti del Sacro Tribunale, che altrimenti erano nulli ipso iure. Avevano potestà di sospendere o impedire l’esecuzione delle sentenze, quando le ritenessero contrarie alle leggi, alle consuetudini o alle istruzioni del governo. In seguito, intensificatasi l’attività del Sacro Tribunale per il pericolo della Riforma, fu accresciuta l’importanza del magistrato all’eresia con un aumento dei suoi poteri. A. DA MOSTO, L’Archivio di Stato di Venezia. Indice generale, storico, descrittivo ed analitico. Tomo I: Archivi dell’Amministrazione centrale e Archivi notarili. Roma 1937, pp. 181-182.
104. Ricerca effettuata da Vincenzo Catani e da Aniello Gatta nei giorni 8 e 9 aprile 2019.
105. Bernardino Ochino (Siena, 1487 – Austerlitz, 1564), già frate francescano cappuccino e predicatore acclamato, passò al calvinismo, si sposò e divenne pastore, passando nei vari centri del protestantesimo della Svizzera e della Germania.
106. Il “Beneficio di Cristo” (“Trattato utilissimo del beneficio di Giesù Cristo crocifisso verso i cristiani”) è un testo scritto da Benedetto Fontanini, pubblicato anonimo a Venezia per i tipi di Bernardino de' Bindoni nel 1543. Ebbe un successo clamoroso nell’Italia e nell’Europa del Cinquecento. Diviso in sei brevi capitoli, risentiva ampiamente dell'influenza di testi di Lutero, Melantone e in particolare di Calvino.
107. Bernardino da Siena, o Bernardino degli Albizzeschi (Massa Marittima 1380 – L’Aquila 1444), santo, francescano dei frati minori e teologo. La sua predicazione fu incisiva per un forte rinnovamento per la Chiesa e per il movimento francescano. Gli ambienti degli usurai e delle case da gioco gli furono ostili, tanto da far intentare contro di lui un processo per eresia sostenuto a Roma nel 1427 e subì un processo da parte della Inquisizione, ma fu completamente prosciolto dall’accusa.
108. Il "Pasquillus extaticus" di Celio Secondo Curione (1503-1569) – "Pasquino in estasi" nella sua versione italiana – è un’opera polemica protestante che sviluppa il genere della pasquinata romana e che mette sotto accusa la Chiesa di Roma.
109. Opera del monaco benedettino, simpatizzante del protestantesimo, Benedetto Fontanini da Mantova, 1495-1556.
110. Opera dell’umanista spagnolo Alfonso de Valdés, 1490-1532.
111. F. A. RENAZZI, Storia dell’università degli studi di Roma, detta la Sapienza, 2 vol. Roma 1803-1804.
113. Il testo manoscritto di mano dell’autore, stilato in un elegante latino, si trova nell’archivio del convento romano francescano dei XII Apostoli ed è stato edito da F. ABATE, Un’omilia inedita di Sisto Quinto, in Miscellanea Francescana, vol. 23, fasc. I-II, gennaio-aprile 1922, p. 3-6.
114. Il generale dell’Ordine, Antonio Savioz, concesse a fra Peretti di recarsi in Spagna. G. G. SBARAGLIA, Supplementum et castigatio ad Scriptores Ordinis Minorum a Waddingo aliisve decriptos. Roma 1806, p. 663b alla voce Sixtus V. Qualche stralcio, quello relativo a Felice Peretti, è stato pubblicato in Miscellanea Franciscana 33 (1933), p. 246.
115. Il Carranza (Miranda, Navarra 1503 – Roma 1576) si fece domenicano nel 1520 e si laureò a Salamanca in utroque iure. Sostenne al concilio di Trento l’obbligo di residenza dei vescovi. Nel 1557 fu eletto arcivescovo di Toledo. In seguito alla pubblicazione nel 1558 di un contestato catechismo (I Comentarios sobre el catecismo cristiano), venne perseguito dall’inquisizione spagnola con l’accusa di simpatie con idee protestanti e arrestato il 22 agosto 1558. La S. Sede volle occuparsene, ma il re Filippo II non permise che il Carranza uscisse di Spagna e volle che la commissione papale (di cui faceva parte anche fra Felice Peretti) si recasse in Spagna. Nel 1567 il Carranza fu portato a Roma e sottoposto a processo, ma pur essendo trovato innocente gli fu proibito di rientrare a Toledo prima di altri 5 anni. Ma il Carranza morì a Roma, il 2 maggio 1576. S. DE MENDOZA, Vida y sucesos prósperos y adversos de Don Fr. Bartolomé de Carranza y Miranda. Madrid 1788; M. Menéndez, Historia de los heterodoxos españoles, II, Madrid 1887. J. BARUZI, Il protestantesimo e l’illuminismo in Ispagna al XVI secolo: I "Comentarios" del cardinal Carranza e la censura di Melchior Cano, in Ricerche religiose, IV (1928), pp. 118-132: C. CAPASSO, Carranza Bartolomé, in Enciclopedia Italiana (1931).
116. AAV, Fondo Borghese I, 606, cc. 4-13v, 113v.
117. Antonio Savioz (o de' Sapienti) è stato un teologo francescano. Fu reggente di studi a Brescia e Milano (1552) e insegnò teologia all’università degli studi di Pavia. Il 16 maggio 1562 a Milano fu eletto Ministro generale dell’Ordine. Morì a Milano il 6 gennaio 1566. G. ODOARDI, Serie completa dei padri e teologi francescani Minori Conventuali al Concilio di Trento, in Miscellanea francescana, 47(1947) p. 349-350.
118. Archivio Sartori I, 1158-1164. Dalla Bibl. Ambrosiana di Milano.
119. AAV, Miscellanea, Arm. VIII, Visite Apostoliche 1566, c. 6v.
120. AAV, Secr. Brev. 2, c. 249: “Cedola concistorialis S. Agathae pro Felice de Monte Alto, datum 15 novembre 1566”.
121. Archivio Sartori, I, 1159. Al momento della consacrazione episcopale compare chiaramente lo stemma del vescovo e del papa futuro: un leone rampante che reca fra gli artigli un rametto di pere, attraversato nel mezzo da una fascia dove sono impressi tre monti e una stella crinita. In realtà questo stemma era già nel sigillo del Peretti quando costui era procuratore generale dell’ordine francescano (come si evince da una lettera del 1560, conservata nel municipio di Montalto). È evidente il suo legame e l’amore con la sua Montalto, dal momento che i tre monti e la stella facevano già parte, ab immemorabili, dello stemma del paese. Cf. ADA, Gli stemmi di Sisto V e di Montalto, in “La Vedetta”, settimanale diocesano della diocesi di Montalto-Ripatransone, anno XVII, n. 43, 9 novembre 1969, p. 2. Felice Peretti risulta il 38° vescovo nella seria cronologica episcopale di Sant’Agata dei Goti (antica sede vescovile, ripristinata nel 970): HC III, 97; GAMS 845–846; F. UGHELLI, Italia sacra, VIII, 2ª edizione, Venezia, 1721, coll. 344-358; V. D’AVINO, Cenni storici sulle chiese arcivescovili, vescovili e prelatizie (nullius) del Regno delle Due Sicilie, Napoli, 1848, pp. 606–612. Per l’episcopato di Felice Peretti a Sant’Agata dei Goti: A. GRASSO, Fr. Felix Perectus 38° Episcopus S. Aghatae Gothorum, in “IV Centenario dalla nascita di Sisto V”, Bollettino mensile ufficiale del comitato centrale, fasc. 2°, 13 dicembre 1921, pp. 22-23; M. Melenzio, Storia di Sant’Agata dei Goti, I, Dalle origini alla caduta del fascismo. Bagnoli ed. 1997, p. 74-77.
122. AAV, Acta Camerarii 9, f. 157; HC, III, 97 (Felix Peretti de Monte Alto, O. Min. Conv. vic. gen. Quod officium retinet usque ad tempus capituli generalis. Sch. Ind. 475: 1566 pro eodem indultus creandi 20 magistros eiusdem ordinis”
123. Antonio Lauro (1498 – 1577) viene designato già nei documenti del 1533 come canonicus Maioris Ecclesiae Neapolitanae. Il 9 ottobre 1562 fu eletto vescovo di Castellammare di Stabia e il 16 aprile 1563 fu nominato cappellano maggiore, carica quest'ultima che comportava di diritto anche la dignità di prefetto allo Studio di Napoli. Non prese parte al concilio di Trento. HC III, 303, GAMS, 872; UGHELLI, VI, 662; CAPPELLETTI, XIX, 804: “Da lui fu consecrato il vescovo di Sant’Agata, Felice Peretti, che diventò poi papa Sisto V”; F. DE NEGRI, Di Lauro Antonio, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 40 (1991).
124. La diocesi di Lettere si estendeva nel territorio tra Amalfi e Castellammare di Stabia. Fu soppressa nel 1818 ed unita a quella di Castellammare di Stabia. Giovanni Antonio Astorco resse quella diocesi dal 1565 al 1567. HC. III, 227; GAMS 891; UGHELLI, VII, 275; CAPPELLETTI, XIX, 821.
125. La piccola diocesi di Minori (oggi soppressa ed unita ad Amalfi) era posta sul versante meridionale della penisola sorrentina, lungo la costiera amalfitana, e comprendeva il solo abitato di Minori ed il territorio circostante. Giovanni D’Amato resse quella diocesi dal 1565 al 1567. HC III, 246; GAMS 898; UGHELLI VII, 315.)
126. TEMPESTI cit. p. 43, PISTOLESI, cit. p. 70; F. VIPARELLI, Memorie historiche della città di Sant’Agatha de’ Goti. Napoli 1841, p. 53.
129. Cito solo, a mo’ di esempio, quanto scrive il Parisciani: “Nella sua diocesi di Sant’Agata de’Goti (Benevento), monsignor Peretti portò a termine una sacra visita pastorale a tutte le parrocchie e relative istituzioni, togliendo abusi e raddrizzando storture, come faceva ogni buon vescovo post-tridentino, pubblicandonene poi degli «ordini discreti»” PARISCIANI, cit. p. 99.
130. A. GRASSO, Fr. Felix Perectus 38. Episcopus S. Agathae Gothorum, in IV Centenario dalla nascita di Sisto V. Bollettino mensile ufficiale del Comitato centrale promotore. Montalto-Grottammare. Fasc. I, Montalto Marche 13 nov. 1921, pp. 22-23.
131. Lo scritto citato, datato 2 agosto 1993, è contenuto in sei pagine dattiloscritte, la cui fotocopia è stata gentilmente concessa dall’Autore al sottoscritto e al dott. Aniello Gatta in una nostra visita all’archivio diocesano santagatese nel 2018.
132. Infatti per ben due volte ritorna nel testo la prima persona: alla c. 93r, dove è scritto: “Detto mulino perché fu risarcito a mie spese fu affittato a Francesco Manera dalli 26 d’ottobre 1569...”, e alla c. 97v (citata sopra dall’Abbatiello), che dice testualmente: “L’anno 1569 del mese di Novembre il p. Fr. Guasparri mi portò in Roma ducati novecentotrenta, come consta per lo scritto di mia mano, ma questo denaro non era dell’entrate mie pervenute alle sue mani, ma fu a questo modo...”.
133. Tra le spese spiccano i 4 scudi e 24 bolognini dati al pittore Giacomo da Patrignone per dipingere 23 stemmi negli archi trionfali e i 5 scudi e 25 bolognini per la polvere pirica acquistata ad Ortezzano. Per il banchetto venne chiamato un cuoco da Macerata, il pane bianco arrivò da Porchia, i capretti da Castello, i prosciutti da Castignano, il pesce fresco e le arance da Grottammare, mentre per bolognini 16 fu richiamato da Ascoli il poeta montaltese Salvatore Morelli. PISTOLESI cit. pp. 70-71.
134. Fu nel paese della sua nascita l’8 maggio e vi rimase tre gioni presso alcuni suoi parenti. Durante questa visita a Grottammare si ipotizza il dono alla sua terra natia del calice con patena, che presenta la scritta "F. FELIX PERETTVS DE M. A. EP. S. AGAT" (“Fra Felice Peretti da Montalto, vescovo di Sant’Agata”). Il calice è arte orafa dell’Italia centrale, fine sec. XVI, argento cesellato, misure cm. 21 x 11,5, è caratterizzato dal nodo allungato e colpisce per la semplicità e l’eleganza essenziale della forma. TEMPESTI, cit., pp. 14-15 e 44. Sul calice: G. BARUCCA, I doni sistini e l’arte orafa nel Piceno fra Cinque e Seicento, in G. Barucca, B. Montevecchi, Atlante dei Beni Culturali dei territori di Ascoli Piceno e di Fermo. Beni Artistici. Oreficerie, Cinisello Balsamo 2006, p. 160.
135. Visitando il convento di Ripatransone volle che nella grande chiesa francescana di S. Maria Magna fosse sistemata una lapide sepolcrale in memoria del francescano nativo del luogo, il dottore di teologia Giovanni di Ripa, lettore alla Sorbona parigina: Joanni a Ripis, Ord. Min. Theologo, et Phil. clarissimo qui annos plures in publico Parisiensi Gymnasio docuit In Sent. libros Acutissima Commentar. edidit... F. Felix Perettus de Monte Alto Agathen. Eccl. Episcopus Ordin. Min. Con. Vicarius Generalis Apostolicus Provinciali suo A. ergo posuit. Giovanni da Ripa (Giovanni Plantadossi) visse nella prima metà del XIV secolo ed è celebre soprattutto in Francia, dov’è conosciuto con i nomi di Jean de Ripa e Jean de la Marche. Seguace di Duns Scoto, fu chiamato Doctor difficilis o Doctor supersubtilis. Commentò a Parigi il Liber sententiarum di Pietro Lombardo.
136. AAV, Borghese I-13, cc. 6-9: Lettera e ragguaglio particolare del modo che usò Pio V in sententiar l’arcivescovo di Toledo; A. BEVALOTTI, Martiri del libero pensiero e vittime della Santa Inquisizione nei secoli XVI, XVII e XVIII, ristampa anastatica ed. Forni 1976, pp. 29-32.
137. Si sofferma su questo fatto, con molti particolari e documenti, il PASTOR cit. pp. 31-32, nota 1 di p. 32 e documento allegato a p. 650-651.
138. Così infatti scrive al card. Borromeo il 25 maggio 1567 da Bagnacavallo: “Hormai si avanza il tempo del Capitolo generale quale secondo l'uso antiquo dell'ordine debba celebrarsi questa Pentecoste prossima d’avvenire, et havendone io fatta parola con S. Beatitudine del luogo dove habbia à tenersi , resta sodisfatta assai che si faccia in Bologna et per essere V.S. Ill.ma Protettrice dell'ordine mio desidero anco intendere la voluntà sua, et la supplico mi dia aviso se il luogo di Bologna è di sua sodisfattione per il detto Capitolo generale perchè havuto la mente sua, subito mi cavarò il Breve per chiamare le Provincie per la Pentecoste del 68”. Lettera del Peretti al Borromeo. Bagnocavallo 25 maggio 1567. B.A. 46 F.110 inf., f.140.
139. Si legge nella lettera al Borromeo scritta dal Peretti da Roma il 6 settembre 1567: “Le scrissi del mese di maggio che ci pensavo fare il capitolo generale in Bologna per la commodità del luogo, et per la sanità che qui i Signori me permettevano, ma tornato in Roma et consultato il caso con Sua Beatitudine si è giudicato essere più a proposto di farlo in Roma, acciò la Religione intenda dalla bocca di Sua Beatitudine che abisogna mutare stile”. Lettera del Peretti al Borromeo. Roma 6 settembre 1567. B.A. 36.
140. In questo Capitolo il papa invia il cardinale Alessandro Crivelli, viceprotettore dell’Ordine, a leggere ai Padri Capitolari il breve “Cum sicut accepimus” datato 3 giugno 1568 con cui si sottopone ai Vescovi diocesani, senza possibilità di appello, tutti monasteri delle clarisse dipendenti dai francescani conventuali in Italia e in Dalmazia.
141. Lettera del Peretti al Borromeo. Roma 11 giugno 1568. B.A. 35 F. 84 inf., f. 219.
142. Da un’ispezione presso l’archivio diocesano di Sant’Agata dei Goti i documenti riguardanti le sacre visite e i bollari non ripotano mai la firma del Vescovo Peretti e non si evince mai la sua presenza nella sua diocesi se non in data 29 gennaio 1567 e seguenti allorché ne prese possesso! Certamente operò tramite i suoi vari vicari generali: Agostino Lanza nel 1567, Leonardo Pirone per pochi mesi, Albenzio Pirone nel 1568, Gian Battista Piro nel 1568-69, Andrea Lollo nel 1569-1570 e Paolo Pagano nel 1570-71. Il vescovo Peretti nel novembre del 1569 ricevette da fra Guasparri la somma di ducati 930, importo relativo alla mensa vescovile relativa all’anno 1569. Così scrive di proprio pugno il vescovo Peretti: “L’anno 1569 del mese di Novembre il p. Fr. Guasparri mi portò in Roma ducati novecentotrenta come consta per lo scritto di mia mano”. Arch. storico diocesano di Sant’Agata dei Goti, Iura diversa Mensae Episcopalis, vol. 5 pag. 93-97.
143. AAV, Acta Camerarii 10, c. 65r-v: “1570 Maii 17 XVI creati sunt novi cardinales, videlicet.... fr. Felix ex oppido Monte alto Marchiae, O. Min. Conv., ep. s. Agathae... Omnes nominavit papa presbyteros”. AAV, Acta Camerarii 10, c. 66: “1570 Maii 20 cardinalibus novis in Curia Romana praesentibus datur pileus”; c. 67r: “Jun 2 iisdem os clausum et (c. 67v) Junii 9 os apertum et titula assignatus est”. HC III, 44.
144. Ciò si legge nella autobiografia (che arriva fino al 1592 e che fu stampata solo nel 1890 ad opera di Giuseppe Cugnoni) del cardinal Giulio Antonio Santori (1532 – 1602), uno dei cardinali promossi insieme al Peretti: “Alli 17 Maggio, di Mercordì, fui assunto al Cardinalato assieme con quindici Colleghi, et volse la Santità Sua, per maggior cumulo di favori e di gratie, donare a me, a Maffeo, Montalto, Aldobrandino, Tiano e Aquaviva, cinquecento scudi d’oro in oro per ciascuno. Ci donò due pianete, quattro portiere, un bacile, un boccale et la mazza d’argento, et li finimenti rossi et paonazzi della mula, con assegnarci mille e dugento scudi l’anno per ciascheduno”. CUGNONI, Autobiografia di G. A. Santori cardinale di S. Severina, in Archivio della Soc. Romana di storia patria, XII (Roma 1889), p. 350. Il testo è riportato anche dal TEMPESTI cit. p. 68. Per la mula provvide la sua Montalto: F. PISTOLESI, Sisto V e Montalto, in Picenum Seraphicum, IV, 1918, fasc. II, p. 293.
145. Lettera del Borromeo al Peretti. Milano 31 maggio 1570. B.A. p. 40.
146.Si è discusso molto sulla casa abitata dal cardinale Peretti, prima che andasse ad abitare definitivamente nella villa Montalto tra il Viminale e l’Esquilino, presso la basilica di S. Maria Maggiore. In realtà vi sono acquisti di diverse case fatte dal 1572 al 1576 (nel 1576 fu acquistata la vigna Guglielmini, parte centrale della villa Montalto) dal cardinale Felice e dalla sorella Camilla e “la lista delle case, casette e botteghe si riscontra più lunga di quanto siasi fatto noto”. Gran parte del denaro sborsato per l’acquisto della sua “vigna” derivava dalla dote di Vittoria Accoramboni, moglie del nipote Francesco, cosicché il contratto fu fatto a nome della sorella del cardinale, Camilla. Nel gennaio 1578 il cardinale Peretti regolarizzò l’acquisto comprando la vigna dai suoi parenti e nel 1580 raddoppiò il fondo mediante l’acquisizione di altre due vigne adiacenti. Nel frattempo incaricò l’architetto Domenico Fontana di disegnare e realizzare il grande casino sulla prima area, iniziato nel 1581. C. ASTOLFI, La presunta “Casa di Sisto V” a Via del Parione e le nozze di Flavia Peretti. Roma 1940.
149. Nel maggio del 1572 il cardinale Montalto arrivò a Fermo e vi rimase tre mesi, alloggiando nel palazzo del Governatore, non essendo decente la residenza vescovile (TEMPESTI cit. 68). Ulteriori presenze sono testimoniate nel 1574, quando, per raggiungere Fermo, fece tappa il 15 agosto 1574 a Camerino sostandovi quattro giorni (M. Santoni, Sisto V e la sua statua a Camerino, 1905, p. 9). e 1576.) e dal mese di settembre compì la visita pastorale nell’intera diocesi con disposizioni, leggi e decreti reperibili presso l’archivio vescovile (G. CICCONI, Sisto V e Fermo. Fermo 1923, p. 24). A maggio del 1576 è ancora a Fermo e di nuovo sosta a Camerino (SANTONI cit. p. 9) e nei mesi di giugno e luglio 1576 da Fermo visitò diversi paesi: Falerone, dove tenne la processione del Corpus Domini (21 giugno) e amministrò le cresime, Loro Piceno, Alteta, Monsampietrangeli, Pausola (CICCONI cit. p. 24.).
150. PARISCIANI, cit. 104 e nota 6 a p. 105. Per mons. Utica: AAV, Reg. Episc. 1, c. 29 (6 maggio 1573). Mons, Paolo Pagani fu poi compensato da Sisto V con un protonotariato apostolico e col vicariato generale della diocesi di Urbino (AAV, Secr. Brev. 115, c. 315; Idem 155, c. 378.
152. La bolla della erezione porta la data del 24 maggio 1589: Erectio ecclesiae episcopalis civitatis Firmi, in provincia Marchiae, in ecclesiam archiepiscopalem. Die 24 maii 1589, pontif. anno V. Bullarium CL-1589.
153. Racconta l’Hübner: “Da questo viaggio comincia il lungo screzio, che per tutta la durata del pontificato del Boncompagni doveva pesare sulla vita del cardinal Montalto, e venuto che questi fosse pontefice, far lui stesso più d’una volta ingiusto verso la memoria di Gregorio XIII. Alcuni cattivi modi del Legato, i quali destarono qualche rumore (se ne vedono tracce nelle corrispondenze degli ambasciatori), sembrano essere stata la prima origine di tale avversione, perché si narra che, quando si era nella difficoltà di trovar cavalli che bastassero, il cardinal Buoncompagni faceva salire il frate sulle bestie da soma, e lo rilegava co’ bagagli de’ mulattieri. A tutto rigore il posto del Religioso doveva cedere a quello dei prelati, ma non era assegnato il posto di fra’ Felice. Il quale più pronto a perdonare le offese grandi che le piccole, concepì contro il Buoncompagni, già inviso per se steeo al suo ardente naturale, una profonda ed invincibile avversione” (Hübner, cit. I, p. 176; ripetuto anche dal Pastor: “Fin dal viaggio in Spagna devono essere sorti i primi dissapori. Si narrava in Roma che a Montalto riuscisse penoso il poco riguardoso contegno che fu tenuto con lui, costringendolo talvolta a prendere posto nel carro dei bagagli. Il contrasto... col passar del tempo si manifestò molto più acuto. L’indole ardente e brusca di Montalto non poteva essere simpatica a Gregorio XIII calmo e un po’ pedante”. PASTOR, cit. 32-35.
154. Testimonianza riportata in F. MUTINELLI, Storia arcana ed aneddotica d’Italia raccontata dai Veneti Ambasciatori, Venezia 1855, vol. I, p. 161.
155. La “Veneranda Biblioteca Ambrosiana” è stata fondata nel 1607 dal cardinale Federico Borromeo (1564-1631), arcivescovo di Milano e cugino di S. Carlo Borromeo. A. PAREDI, Storia dell’Ambrosiana, Neri Pozza ed., 1981; Storia dell’Ambrosiana, 4 vol., Cariplo-Intesa Bci, Milano, 1996-2002; M. PANIZZA, L’Ambrosiana. De Agostini, 2013.
156. L’Archivio Apostolico Vaticano, risale al pontificato di Paolo V (1605-1621). A partire dalla metà del Seicento, s’impose il titolo «Archivio Segreto Vaticano»: l’aggettivo latino secretum (da secernere = separare, distinguere) qualificava l’archivio separato dagli altri e riservato all’uso del pontefice e dei funzionari da lui nominati. Tale denominazione ha costituito il titolo ufficiale di questo istituto fino al 22 ottobre 2019, quando papa Francesco con lettera apostolica ha ripristinato l’antico nome «Archivio Apostolico Vaticano». G. Caprile, L'Archivio Vaticano a cent'anni dall'apertura agli studiosi, in La Civiltà Cattolica, vol. 133, I, Roma, 20 febbraio 1982, pp. 372-375; Religiosa Archivorum Custodia. IV centenario della fondazione dell'Archivio segreto vaticano (1612-2012), Archivio segreto vaticano, 2012, Roma.
158. Lettera del Borromeo al Peretti. Milano 10 giugno 1571. AAV, Cod. Chig., C, VI, 162
159. Il titolo del tomo riportato nel fontespizio è lunghissimo e riassume non solo il contenuto del tomo stesso ma anche il lavoro svolto e la cura nella scelta e nella pulitura dei testi: “Operum Sancti Ambrosii Mediolanensis Episcopi tomus primus. Libros, Tractatus et Enarrationes, quas hic sanctus Doctor in Pentateucum et Libros Regum edidit, exacte recognitas, et nunc primum suis locis repositas. Libellos de Arbore interdicta et de XLII mansionibus diu desideratos, multo tandem labore sumptuque, et ad vetustiora exemplaria repurgatos. Sacrae Scripturae contextum, ad faciliorem lectorum intelligentiam, ex ipsa sancti Doctoris lectione, et ex LXX interpretum, quos potissimum sequitur, translatione erutum, comprehendens. Qua vitio vel incuria erant adiecta sunt reiecta, qua sublata restituta, qua transposita reposita, qua depratama emendata, omnia ad veterum manuscriptorum et emendatiorum codicum excusorum fidem examinata et pristina integritati reddita. Librorum et Enarrationum quas hic continet Tomus, catalogum nona indicabit pagina. Cum privilegio Summi Pontificis. Romae, Ex Typographia Domimici Basae, Anno MDLXXX.
160. Latino Latini (Viterbo 1513 – Roma 1593) è stato un grande umanista che ebbe rapporti con i più grandi letterati del suo tempo.
161. Angelo Rocca (Rocca Contrada, oggi Arcevia (An) 1545-Roma 1620) religioso agostiniano. Sisto V lo porrà a capo della tipografia vaticana e nel 1605 sarà fatto vescovo titolare di Tagaste. Nel 1614 fondò a Roma la biblioteca che dal suo nome fu chiamata “Angelica”. HC, III, p. 307; Luigi GIAMBENE, Rocca Angelo. Enciclopedia Italiana, 193162. In realtà Girolamo Bernieri (1540-1611) non fu vescovo di Bitonto, ma di Ascoli Piceno. Agostiniano come il Rocca, fu eletto vescovo da Sisto V nell’agosto del 1586 e a dicembre dello stesso anno fu creato cardinale. HC, III, pp. 51, 66, 120.
163. Pietro Ridolfi, teologo francescano (Tossignano (BO) 1536 - 1601
164. Costanzo Torri (Sarnano 1531-Roma 1595) francescano conventuale e teologo, creato cardinale da Sisto V nel 1586 e vescovo di Vercelli. HC, III, pp. 51, 330; Gaetano MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, Venezia 1840, vol. V, pp. 261–262.
165. Cesare Baronio (Sora 1538 - Roma 1607) dopo il dottorato in giurisprudenza si fece religioso dell’Oratorio fondato da S. Filippo Neri. Nel 1596 papa Clemente VIII lo creò cardinale e divenne prefetto della biblioteca vaticana. Fu autore della grande opera storica “Annales Ecclesiastici”. HC, III, p. 5; G. DE LIBERO, Cesare Baronio, padre della storia ecclesiastica. Alba, ed. San Paolo 1939; F. NICOLINI, Cesare Baronio, in Enciclopedia Italiana, Roma, Treccani, 1930; A. PINCHERLE, Baronio Cesare, in Dizionario biografico degli Italiani, vol. 6 (1964); H. JEDIN, Il cardinale Cesare Baronio. L’inizio della storiografia ecclesiastica cattolica nel sedicesimo secolo, Brescia, Morcelliana, 1982.
166. Silvio Antoniano (Roma 1540 - 1603), studioso di legge e di lettere, a Ferrara, Venezia, Firenze e Roma. Nel 1599 fu creato cardinale. HC, III, p. 6; E. CARBONERA, Silvio Antoniano o un pedagogista della riforma cattolica, Sondrio 1902; P. PRODI, Antoniano Silvio, in Dizionario biografico degli Italiani, vol. 3 (1961).
167. Annibale Santucci, frate francescano nativo di Urbino. Di lui si legge in F. A. BENOFFI, Compendio di storia minoritica, Pesaro 1829, p. 184: “Annibale Santucci fu molto caro a S. Carlo, e fu spettatore della di lui carità nella peste di Milano. Morì in Padova, dove era inquisitore, nel 1596”.
168. Marc-Antoine Muret (Muret 1526 - Roma 1585) filologo e umanista francese naturalizzato italiano. Operò prima in Francia come insegnante di filosofia e diritto civile. Venne in Italia (Venezia, Padona, Ferrara e Roma) dove insegnò filosofia morale, diritto e retorica. C. DEJOB, Marc-Antonie Muret, un professeur français en Italie dans la seconde moitié du XVIe siècle. Parigi, 1881.
169. Ottaviano Strambiati, francescano ravennate, teologo e autore di vari commentari su Aristotele e Scoto. Insegnò a Pavia, Padova, Torino e Roma. P. P. GINANNI, Memorie storico-critiche degli scrittori ravennati. Faenza 1769, vol. II, pp. 395-398.
171. Lettera del Borromeo al Peretti. Milano 18 agosto 1577. AAV, Cod. Chig., C, VI, 162.
172, Lettera del Borromeo al Peretti. Milano 30 settembre 1577. AAV, Cod. Chig., C, VI, 162.
173. Lettera del Peretti al Borromeo. Roma 14 giugno 1578. B.A. 10 F. 74 bis inf., fol. 332.
174. Lettera del Peretti al Borromeo. Roma 28 giugno 1578. B.A. F. 74 bis inf., fol. 331.
175. A stampare tutti i volumi fu il tipografo veneto Domenico Basa, nato intorno al 1535 e vicino alla famiglia dei tipografi Manuzio. Il Basa si trasferì a Roma verso il 1565 e collaborò con Paolo Manuzio, figlio di Aldo, alla stampa del nuovo breviario. Nel 1587 Sisto V fondò la tipografia vaticana e la affidò proprio al Basa.
176. Lettera del Borromeo al Peretti. Milano 30 settembre 1578.
177. Lettera del Borromeo al Peretti. Milano 10 dicembre 1578. AAV, Cod. Chig., C, VI, 162.
178. Lettera del Peretti al Borromeo. Roma 27 giugno 1579. B.A. 22 F. 74 bis inf., fol. 471.
179. Lettera del Borromeo al Peretti. Milano 24 maggio 1581. AAV, Cod. Chig., C, VI, 162.
181. “Patrem Perettum septem habuisse filios, quarum prima femella, masculus secundus, terzia similiter femella, quae vivit, his successit Felix hodie summus pontifex, cui ter alii masculi successere”. BAV, Ferraioli 770, c. 21.
183. Sulla vicenda vedi: D. GNOLI, Vita di Vittoria Accoramboni, Firenze 1890; Pastor cit., IX, 780-781; X, 35, 59; P. LITTA, Famiglie celebri di Italia. Peretti di Montalto, Torino, 1821; B. COLONNA, La nepote di Sisto V. Il dramma di Vittoria Accoramboni (1573-1585). A. Mondadori, Milano 1936; O. ORIOLI, Accoramboni Vittoria, in Dizionario biografico degli Italiani, vol. I, Roma 1960.
184. E. A. SAFARIK, Collezione dei dipinti Colonna. Inventari 1611-1795. Ed Saur 1996, p. 3.
185. HC III, p. 50: “1585 Maii 13 card. diac. Alexander Perettus, cler. Rom, S.S. ex sororis filia pronepos et Fabii Damasceni filius, in nomen et familiam adscitus, in XIV aetatis anno constitutus”. Tale nomina richiama il tradizione nepotismo papale che da Quattrocento era diventato abituale, e spesso deleterio. A tale pratica non si discosta neppure papa Sisto, pur deciso assertore della riforma della Chiesa e della curia romana. S. Carocci, Il nepotismo nel Medioevo: papi, cardinali e famiglie nobili. Roma, ed. Viella 1999.
186. Alessandro, che prese il nome di “cardinal Montalto” che prima era del prozio, fu nominato governatore perpetuo di Fermo il 15 novembre 1586, Legato a Bologna il 26 ottobre 1587, Vice-Cancelliere di Santa Romana Chiesa dal 13 marzo 1589 sino al giorno della sua morte. Governatore di Città della Pieve in quello stesso 1589, divenne abate commendatario di Farfa nel 1590. Alla morte del prozio, partecipò ai due conclavi del 1590 (Urbano VII e Gregorio XIV) e poi a quello del 1591 (Innocenzo IX), ed infine a quello del 1592 che elesse pontefice Clemente VIII. Nominato con i cardinali Pierbenedetti e Salviati alla prefettura di Roma della Sacra Consulta delle città dello stato pontificio nel 1592, venne nominato nuovamente Legato a Bologna il 13 novembre 1592 fino al 1605. Partecipò in quello stesso anno al conclave che elesse Leone XI ed al successivo che elesse Paolo V. Ottenuta la carica di cardinale-vescovo, optò per la sede suburbicaria di Albano. Venne consacrato vescovo il 19 luglio di quello stesso anno, nella cappella del Palazzo del Quirinale per mano di Paolo V. Partecipò al conclave del 1621 che elesse Gregorio XV. Morì il 2 giugno 1623, nel Palazzo della Cancelleria di Roma e fu sepolto nella cappella del Presepio della Basilica di Santa Maria Maggiore. HC. III, 50, IV, 36; L. CARDELLA, Memorie storiche de’ Cardinali della Santa Romana Chiesa. t. V, Roma 1793, 224-228; C. WEBER, Genealogien zur Papstgechichet, Stuttgart, 1999-2001, t. II, 744-747.
187. Il testo dell’Hübner (pp. 206-226) è ricavato a sua volta da: Phil. HONORIUS, Thesaurus Politicus. Francoforte 1617, pp. 351-370: “Instruttione per Illustrissimo e Reverendissimo Sig. Cardinale Mont’alto, Nipote di N. Signore Sisto V. Fatta dell’anno 1587”. Testo in latino e in italiano. Il papa esortava il pronipote a stare attento “ai prìncipi, sempre avidi di allargamento di territorio e di gloria... amano esser temuti, non sopportano biasimi né franche parole, né riconoscono mai di aver torto... gli ambasciatori sono ordinariamente uomini accorti, sagaci, curiosi, destri nell’insinuari, parlatori, dolci nel conversare, prudenti... tengono cari quelli che danno loro informazioni e procurano di averle con tutti i mezzi... Evita le conversazioni frequenti ed intime, soprattutto con persone pubbliche e curiose... È bene ascoltare con pazienza le lunghe conversazioni: queste lasciano il tempo di riflettere alla risposta e recano piacere all’interlocutore, amando tutti di essere ascoltati... Vigila sui domestici e familiari per affezionarseli e tenerseli devoti... La corte di Roma è la patria comune di tutte le nazioni e ognuno può entrarvi, sperare e aspirare a tutte le dignità che vi si distribuiscono, compreso il pontificato... I veri amici sono rari. Roma è lusinghiera, cortese, larga nelle promesse, spesso pronta a soccorrere, ma anche abile a sciogliersi e prudente nel distruggere”.
188. CARDELLA, cit., pp. 224-228.
189. TEMPESTI, cit. pp. 7, 154, 364; Giovanni Maria Guicciardi, Rime nelle nozze dell’Illustr. et Eccell. Sig. Marc’Antonio Colonna Duca di Palliano e Tagliacozzo, e Gran Contestabile del Regno di Napoli, et Dell’Illustriss. et Eccel. Sig. Orsina Peretti Princiessa di Palliano. Roma 1589.
190. TEMPESTI cit. pp. 7, 154, 364; C. ASTOLFI, La presunta casa di Sisto V a via Parione e le nozze di Flavia Peretti, Roma 1940; S. BOERO, Peretti Damasceni Flavia, in Dizionario biografico degli Italiani, vol. 82 (2015).
191. C. ASTOLFI, La presunta casa di Sisto V a via Parione e le nozze di Flavia Peretti, Roma 1940; M. COGOTTI - L. GIGLI, Il palazzetto di Sisto V in via di Parione, in Impronte sistine: fabbriche civili minori, interventi nel territorio, restauri di monumenti della età di Sisto V, Roma 1991, pp. 119-136.
192. G. PARISCIANI, Fra Felice Peretti ofmconv, (Sisto V) nei registri di introito et esito di Montalto. Ed. Miscellanea Francescana, Roma 1991, pp. 458 e 464-467